Nel secondo dopoguerra gli Usa producevano circa il 50% del Pil mondiale. In quegli anni gli Stati Uniti erano il maggior creditore mondiale, e il Piano Marshall e la politica del nation building erano necessari per dare sfogo all'immane quantità di capitali e merci. Oggi sono scesi al 20% e da paese creditore si sono trasformati in paese debitore del mondo. Non solo non si possono permettere le guerre, ma le evitano accuratamente.
La successione dei paesi imperialisti alla guida del mondo (Venezia, Spagna, Portogallo, Olanda, Francia, Inghilterra e Stati Uniti) si è inceppata. Oggi non c'è possibilità di un ulteriore passaggio di testimone. La Cina, che ha bruciato velocemente le tappe dello sviluppo capitalista e potrebbe, teoricamente, aspirare al comando, ha visto invertirsi il flusso di capitali: se nella serie storica ingenti somme di denaro si spostavano dalla potenza in declino al paese emergente, oggi la situazione è rovesciata ed è quest'ultimo a finanziare il primo.
Quando parliamo di imperialismo bisogna tenere presente che non si tratta di una particolare politica degli stati, ma della fase ultima del capitalismo. In questa fase, anche i borghesi si accorgono che qualcosa sta cambiando nel profondo della società, soprattutto nella produzione. Significativo, a tal proposito, l'articolo del Sole 24 Ore L'economia automatizzata e le sue conseguenze: "[...] secondo dati recenti dell'Ifr, la Federazione Internazionale di Robotica, lo stock di robot industriali è salito alla cifra record di 1,5 milioni di pezzi, con un trend di crescita annuale del 30%. Posto in questi termini il problema non è più decidere se i robot vanno fermati, ma piuttosto rendersi conto che siamo agli albori di una nuova era." La trasformazione in corso nell'industria va inserita in un contesto più ampio di cambiamento sociale; questo aspetto è ormai talmente evidente che anche alcuni osservatori borghesi hanno cominciato a leggere la liberazione di lavoro ad opera delle macchine come una spinta a riprogettare la vita sociale.
Oltre al collasso dei rapporti sociali, economici e politici, è possibile riscontrare, nella società così com'è, delle anticipazioni di futuro. Abbiamo citato più volte il Venus Project, che si accorge che già oggi ci sarebbero tutti i mezzi per passare dal regno della necessità a quello della libertà. Molto meglio il visionario Jacques Fresco che i tanti ecologisti che vogliono ritornare ad una società pre-industriale. E' vero che la sopravvivenza del capitalismo rovina la buccia organica del Pianeta e comporta seri problemi per la nostra specie, ma l'attività dell'uomo è parte integrante della biosfera e non può essere considerata contro-natura. Nell'articolo sulla questione energetica abbiamo preso in esame gli effetti che ha sul pianeta il consumo di energia da parte dell'uomo capitalistico, ma ci siamo tenuti lontani dall'ecologismo e dalle ideologie prodotte da questa società decadente.
In chiusura di teleconferenza si è accennato alle origini comunistiche della nostra specie. Abbiamo vissuto per milioni di anni in comunità organiche e alcuni gruppi umani ancora oggi vivono così (per esempio gli Yanomami in Amazzonia). Negli spazi ristrettissimi delle moderne metropoli è difficilissimo convivere serenamente con i propri vicini e il fenomeno che abbiamo definito "vita senza senso" ha raggiunto livelli mai visti prima. Ci sono però degli esperimenti interessanti che sono nati proprio come risposta all'atomizzazione sociale. Pensiamo al cohousing oppure alle intentional communities: già dieci anni fa, negli Stati Uniti, 47 milioni di persone vivevano in 230.000 "Common Interest Development" ovvero in ambienti progettati come comunità intenzionali.