Noi partecipiamo alle manifestazioni sindacali per quello che sono e non pretendiamo, dato i rapporti esistenti, che siano quello che non possono essere. Perciò, oltre a presentare noi stessi per quello che siamo e non per quello che ci piacerebbe essere, non riteniamo obbligatorio riportare in ogni volantino la "prospettiva rivoluzionaria". Quella di macinare eternamente frasi fatte e luoghi comuni è un'abitudine molto diffusa che non condividiamo. Noi non abbiamo affatto il "dovere" (concetto morale) di rispondere: ogni nostra risposta soggiace ad una regola elementare, secondo la quale chi ci scrive entra in relazione con noi per qualche reale esigenza; chi sollecita risposte fa parte del nostro lavoro finché non dimostra di volere solo un "dibattito", cosa che ovviamente non c'interessa. In questo senso noi non ci rivolgiamo mai a un "grande pubblico", cerchiamo semplicemente dei militanti con cui lavorare. Del resto non troviamo per nulla "difficile" parlare della classe rivoluzionaria per quello che è oggi realmente e non per come è raffigurata nei desideri di molti. Tutta la tua lunga e concitata lettera dimostra quanto sia difficile il cammino per ottenere quei "nervi immobili" e quella "pelle da rinoceronte" indispensabili, come diceva un nostro vecchio compagno, al lavoro rivoluzionario.
(Doppia direzione pubblicata sulla rivista n° 0 - maggio 2000.)