Informazioni aggiuntive

  • Resoconto teleriunione  24 giugno 2014

Fabbrica diffusa e proletari 2.0

La teleconferenza di martedì sera, a cui si sono collegati 13 compagni, ha preso le mosse dal commento dell'inchiesta pubblicata dall'Espresso "Noi, i nuovi proletari digitali". Ecco chi sono gli operai 2.0.

Anche in Italia il crowdsourcing (da crowd, "folla", e outsourcing, "esternalizzazione di una parte delle proprie attività") coinvolge ormai molti settori, tra cui quello della produzione e della manutenzione di contenuti multimediali. Spesso spacciato come una conquista in termini di creatività e libertà individuale, in realtà il lavoro "digitale" disegna i caratteri degli operai del nostro tempo, 2.0 come li chiama l'Espresso. Content editor, video maker, sviluppatori, sound designer, ecc., proletari digitali che svolgono mansioni ripetitive e alienanti, spesso sottopagati e con orari di lavoro "elastici", costretti a districarsi, al pari dei compagni "analogici", nella giungla contrattuale che governa il settore. Con il rischio di vedersi corrispondere il salario in moneta virtuale, come fa Amazon, la grande azienda monopolista dell'e-commerce, che compensa i lavoratori impiegati per piccole mansioni di basso profilo, magari da casa, con buoni da spendere sulla propria piattaforma.

Quando s'incontra un programmatore o un web designer, capita che la mente corra alle immagini di ragazzotti in bermuda che, tra una partita a freccette e un tiro a biliardino, danno vita a startup milionarie o app innovative che verranno un giorno acquistate da Facebook. Ma nella maggior parte dei casi ci si trova di fronte ad uno fra i più, anch'egli ingranaggio della catena di montaggio della fabbrica diffusa, per cui la separazione tra tempo di lavoro e tempo di vita è scomparsa e tutto è diventato funzionale al lavoro.

Come abbiamo scritto in Tempo di lavoro, tempo di vita, nelle società pre-capitalistiche il tempo della produzione coincideva del tutto con quello di riproduzione dell'individuo e della specie, e il tempo di lavoro era immediatamente tempo di vita. La società capitalistica, grazie alle macchine, all'organizzazione scientifica del lavoro, al passaggio dall'industria pesante a produzioni sempre più "leggere" e smaterializzate, ecc., ha oggettivamente liberato una parte dell'umanità dalla necessità di lavorare per molte ore. Nella società futura, in cui molte delle occupazioni inventate dal capitalismo non avranno più ragione d'essere perché non ci sarà alcuna disoccupazione da contrastare, tutti i componenti saranno impegnati nella produzione, nella distribuzione in armonia con l'ambiente in cui esse avvengono senza avere la nozione di "costo" e neppure di "valore", e il tempo di lavoro corrisponderà al tempo di vita.

I processi in atto che coinvolgono i settori dell'industria e della finanza mostrano ancora più chiaramente le dinamiche che portano verso questa direzione. Nell'articolo Massimo di centralizzazione abbiamo messo in luce lo sviluppo della capacità autorganizzativa, non solo nella rete internet, ma più in generale nella rete produttiva, dove va scomparendo la figura del singolo padrone e il passaggio alla centralizzazione è reso più facile dallo sviluppo dell'economia virtuale, per cui le merci fisiche lasciano il passo a quelle immateriali e moltissime figure lavorative vengono soppiantate dalle macchine. In un processo di innovazione tecnologica sempre più veloce (La singolarità è vicina, Kurzweil), il capitalismo è oramai diventato un freno insopportabile per lo sviluppo di quelle stesse forze produttive che sono state suo motore propulsivo.

Un intero mondo sta scomparendo sotto i nostri occhi: le relazioni tra gli uomini si dispongono a rete, e Internet, lo specchio fedele di tutto ciò che di positivo e negativo esiste al mondo, ha uno sviluppo enorme. Mai fenomeni della sovrastruttura hanno rispecchiato in modo così netto e visibile la struttura del modo di produzione. Questo è un assunto di Marx: più il Capitale matura, cioè marcia verso la sua disfatta storica, più si rende evidente la sua natura transitoria con la formazione delle strutture adatte alla forma di domani. Basti pensare allo smartphone prodotto da Amazon. Il percorso seguito dalla grande compagnia americana è simile a quello delle altri grandi aziende operanti in rete, le quali, partite da un settore specifico, si sono poi allargate ad altri: Facebook studia "caschi" computerizzati, Google si interessa di "occhiali intelligenti", entrambe puntano sui droni per ingrandire il loro raggio d'azione. Nell'articolo Tutto è in vendita, col telefono di Amazon Giuliano Santoro scrive:

"Ormai da tempo giganti dell'economia digitale Apple, Google, Microsoft ed Amazon combattono una guerra che è cominciata sui monitor e sta tracimando sugli schermi delle televisioni di nuova generazione e sui display dei dispositivi mobili. L'enorme massa di dati elaborata dagli algoritmi pervasivi di Google, ad esempio, costituisce una minaccia per gli affari di Amazon. Come ha spiegato David Streifeld sul New York Times, fino ad oggi la prospettiva era questa: chiunque avesse cercato su Google informazioni sulla farina di cocco, avrebbe ricevuto sul suo apparecchio una comunicazione ogni volta che si sarebbe avvicinato a meno di 50 metri da una determinata catena che vende quel prodotto. Ecco perché Google nel 2011 ha acquistato Motorola e ha sperimentato il telefono Nexus. Adesso, con l'Amazon-Phone, la relazione tra la nostra vita quotidiana e il mercato si annuncia ancora più stringente: puoi acquistare una merce, e riceverla nel giro di poche ore direttamente a casa, ogni volta che la inquadri con la fotocamera o ne digiti il nome. Il mondo circostante diventa un enorme negozio, le mura dei centri commerciali si spalmano nella metropoli come era già avvenuto con i cancelli della fabbrica."

Amazon, col suo telefono, elimina ogni intermediario tra le merci e il cliente, tentando così di imporre definitivamente il predominio nel settore di appartenenza; allo stesso tempo però opera un cambiamento incisivo sul funzionamento del mercato, a cui tutti gli altri si dovranno adeguare. E' il capitalismo stesso che modifica dall'interno elementi fondamentali della sua struttura. Se a questo aggiungiamo l'incessante sviluppo dell'automazione e della relativa capacità sostitutiva dell'uomo, in un contesto di crisi che perdura da otto anni, scorgiamo all'orizzonte il profilarsi di tremende contraddizioni.

In chiusura di teleriunione abbiamo accennato alla mobilitazione prevista (e poi annullata) per l'11 luglio a Torino, e al nuovo allarme di rischio fallimento per l'Argentina.

Saltato il vertice, "viene meno la data di mobilitazione". Così hanno spiegato la cancellazione della giornata di protesta le "realtà torinesi organizzatrici dell'assemblea del 31 maggio". La rete di lotta che nelle settimane precedenti si era messa in moto ed era mano a mano cresciuta, con il lancio di iniziative, assemblee pubbliche e hashtag (#civediamol11) dedicati alla manifestazione, si è così trovata disorientata, rimanendo vittima di un paradosso logico. Da una parte il "movimento" ha delle potenzialità di coordinamento mai viste prima, dall'altra il fenomeno del codismo è duro a morire e si continua a correre dietro alle scadenze imposte dall'avversario.

E' di questi giorni la sentenza della corte suprema degli Usa sul debito dell'Argentina, 1,3 miliardi di dollari, nei confronti di alcuni hedge found possessori di bond e titoli sovrani. La Kirchner e il suo governo stanno tentando di dilazionare il pagamento, mentre la finanza internazionale chiede che il prelievo, al di là del debito stesso, venga garantito dall'aumento della produttività, e cioè dall'intensificazione dello sfruttamento operaio. La situazione non può non avere ripercussioni in borsa, la spirale continua ad avvitarsi su se stessa, e prima o poi, come nel vicino Brasile, il proletariato si metterà in moto.

D'altronde, non si può estrarre da pochi operai tanto plusvalore quanto se ne estraeva da molti. C'è un limite, dato dalla lunghezza non variabile a piacere della giornata lavorativa, oltre il quale non si può andare.

Articoli correlati (da tag)

  • Polarizzazione sociale in Francia

    La teleconferenza di martedì sera, a cui si sono connessi 18 compagni, è iniziata con alcune considerazioni riguardo le rivolte scoppiate in Francia in seguito all'uccisione del giovane Nahel per mano della polizia a Nanterre.

    Quanto accade in Francia ci ha dato modo di riprendere l'articolo "La banlieue è il mondo", scritto dopo la sommossa del 2005. In questi giorni, così come nel passato, nel paese si è innescata una potente polarizzazione che ha schierato da una parte i difensori dell'esistente, e dall'altra chi non ha nulla da perdere se non le proprie catene: senza riserve che non hanno rivendicazioni da fare all'interno del sistema, di cui non si sentono parte e che non riconoscono. Successivamente alla rivolta del 2005, iniziò la lotta contro il CPE, il contratto di primo impiego; oggi, la rivolta scoppia poco dopo la fine del movimento contro la legge sulle pensioni. In entrambi i casi le mobilitazioni dei sindacati non si sono incontrate con le proteste del proletariato delle periferie, "estremo, disoccupato, escluso anche per fattori etnici". Le lotte sindacali sono rivendicative e hanno come obiettivo la critica a leggi promulgate dal governo, i giovani banliuesard, invece, attaccano tutto quanto ha attinenza con lo Stato e saccheggiano la proprietà. Sono le loro condizioni materiali, non l'ideologia, a spingerli a comportarsi in un determinato modo. Fonti governative affermano che l'età media dei rivoltosi è di 17 anni.

    Dal 2005 in Francia è in corso un'escalation sociale. Secondo il ministero dell'Interno francese, il livello di violenza attuale (poliziotti feriti, edifici pubblici distrutti, ecc.) è superiore alla precedente ondata di rivolta. Marsiglia, seconda città francese per numero di abitanti dopo Parigi, è stata teatro di scontri durissimi tra giovani e forze dell'ordine, ed una persona è rimasta uccisa da una "flash ball" sparata dalla polizia, lo stesso tipo di arma (proiettile di gomma) che durante le proteste dei Gilets jaunes aveva causato decine di feriti gravi.

  • Escalation economica, militare e sociale

    La teleconferenza di martedì sera, a cui si sono collegati 15 compagni, è cominciata commentando la notizia di stampa sull'esaurimento delle scorte di munizioni da parte dei paesi Nato.

    Il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, dopo la firma della dichiarazione congiunta per la cooperazione tra Nato e Ue, ha dichiarato: "Gli alleati della Nato e i membri dell'Ue hanno esaurito i loro stock per fornire supporto all'Ucraina e questa è stata la cosa giusta da fare perché riguarda anche la nostra sicurezza". Riguardo al conflitto in corso, ha aggiunto: "La Russia ha subito grandi perdite in Ucraina ma non dobbiamo sottostimarla, Mosca sta mobilitando nuove truppe e nonostante le sofferenze sta mostrando la volontà di continuare la guerra. Non c'è alcuna indicazione che Putin abbia cambiato i propri obiettivi sull'invasione dell'Ucraina. Dobbiamo essere preparati ad una lunga guerra e a proseguire il supporto all'Ucraina."

    Il supporto all'Ucraina ora comprende l'invio di mezzi di fabbricazione tedesca Leopard 2, tra i migliori carri armati al mondo. Fino all'ultimo, la Germania ha cercato di evitare un coinvolgimento diretto nella guerra ma poi ha dovuto cedere alle pressioni della Polonia e dei Paesi baltici, e degli Stati Uniti, che in cambio hanno promesso di inviare a Kiev carri armati di terza generazione M1 Abrams. Ciò significa che vi sarà un'escalation bellica ("What Western tanks should give Ukraine in the next round of the war", The Economist, 22.01.23).

  • Guerra interconnessa

    Durante la teleriunione di martedì sera, a cui hanno partecipato 21 compagni, abbiamo commentato l'articolo "The technology of seeing and shooting your enemies", apparso sulla rivista The Economist e dedicato all'analisi della guerra occorsa nel 2020 tra Azerbaigian e Armenia per il Nagorno-Karabakh, un'enclave di etnia armena all'interno del territorio azero.

    L'approfondimento proposto dal settimanale inglese è interessante perché mette in luce le dinamiche che si sono sviluppate durante il conflitto. L'Azerbaigian dispone di un equipaggiamento militare risalente all'era sovietica ma si procura da Israele e Turchia i droni TB2 e Harop, che si rivelano fondamentali per la vittoria. I velivoli acquistati, in grado di lanciare bombe e missili e di effettuare attacchi "kamikaze" ai radar nemici, sbaragliano in pochissimo tempo i mezzi d'artiglieria e le postazioni missilistiche armene. Lo scontro, seppur breve (è durato 44 giorni), è seguito con attenzione dagli esperti militari di tutto il mondo, poiché individuano in esso alcuni degli elementi che potrebbero caratterizzare i futuri conflitti, anche ad una scala maggiore.

Rivista n°55, luglio 2024

copertina n° 55

Editoriale: Non potete fermarvi

Articoli: Evoluzione extra biologica - Transizione di fase. Prove generali di guerra

Rassegna: Presa d'atto - Il capitalismo è morto

Recensione: Dallo sciopero, alla rivolta, alla Comune - Guerra civile negli USA, ma non quella vera

Doppia direzione: Il programma immediato non ammette mediazioni

Raccolta della rivista n+1

Newsletter 245, 19 gennaio 2022

f6Libertà

Viviamo in una società che scoppia. I suoi membri, divisi o raggruppati secondo criteri il più delle volte arbitrari e casuali, non riescono più a darsi un'identità plausibile. La pandemia, invece di compattare gli individui intorno a provvedimenti utili alla salvaguardia della specie, ha aggravato la situazione facendo emergere ataviche tendenze all'irrazionale.

Continua a leggere la newsletter 245
Leggi le altre newsletter

Abbonati alla rivista

Per abbonarti (euro 20, minimo 4 numeri) richiedi l'ultimo numero uscito, te lo invieremo gratuitamente con allegato un bollettino di Conto Corrente Postale prestampato.
Scrivi a : mail2

Iscriviti alla newsletter

Iscriviti alla newsletter quindicinale di n+1.

Invia una mail a indirizzo email