Informazioni aggiuntive

  • Resoconto teleriunione  17 novembre 2015

Parigi: un pezzo della guerra mondiale

La teleconferenza di martedì sera, presenti 19 compagni, è iniziata con le ultime notizie sugli attentati di Parigi.

Come dice Papa Francesco, si tratta di una guerra mondiale combattuta a pezzi. Jihadisti, servizi segreti, polizie e dosi massicce di propaganda confondono lo scenario e gettano ombra sulle reali cause della guerra e del marasma sociale in corso. Comunque, non si tratta di semplice terrorismo, questo è il nuovo modo di fare la guerra. Il vuoto di strategia da parte borghese è dovuto al fatto che gli stati non sanno più che pesci pigliare. La lotta al terrorismo di cui si parla dall'11 settembre in poi non ferma gli attentati, li moltiplica. I recenti attacchi a Parigi (messi in atto da cellule jihadiste auto-organizzate) sono una risposta ai bombardamenti dei francesi alle postazioni siriane dello Stato Islamico. A cui la Francia ha a sua volta replicato intensificando le incursioni aeree in Siria, in una spirale senza soluzione di continuità.

Oggi la guerra permea la società, è il suo modo di essere. Non c'è più confine fra le sue varie componenti. La continuità della guerra si esprime non solo nel fatto che essa c'è sempre, ma che tutta la società vi si attrezza, rendendo labilissimo il confine fra "civile" e "militare" (Dall'equilibrio del terrore al terrore dell'equilibrio, n+1 n. 21). Una cosa è certa, non è possibile la guerra asimmetrica: nella logica della guerra (da quella antica a quella moderna) se c'è scontro è perché si è raggiunta una simmetria di qualche tipo.

Adesso tutta l'attenzione è puntata su Parigi ma è il mondo intero a essere in subbuglio. Ad Hannover è stata sospesa una partita di calcio per un allarme bomba e non dobbiamo dimenticare il recente scoppio dell'aereo russo sul Sinai e il mega attentato a Beirut in un quartiere a maggioranza sciita controllato da Hezbollah. In questo clima di propaganda pro-Occidente nessuno si accorge che sono sparite le portaerei americane dal Mediterraneo, sostituite da quelle russe. Gli Usa abdicano alla loro funzione di sbirro mondiale e i russi bombardano Raqqa insieme ai francesi, ma nessuno vuole mandare fantaccini terrestri sul campo (minato) siriano. Si teme l'impantanamento.

Con l'eliminazione del regime di Saddam Hussein gli Usa hanno messo a tacere i sunniti del Baath, i quali per tutta risposta hanno iniziato a organizzarsi e, a partire dalla Siria, si sono alleati con le forze del nascente Califfato conquistando terreno, conducendo una guerra mobile fatta di spostamenti a bordo di automezzi, con relativamente pochi militanti e tanto terrore. Stiamo parlando di forze nate prima dell'attuale fenomeno di collasso degli stati. Il Califfato è un'invenzione astuta: permette di essere transnazionali, la sua parola vale per tutti coloro che giurano fedeltà a quel tipo di religione/ideologia, dal ragazzino della banlieue al combattente prezzolato. Stati islamici sono attivi in Niger, Ciad, Mali, Somalia e Libia e quindi distruggere Daesh che è presente tra Siria e Iraq non serve a nulla. Si può anche decapitare la direzione dell'IS, ma è difficile pensare che non rispunti altrove. Il nemico non è uno stato classico ma una "rete" emersa dalle macerie degli apparati statali disgregati. Oggi ci troviamo di fronte a guerre tra stati al collasso, eserciti irregolari, servizi segreti e "foreign fighters". Israele ne sa qualcosa: è uno stato vero che combatte contro Hamas e Hezbollah, che non sono propriamente degli stati.

Dalla Seconda Guerra Mondiale in poi la popolazione civile diventa bersaglio e le partigianerie parte integrante degli schieramenti di guerra tra forze borghesi.

A tal proposito, non poteva mancare un riferimento ai cyberattivisti di Anonymous che hanno iniziato a sabotare gli strumenti di propaganda dell'islamismo radicale sul Web. Il collettivo anonimo, che per un certo periodo è stato identificato dagli stati come un gruppo di terroristi, adesso raccoglie la simpatia dei media mainstream perché combatte contro gli jihadisti. Anche i sinistri nostrani si schierano scendendo in piazza indignatissimi contro l'IS e sventolando le bandiere curde del Rojava; si tratta dei soliti luogocomunisti che fanno fronte comune con i maggiori paesi imperialisti e le rispettive borghesie. Gruppi che sembrano antisistema ma appena il gioco si fa duro diventano paladini dell'esistente.

Tutti sono costretti a muoversi spinti da determinazioni materiali che nessuno controlla. Nelle periferie francesi, per esempio, vi sono reti riconducibili ai Fratelli Mussulmani che hanno messo radici. Vi sono intere banlieue grandi come città dove la popolazione non ce la fa più a campare, sacche di senza riserve sopravvivono grazie all'elemosina elargita dalla società, odiando al tempo stesso la società (Nous les zonards voyous, n+1 n. 19). In questo senso la militarizzazione in corso in Francia e altrove può essere vista come un giro di vite repressivo contro la temuta minaccia interna. La guerra moderna mira soprattutto alla conservazione di classe, è guerra preventiva contro il potenziale rivoluzionario del proletariato.

Il mondo si semplifica, siamo in una situazione che permette di saltare il passaggio dalla guerra imperialista alla guerra civile. Siamo già alla guerra civile, il prossimo passo sarà la rottura rivoluzionaria. La storia ha un movimento irreversibile verso il futuro, le situazioni sociali maturano e portano a conseguenze inevitabili. All'apparenza assistiamo a uno scontro di civiltà (Huntigton) o alla fine della storia (Fukuyama), un presente senza sbocco, una sorta di eternizzazione del capitalismo. In realtà la guerra endemica tra parti dell'umanità è un conflitto che vede contrapposti stati borghesi, con la differenza che gli scenari non somigliano a quelli della Guerra Fredda, non c'è più lo sceriffo globale a regolare gli scontri interstatali e soprattutto manca il valore da distribuire. Il mondo borghese trema all'idea di una guerra civile internazionale: le zone del mondo socialmente surriscaldate si moltiplicano. Basti pensare a quanto accaduto mesi fa a Yarmouk dove l'IS ha cercato di occupare il campo profughi palestinese: ne è venuto fuori un caos estremo in cui non si sapeva bene chi doveva proteggersi da chi e chi era il vero nemico. Yarmouk è il paradigma della guerra mondiale, una lotta di tutti contro tutti.

Articoli correlati (da tag)

  • Vedere oltre la catastrofe

    La teleriunione di martedì sera è iniziata affrontando il tema delle imminenti elezioni americane.

    Come nota The Economist nell'articolo "The risk of election violence in America is real", il termometro sociale negli USA registra l'aumento della tensione, con toni da guerra civile. Nel nostro testo "Teoria e prassi della nuova politiguerra americana" (2003), abbiamo scritto che "la direzione del moto storico, l'andare verso... è irreversibile. Se il determinismo ha un senso, gli Stati Uniti sono ciò che la storia del globo li ha portati ad essere."

    La polarizzazione economica e politica negli USA è il prodotto di una dinamica storica che possiamo far partire almeno dal 1971, quando il presidente Nixon eliminò l'ancoraggio del dollaro all'oro. Gli Stati Uniti assommano su di sé tutte le contraddizioni del capitalismo mondiale, e non è un caso che proprio lì sia nato un movimento avanzato come Occupy Wall Street che, nei suoi due anni di esistenza, ha voltato le spalle alla politica parlamentare, al leaderismo e al riformismo. Interessante, a tal proposito, la descrizione che viene fatta di Occupy Sandy nel libro Emergenza. Come sopravvivere in un mondo in fiamme di Adam Greenfield:

  • Cresce la tensione ovunque

    La teleriunione di martedì sera è iniziata commentando la situazione di guerra in Medioriente.

    Recentemente, le forze di difesa israeliane hanno preso di mira le basi UNIFIL presenti nel sud del Libano, lungo la "linea blu", con il chiaro intento di farle evacuare. Nell'attacco sono state distrutte le telecamere e le torrette di osservazione, e ci sono stati alcuni feriti tra i caschi blu. I ministri degli Esteri di Francia, Germania, Italia e Regno Unito hanno manifestato il loro disappunto, mentre Israele ha dichiarato di aver precedentemente invitato il comando UNIFIL a ritirarsi. Le truppe dell'ONU sono presenti in Libano dagli inizi degli anni '80 in quanto "forza militare di interposizione", ma evidentemente il tempo della mediazione è finito per lasciare spazio a quello della guerra aperta.

  • Dall'impero americano, al caos, alla rivoluzione

    La teleriunione di martedì sera ha preso le mosse dall'intervento di Lucio Caracciolo al festival di Limes a Genova 2024 ("Dall'impero americano al caos").

    Le determinazioni materiali spingono gli analisti di politica ed economia internazionale ad affermazioni forti. Caracciolo sostiene che le guerre in corso riguardano la transizione egemonica, ma che nei fatti non c'è nessun nuovo candidato alla guida di un mondo post-USA, e prevede una fase più o meno lunga di caos. Va ricordato che, almeno dagli anni Settanta, si è scoperto che non esiste il caos fine a sé stesso. Gli studi sui sistemi dinamici e la complessità ci indicano l'esistenza di un caos deterministico, nel quale vi sono attrattori strani che rappresentano un nuovo tipo di ordine. Il caos non è dunque il punto di arrivo, ma rappresenta la transizione ad una nuova forma sociale. I teorici dell'autorganizzazione, ad esempio Stuart Kauffman, descrivono il margine del caos come quella "terra di confine" che rende possibili nuove configurazioni.

    Nella rivista monografica "Teoria e prassi della nuova politiguerra americana" abbiamo descritto la guerra, apertasi dopo il crollo del blocco sovietico, il miglior nemico degli USA. Quel mondo bipolare aveva trovato un equilibrio fondato sulla deterrenza nucleare ("Dall'equilibrio del terrore al terrore dell'equilibrio"), che oggi è venuto meno anche dal punto di vista demografico: gli americani sono circa 300 milioni mentre il resto del mondo conta oltre 7 miliardi e mezzo di abitanti. E poi, di questi 300 milioni, la maggioranza non fa parte del sistema dell'1%: lo testimoniano l'ultima ondata di scioperi e il fatto che l'esercito abbia problemi con l'arruolamento. Si sono affacciate sul mondo nuove grandi potenze, in primis la Cina, che già solo per il fatto di esistere e crescere, economicamente e militarmente, mettono in discussione il primato degli Stati Uniti.

Rivista n°55, luglio 2024

copertina n° 55

Editoriale: Non potete fermarvi

Articoli: Evoluzione extra biologica - Transizione di fase. Prove generali di guerra

Rassegna: Presa d'atto - Il capitalismo è morto

Recensione: Dallo sciopero, alla rivolta, alla Comune - Guerra civile negli USA, ma non quella vera

Doppia direzione: Il programma immediato non ammette mediazioni

Raccolta della rivista n+1

Newsletter 245, 19 gennaio 2022

f6Libertà

Viviamo in una società che scoppia. I suoi membri, divisi o raggruppati secondo criteri il più delle volte arbitrari e casuali, non riescono più a darsi un'identità plausibile. La pandemia, invece di compattare gli individui intorno a provvedimenti utili alla salvaguardia della specie, ha aggravato la situazione facendo emergere ataviche tendenze all'irrazionale.

Continua a leggere la newsletter 245
Leggi le altre newsletter

Abbonati alla rivista

Per abbonarti (euro 20, minimo 4 numeri) richiedi l'ultimo numero uscito, te lo invieremo gratuitamente con allegato un bollettino di Conto Corrente Postale prestampato.
Scrivi a : mail2

Iscriviti alla newsletter

Iscriviti alla newsletter quindicinale di n+1.

Invia una mail a indirizzo email