La volontà dei governi di questi paesi conta poco, e sono d'accordo, ma i paesi stessi, prima di farsi schiacciare, possono rappresentare una massa critica tale che di fatto potrebbe essere costretta ad opporsi sul piano del contrasto reale agli USA. Una cosa è la guerra preventiva difensiva in assenza (al momento) di contrasti effettivi e reali; tutt'altra cosa è parlare delle potenzialità di una massa territoriale, umana ed economica di miliardi di uomini estesi su due continenti. Per non parlare poi della vecchia Germania!
Certo le esigenze del capitale lo spingono a governare le forze sociali con strumenti che in nuce ne negano le stesse leggi economiche (la forma sociale nuova che cresce nel suo stesso seno). È una necessità già presente nei "sacri testi" di riferimento, vedi Antidühring di Engels e terzo libro del Capitale di Marx. Ma questo movimento potenziale si scontra con le contraddizioni dello stesso modo di produzione. È pensabile che le difficoltà di valorizzazione che si acuiscono possano dar coraggio ai paesi oggi succubi; possano far scoppiare dei contrasti interimperialistici che, nonostante lo strapotere americano non si potranno esorcizzare. A mio avviso una prospettiva di guerra fra coalizioni di vari paesi è del tutto corrispondente a una visione realistica dell'imperialismo moderno. Il nucleo di una potenziale forza rivoluzionaria di contrasto potrà scaturire da una violenta crisi sistemica – proprio come dite voi – che coinvolga il mondo sviluppato in una guerra generale e veda nello stesso tempo l'esplodere di violenti contrasti classisti all'interno di esso.
Il controllo "totale" americano è un fatto, bisogna solo stabilire se può risolvere i problemi dell'America e quindi del capitalismo. Diciamo subito di no, ma certo che tale controllo aiuta parecchio a mantenere in piedi il sistema. Nel 1944 era già pronta la teoria del "nation building" per i paesi vinti, Germania, Giappone e Italia. Infatti nell'Italietta occupata e invasa nascevano il futuro governo, la futura costituzione e il futuro assetto politico-sindacale, un anno prima della fine della guerra. Negli altri paesi era questione di tempo (poco), e si sarebbe messo in moto lo stesso meccanismo (in parallelo con l'occupazione militare che continua tutt'oggi). Questa politica è la stessa che adesso qualcuno chiama "World building". Dunque riprogettazione del mondo intero e sua occupazione militare. Tuttavia nemmeno gli Stati Uniti hanno la potenza degli dei, e quindi devono fare molta attenzione. Per ora sembra che non ci riescano e si stanno comportando in maniera assai rozza. Se perdono il controllo a causa dell'ottusità indotta da sovrapotenza sono fottuti.
Dici che bisogna "andare cauti" nell'affermare che gli Stati Uniti non hanno rivali in quanto a potenza economica, politica e militare. Ma questo primato è una realtà che non si può confutare con argomenti pratici: nessun paese potrebbe sostenere una guerra commerciale, finanziaria o guerreggiata con l'America. Tra l'altro la dottrina di guerra preventiva sta a dimostrare che l'imperialismo dominante farà qualsiasi cosa pur di non permettere la formazione di una forza paragonabile (né una coalizione, né lo sviluppo di una potenza). La guerra in Iraq non è che l'inizio, nelle intenzioni americane, di uno stato permanente di predominio (gli avversari dell'attuale governo sostituiscono solo "egemoni" a "predominio"). Germania, Giappone e Italia, lo ribadiamo, hanno sempre avuto governi fantoccio pilotati dagli Stati Uniti. La politica estera di questo trio, dal 1945 a oggi, è sempre stata politica interna degli Stati Uniti.
Di più: il Giappone è in coma da dieci anni, la Germania sta per raggiungerlo e l'Italia è stata industrialmente smantellata, diventando un paese fornitore di componenti in outsourcing, cioè estremamente dipendente dall'industria degli altri. Non c'è nulla di esagerato nel parlare in questi termini del sistema mondiale così come si è venuto configurando. Ovviamente le determinazioni reali non sono a favore di una stabilizzazione mondiale, e questo lo abbiamo sempre detto a grandi lettere. Ma Giappone, Russia, Cina e India con i loro tre miliardi di uomini per adesso non sono in grado di fare un bel niente. L'Europa idem e la Germania meno di tutti, dato che ha un apparato produttivo e sociale per nulla flessibile e potrebbe collassare peggio del Giappone (per l'America Latina vale lo stesso discorso e l'Africa è solo terra di saccheggio). Quindi per molto tempo nessuna azione verrà da altri paesi imperialistici contro gli Stati Uniti, per la semplice ragione che tutti, ma proprio tutti, dipendono ancora dal buon andamento dell'economia americana. A tutti conviene dunque che il mondo capitalistico non vada a catafascio.
Il risultato di tutto questo è proprio la necessità di ricorrere a strumenti di controllo mondiale, in pratica ad uno Stato planetario, che in nuce nega gli stessi fondamenti del capitalismo esattamente come dici citando l'Antidühring. Seguiamo il tuo discorso, ma in tale contesto non ci pare appropriato parlare di "schieramenti" o "contrasti interimperialistici", anche se in effetti utilizziamo qualche volta questa espressione. Qui non siamo più in una situazione di imperialismi al plurale, cioè più paesi di potenza comparabile come al tempo di Lenin: solo il Giappone ha una potenza finanziaria definibile imperialistica, ma è immensamente inferiore a quella degli Stati Uniti, e poi è quasi tutta dedita a valorizzarsi… negli Stati Uniti. Per il resto, forza politica e militare, è a zero. La Germania sta molto peggio, se possibile, e l'Europa semplicemente non esiste (abbiamo dimostrato come l'unione monetaria sia stata un'operazione del tutto virtuale).
Rimane la Cina, sulla quale occorrerà riflettere. Ma attenzione: nel momento in cui chiede – e lo chiede a gran voce – di far parte degli organismi internazionali, essa perde il suo isolamento e diventa come un paese capitalistico qualsiasi, integrato come gli altri nell'attuale sistema mondiale e forse più vulnerabile al cambiamento economico, sociale e tecnologico interno. La Cina è la prima potenza industriale del pianeta (gli Usa la seconda e il Giappone la terza) e sarebbe in grado fra poco, da sola, di produrre merci per tutta l'umanità. O lo farà secondo le regole, o entrerà nei piani di volo dei bombardieri americani. Non a caso la Cina è il paese più nominato nel documento sulla nuova dottrina militare della guerra preventiva americana. Come vedi, in ogni caso, la possibilità di "contare qualcosa" per i paesi imperialistici "congelati" passa attraverso un collasso americano.
Infatti veniamo alla conclusione della tua lettera: il riferimento alla crisi sistemica, alla guerra generale e alla sollevazione rivoluzionaria. Di ciò diamo da tempo una lettura ricavata dalla storia delle rivoluzioni passate. Trotsky rinfacciò a Stalin & Co. il metodo per la valutazione delle forze in campo nella battaglia fra le opposte classi: nessun assalto al potere è possibile se l'apparato sociale, economico e militare del nemico è intatto; ma non bisogna avere nessun timore di prendere il potere quando si dimostri che l'apparato avversario è in piedi soltanto per inerzia ed è già minato dalla rivoluzione che incalza. La condizione migliore per il passaggio alla società futura è il collasso interno e la sconfitta dell'imperialismo più forte (e questo lo diceva anche la Sinistra Comunista "italiana"). Ma chi sconfigge l'imperialismo più forte se esso è tale? Giusto una crisi sistemica generale che faccia saltare il potenziale ultra-esplosivo che si nasconde al suo interno. Per questo diamo la massima importanza agli scioperi dei lavoratori atipici, al movimento americano contro la guerra e in generale alla enorme pressione sociale all'interno degli Stati Uniti, un paese dove ci sono ben 250 milioni di armi "private" che producono 11.000 morti all'anno solo da proiettile e dove la popolazione carceraria rappresenta una massa superiore a qualsiasi esempio si possa trovare nella storia. Questa pressione, non a caso, produce una repressione ideologica e materiale spaventosa. Tutti questi fattori hanno caratteristiche nuove, da studiare a fondo.
(Doppia direzione pubblicata sulla rivista n° 14 - marzo/giugno 2004.)