La teleriunione di martedì sera è iniziata commentando due articoli pubblicati sull'ultimo numero dell'Economist (22 giugno 2024), dedicato al rapporto tra guerra e intelligenza artificiale.
Nell'articolo "AI will transform the character of warfare" si dimostra come la guerra condotta da macchine gestite da sistemi di IA potrebbe rivelarsi incontrollabile. C'è un rapporto stretto tra industria militare e civile. I computer, si afferma, sono nati in guerra e dalla guerra. La stessa ARPANET, aggiungiamo noi, che anticipò Internet, venne realizzata a partire dal 1969 dalla DARPA (Defence Advanced Research Projetcs Agency) per collegare centri di calcolo e terminali di università, laboratori di ricerca ed enti militari.
Oggigiorno esistono sistemi di IA che si occupano del riconoscimento degli oggetti in un dato spazio e che vengono utilizzati per elaborare i dati e le informazioni raccolte dai droni tramite foto e video. L'integrazione di tali sistemi produce un gigantesco automa che relega ai margini l'essere umano: dato che il tempo per individuare e colpire gli obiettivi è compresso in pochi minuti o addirittura in secondi, il soldato può al massimo supervisionare il sistema. Combattimenti più rapidi e meno pause tra uno scontro e l'altro renderanno più difficile negoziare tregue o fermare l'escalation. Dice Marx nei Grundrisse: con lo sviluppo dell'industria l'operaio da agente principale del processo di produzione ne diventa il sorvegliante per essere sostituito anche in questa funzione da un automa generale.
La teleconferenza di martedì sera, a cui si sono collegati 16 compagni, è cominciata riprendendo quanto scritto nell'ultimo resoconto, ovvero che il conflitto in Ucraina sta dimostrando come la tecnologia stia cambiando il campo di battaglia.
Rispetto agli aspetti messi in luce nell'articolo "La sindrome di Yamamoto", notiamo che oggi molti processi sono ormai manifesti. L'Economist, nell'articolo "A new era of high-tech war has begun", osserva, ad esempio, che la carneficina ucraina contiene tre importanti lezioni per il futuro della guerra:
1) il campo di battaglia sta diventando trasparente e i conflitti futuri dipenderanno dalla capacità di riconoscere il nemico prima che lo faccia quest'ultimo; ciò vuol dire accecare i suoi sensori (siano essi droni o satelliti) e interrompere i canali di invio e ricezione dati, attraverso attacchi informatici, elettronici o di altra natura;
2) la guerra attuale, nonostante faccia largo uso di tecnologie avanzate, coinvolge ancora un'immensa massa di esseri umani e milioni di macchine e munizioni. La Russia, ad esempio, ha sparato 10 milioni di proiettili in un anno e l'Ucraina ha perso 10.000 droni in un mese;
3) il confine tra ambito militare e civile è sempre più sfumato. Anche uno smartphone può trasformarsi in un'arma: tramite un'app, infatti, un civile può segnalare la presenza del nemico e così aiutare a guidare il fuoco dell'artiglieria su un obiettivo. A ciò si aggiunge il complesso industriale bellico, composto da aziende private (vedi Starlink di SpaceX), università e laboratori.
La teleconferenza di martedì sera, a cui si sono connessi 18 compagni, è iniziata con alcune considerazioni riguardo le rivolte scoppiate in Francia in seguito all'uccisione del giovane Nahel per mano della polizia a Nanterre.
Quanto accade in Francia ci ha dato modo di riprendere l'articolo "La banlieue è il mondo", scritto dopo la sommossa del 2005. In questi giorni, così come nel passato, nel paese si è innescata una potente polarizzazione che ha schierato da una parte i difensori dell'esistente, e dall'altra chi non ha nulla da perdere se non le proprie catene: senza riserve che non hanno rivendicazioni da fare all'interno del sistema, di cui non si sentono parte e che non riconoscono. Successivamente alla rivolta del 2005, iniziò la lotta contro il CPE, il contratto di primo impiego; oggi, la rivolta scoppia poco dopo la fine del movimento contro la legge sulle pensioni. In entrambi i casi le mobilitazioni dei sindacati non si sono incontrate con le proteste del proletariato delle periferie, "estremo, disoccupato, escluso anche per fattori etnici". Le lotte sindacali sono rivendicative e hanno come obiettivo la critica a leggi promulgate dal governo, i giovani banliuesard, invece, attaccano tutto quanto ha attinenza con lo Stato e saccheggiano la proprietà. Sono le loro condizioni materiali, non l'ideologia, a spingerli a comportarsi in un determinato modo. Fonti governative affermano che l'età media dei rivoltosi è di 17 anni.
Dal 2005 in Francia è in corso un'escalation sociale. Secondo il ministero dell'Interno francese, il livello di violenza attuale (poliziotti feriti, edifici pubblici distrutti, ecc.) è superiore alla precedente ondata di rivolta. Marsiglia, seconda città francese per numero di abitanti dopo Parigi, è stata teatro di scontri durissimi tra giovani e forze dell'ordine, ed una persona è rimasta uccisa da una "flash ball" sparata dalla polizia, lo stesso tipo di arma (proiettile di gomma) che durante le proteste dei Gilets jaunes aveva causato decine di feriti gravi.
La teleriunione di martedì sera, connessi 19 compagni, è iniziata con l'analisi delle recenti manifestazioni in Israele e in Francia.
Nello Stato d'Israele, dove le mobilitazioni vanno avanti da circa tre mesi, ufficialmente si scende in piazza per difendere l'indipendenza della Corte Suprema e il potere giudiziario, minacciati da una legge del governo Netanyahu (il Parlamento, oltre a scegliere i giudici, può annullare le decisioni della Corte). Secondo gli organizzatori delle mobilitazioni, si tratta di proteggere la democrazia israeliana, messa a repentaglio da un governo di estrema destra.
Israele è un paese con poco meno di nove milioni di abitanti, si trova in un'area geopolitica in subbuglio e negli ultimi anni ha visto l'avvicendarsi di diversi governi. Il ministro della Difesa, Yoav Gallant, ha avvertito Netanyahu del malcontento all'interno dell'esercito in merito all'approvazione della legge, considerata un attacco tangibile allo stato israeliano. Per tutta risposta, il primo ministro ne ha chiesto e ottenuto le dimissioni, scatenando proteste di massa, l'assedio della sua residenza a Gerusalemme e il blocco delle strade principali di Tel Aviv. L'esercito israeliano è un esercito di popolo, per tal motivo la protesta ha coinvolto sia riservisti che reparti d'élite, che hanno minacciato di non presentarsi nelle caserme qualora la legge fosse stata approvata; migliaia di soldati israeliani hanno dichiarato che si rifiuteranno di prestare servizio nell'esercito, tanto che il presidente americano Joe Biden si è detto preoccupato che Israele vada verso una guerra civile. Di fronte al crescere della mobilitazione e la minaccia dello sciopero generale, il primo ministro ha annunciato il "congelamento" della riforma giudiziaria.
Abbiamo cominciato la teleriunione di martedì primo novembre, presenti 18 compagni, parlando di quanto sta accadendo in Brasile dopo l'esito del ballottaggio che ha portato alla vittoria di Ignacio Lula da Silva.
Immediatamente dopo i risultati elettorali, i sostenitori dell'uscente presidente Jair Bolsonaro si sono mobilitati, organizzando blocchi stradali e sit-in fuori dalle caserme. Bolsonaro non ha riconosciuto ufficialmente la vittoria di Lula, ma ha autorizzato la transizione. Secondo l'Economist, la recente campagna elettorale è stata la più incattivita della storia del paese, fatta di toni esagerati (Lula è stato accusato di essere un comunista satanico e Bolsonaro un pedofilo cannibale) e punteggiata da episodi di violenza tra gli opposti schieramenti. Il giorno del ballottaggio alcuni poliziotti hanno istituito posti di blocco negli stati che sostengono Lula, creando difficoltà a chi si recava alle urne. Il giorno dopo, i camionisti che sostengono Bolsonaro hanno bloccato le strade in undici stati, e diverse testate giornalistiche hanno parlato della possibilità di un intervento dell'esercito per riportare l'ordine.
Un paio di anni fa avevamo intitolato un nostro resoconto "Polarizzazione globale" prendendo spunto dall'articolo di Moisés Naím "Negli Stati Uniti ha vinto la polarizzazione"; il giornalista venezuelano sosteneva che ormai le campagne elettorali, invece di ridurre i fenomeni di divisione sociale, li ingigantiscono. La situazione brasiliana sembra un segnale, sia per i toni che per la polarizzazione degli schieramenti politici, di quanto potrebbe accadere a breve negli USA. Le forze politiche una volta antisistema, minoritarie, tenute ai margini, ora si sono fatte sistema. Il riferimento immediato è agli USA di Donald Trump, ma anche ad alcuni paesi europei. Non passa giorno che non escano articoli allarmati sulle elezioni di midterm americane, e sul rischio che rappresentano per la tenuta sociale.
La teleriunione di martedì sera, a cui hanno partecipato 18 compagni, è iniziata con alcune considerazioni in merito alla situazione in Iran, con particolare riferimento alla rivolta per l'uccisione da parte della polizia di una giovane donna rea di non indossare correttamente il velo.
La protesta scoppiata in questi giorni in molte piazze e università iraniane è solo l'ultima in ordine di tempo, da anni nel paese si susseguono ondate di sollevazione popolare a testimonianza di una situazione generalizzata di malessere sociale. L'Iran è un paese capitalistico, ma ha una sovrastruttura politica che potremmo definire semi-medievale. Anche il Movimento Verde, nato nel 2009 contro i brogli elettorali, mise in luce le contraddizioni in cui si dibatte il paese, che puntualmente provocano questo genere di mobilitazioni. Le motivazioni che spingono le persone a scendere in strada possono essere di vario tipo, ma alla base della protesta premono forze sociali che non lottano semplicemente per i "diritti" e che potrebbero imprimere un indirizzo anticapitalistico ("Quale rivoluzione in Iran?").
Durante la teleriunione di martedì sera abbiamo discusso della situazione interna degli Stati Uniti.
Come già accennato negli incontri precedenti, il fronte interno americano appare estremamente polarizzato. Diversi osservatori borghesi ritengono che il rischio di una guerra civile sia molto elevato e temono che le elezioni presidenziali del 2024 possano rappresentare un'ulteriore spinta in questa direzione. Ultimamente The Economist ha pubblicato un'indagine sulla riorganizzazione della destra "alternativa" americana dopo l'assalto a Capitol Hill ("The insurrection failed. What now for America's far right?"). L'articolo è incentrato sulla figura di Ammond Bundy, candidato alla carica di governatore dell'Idaho, fondatore di People's Right, una rete di persone in difesa delle libertà individuali, noto soprattutto per aver guidato degli scontri armati contro il governo federale nel 2014 e nel 2016 raccogliendo intorno a sé numerosi sostenitori. Secondo il settimanale inglese, l'evoluzione di Bundy è paradigmatica e riflette quanto sta accadendo a buona parte dei gruppi e delle milizie di destra dopo il 6 gennaio 2021, e cioè la fusione con la politica ufficiale, in parte incentivata dalle centinaia di richieste di carcerazione per l'assalto al Campidoglio.
La perquisizione da parte dell'FBI presso la tenuta di Donald Trump in Florida dimostra che la profonda spaccatura che attraversa la società americana giunge fino agli apparati statali, in scontro fra loro. Il confine tra le aggregazioni antigovernative ed estremiste di destra e il partito repubblicano è sempre più sfumato. In una recente indagine i ricercatori di Ihrer hanno analizzato i profili Facebook dei 7.383 legislatori statali in carica nel 2021 e nel 2022, e hanno scoperto che il 12% di essi e il 22% di quelli repubblicani appartenevano ad almeno un gruppo social di estrema destra. Ma l'Alt Right americana non è un insieme omogeneo, assembra invece formazioni eterogenee, anche in contrasto: gli Oath Keepers annoverano tra i loro ranghi ufficiali di polizia e militari, i Boogaloo Bois sono ostili alle forze dell'ordine, i Proud Boys sono combattenti di strada, il gruppo di People's Right giustifica le proprie azioni con la Costituzione o la Bibbia. Uno dei principali punti di forza di quest'ultima è la disponibilità a muoversi e a radunarsi "su chiamata" in sostegno ai propri membri contro quelli che ritengono soprusi dello stato federale.
Durante la teleconferenza di martedì sera, a cui hanno partecipato 16 compagni, abbiamo affrontato i grandi fatti della settimana appena trascorsa, ovvero le manifestazioni e le rivolte scoppiate in Sri Lanka, Albania, Kenya, Panama, Corea del Sud, Ghana, Bosnia, Argentina e India, sull'onda degli aumenti dei prezzi dei generi di prima necessità e del carburante.
Le conferme alle nostre previsioni arrivano sia dalla prassi, con la diffusione a livello globale di quello che qualche anno fa abbiamo definito "marasma sociale e guerra", sia a livello teorico, e qui ci riferiamo all'editoriale dell'ultimo numero di Limes ("La guerra russo-americana", 6/22) in cui si afferma che comunque vada a finire questa guerra, il mondo non sarà più quello di prima:
"Da questo conflitto nascerà un nuovo disordine mondiale. Non un ordine, perché chiunque vinca, o sopravviva, non sarà in grado di riprodurre la Pax Americana. Nemmeno l'America. Washington resterà il Numero Uno per carenza di alternative. Ma il capoclassifica non potrà ostentarsi egemone globale, né forse lo vorrà. Ridurre ad unum questa Babele d'otto miliardi di anime e diverse centinaia di attori o comparse geopolitiche è affare di Dio, non di Cesare. Per quanto intuiamo, Dio non è interessato all'impresa. Preghiamo."
Gli esperti di geopolitica si affidano al buon Dio per uscire dal caos, noi invece riteniamo che siano i processi di auto-organizzazione sociale a rompere gli equilibri precedenti facendo fare un balzo in avanti all'umanità. Superata una certa soglia, si determina una "polarizzazione" o "ionizzazione" delle molecole sociali, che precede all'esplosione del grande antagonismo di classe.
Durante la teleconferenza di martedì, a cui si sono collegati 15 compagni, abbiamo parlato dell'aumento del prezzo di cibo e carburante, di proudhonismo risorgente, delle caratteristiche dei futuri movimenti rivoluzionari.
Recentemente The Economist ha pubblicato due articoli sulle conseguenze sociali derivanti dal carovita. Il primo ("Hungry and angry"), più riassuntivo, mette in guardia dall'arrivo di una nuova ondata di agitazioni e disordini; il secondo, una versione estesa dal titolo significativo ("From inflation to insurrection"), descrive più dettagliatamente la situazione dei paesi sull'orlo di una crisi sociale ed economica, ed è accompagnato da una cartina in cui sono evidenziate le zone del mondo dove si prevede il manifestarsi di gravi focolai di disordini nei prossimi dodici mesi. Per elaborare la propria previsione, il settimanale inglese ha costruito un modello statistico, basato sui dati raccolti da un progetto di ricerca globale sugli "eventi di agitazione" (ACLED) dal 1997, per valutare la relazione tra inflazione e rivolte, ed ha scoperto che l'aumento dei prezzi di cibo e carburante è il più forte presagio di instabilità politica e sociale.
L'ultima volta in cui il mondo ha subito uno shock sui prezzi dei prodotti alimentari è scoppiata la Primavera araba, che ha portato ad un'ondata di rivolte e, in alcuni casi, a vere e proprie guerre civili (Siria e Libia). Oggi, lo shock economico si inserisce nel contesto della guerra in Ucraina e lascia presagire una nuova ondata di marasma sociale. L'aumento dei prezzi di cibo e carburante è la forma di inflazione più atroce, dice l'Economist, quella che incide maggiormente sulle popolazioni, soprattutto dei paesi poveri, che possono rimandare l'acquisto di beni secondari ma non possono smettere di mangiare o di utilizzare i trasporti per fare la spesa o andare al lavoro.
La teleconferenza di martedì sera, connessi 19 compagni, è iniziata commentando quanto è accaduto recentemente in Kazakistan, ultimo episodio in ordine cronologico del processo che abbiamo definito "Marasma generale e guerra" (rivista n. 29):
"Quella che stiamo analizzando è un'onda sismica la cui energia sotterranea è la stessa per tutti i differenti fenomeni di superficie, dove qua crolla un muro, là si apre una voragine e altrove cade una frana."
Il Kazakistan ha fatto parte dell'Unione Sovietica fino alla sua disgregazione. Ha una superficie di circa 2,7 milioni di kmq (nove volte l'Italia) e 18 milioni di abitanti; nel suo sottosuolo giaceva il 60% delle risorse minerarie dell'ex blocco sovietico, mentre il suo territorio ne rappresentava il 20% delle terre coltivabili. Attualmente è uno dei maggiori fornitori di frumento e altri generi alimentari per tutta l'area russa. E' il primo produttore al mondo di uranio, ha ampie riserve di petrolio, ed è tra le poche nazioni a disporre di "terre rare", fondamentali nelle produzioni di tecnologia digitale, dalle rinnovabili all'auto elettrica. Dopo la caduta dell'Urss, in tutta la fascia centroasiatica si sono stabilite delle oligarchie, in Kazakistan ben rappresentate dall'ex presidente Nursultan Nazarbaev. Nel paese la ricchezza è concentrata nelle mani di élite ristrettissime, mentre la popolazione versa in condizioni sempre più precarie. Stando ai dati relativi all'anno scorso diffusi dal World Inequality Database, il 10% più ricco della nazione detiene circa il 60% della ricchezza totale, mentre più del 4% degli abitanti vive al di sotto della soglia di povertà.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 17 compagni, è iniziata con alcune considerazioni sugli sviluppi della pandemia.
A furia di riaprire negozi, uffici, ristoranti e tante altre attività, la borghesia è riuscita a far ripartire la crescita dei contagi. Da qualche settimana Inghilterra, Olanda, Grecia, Spagna, Israele, Francia e Italia registrano un netto aumento dei malati e la relativa impennata del tasso di positività. A Roma pare che il boom di nuovi casi sia dovuto ai festeggiamenti avvenuti in seguito alla partita di calcio tra Italia e Inghilterra. Borghesia e mezze classi hanno in mente solo il business, non vedono altro, e per rilanciare gli acquisti e il turismo sono disposte a far ripiombare la società in piena emergenza sanitaria. Il governo inglese ha annunciato il Freedom day: auditorium e stadi potranno funzionare a pieno regime, le discoteche torneranno ad accogliere il pubblico, il servizio bar sarà nuovamente autorizzato nei pub, e non ci sarà più alcun limite al numero di persone che possono radunarsi; cadrà l'obbligo di indossare la mascherina nei negozi e sui mezzi pubblici, il telelavoro diventerà facoltativo. Eppure, Londra sta facendo i conti con un aumento vertiginoso dei casi di contagio.
Questa pandemia sta provocando effetti sociali a livello globale. L'emergenza e la diffusione di nuove varianti del virus, che secondo l'OMS potrebbero rivelarsi più pericolose della Delta e riuscire a neutralizzare l'effetto dei vaccini, alzano il rischio di una condizione out of control. E' una situazione fluida, che stimola prese di posizione, da parte della politica parlamentare e di quella extra-parlamentare, dove si moltiplicano le opinioni, i dibattiti sull'utilità o meno del vaccino e le opposte partigianerie. Qualche giorno fa un nostro corrispondente ci ha chiesto se siamo favorevoli o contrari all'obbligo vaccinale. Gli abbiamo scritto che in realtà la domanda da porsi è un'altra: le trasfusioni di sangue servono? Gli antibiotici servono? E l'antitetanica è utile?
La teleconferenza di martedì sera, presenti 17 compagni, è iniziata con il commento di alcune notizie di carattere finanziario.
Apple "vale" in Borsa circa 2mila miliardi di dollari, quanto il PIL italiano. Insieme a Facebook, Amazon, Microsoft e Google, è giunta a totalizzare il 20% del valore dell'intero indice Standard & Poor's 500, stabilendo un record assoluto. Le cosiddette Big Five valgono ormai oltre 5 mila miliardi di dollari, più dei PIL di Italia e Francia messi insieme. A differenza delle acciaierie del XVIII e XIX secolo, dove migliaia e migliaia di operai lavoravano gomito a gomito, le aziende moderne, e soprattutto quelle che hanno saputo cavalcare la trasformazione digitale dell'economia, hanno pochi dipendenti e fanno profitti muovendo merci virtuali e smaterializzate. Queste corporation hi-tech sono diventate dei centri di attrazione per il capitale fittizio, anonimo e internazionale, accrescendo la loro potenza e arrivando ad influenzare le scelte dei governi. Alcuni economisti lanciano l'allarme evidenziando la pericolosa contraddizione tra la frenetica attività della finanza e l'asfittica situazione in cui versa l'industria ("Parmalat, tentata fuga dalla legge del valore").
Gli stati non hanno alcuna possibilità di invertire la tendenza alla centralizzazione: il capitale domina sulla politica e sui governi, e non viceversa. A fare la differenza è il volume di denaro messo in campo dalle mega-aziende. Negli Usa l'insider trading, ovvero lo sfruttamento di informazioni non di dominio pubblico la cui divulgazione provoca effetti nelle quotazioni di titoli, è punito per legge. Il visionario imprenditore Elon Musk, a capo di un impero economico, è famoso per provocare con i suoi tweet confusione in borsa, in barba alle regole. Le cifre in ballo sono talmente alte che qualsiasi multa della SEC (Securities and Exchange Commission) non preoccupa più di tanto questi colossi aziendali, che continuano a fare il bello e il brutto tempo.
La teleconferenza di martedì sera, a cui si sono collegati 17 compagni, è iniziata dalla segnalazione di un'intervista dell'ottobre 2010 a Cesare Romiti (riproposta da Repubblica), in cui il dirigente d'azienda, recentemente scomparso, rivendicava di aver normalizzato con la sua azione nel corso del 1980 (vedi marcia dei quarantamila) i sindacati, minacciati dall'infiltrazione di frange estremistiche. L'esito di quel braccio di ferro, che durò 35 giorni, fu la ritrovata "governabilità delle fabbriche", che alla fine piacque anche ai bonzi sindacali.
Il patto corporativo tra capitale e lavoro, che affonda le radici nel Ventennio, è rimasto in piedi fino ai giorni nostri. Il fascismo, dice la nostra corrente, ha perso militarmente la guerra, ma l'ha vinta sul piano politico ed economico. Questo tentativo di auto-regolazione del capitalismo è riuscito a rimandare di decenni lo scoppio della rivoluzione, ma ormai ha fatto il suo tempo, e oltre ci può essere solo il passaggio ad un'altra forma sociale. Anche perché non torneranno più le fabbriche con migliaia di lavoratori inquadrati in sindacati ramificati nella società, non torneranno gli indici di crescita del capitalismo del dopoguerra, non torneranno i partiti stalinisti di massa.
La teleconferenza di martedì sera, a cui hanno partecipato 7 compagni, è cominciata dal tema del "lavoro", o meglio del lavoro alienato che, come dice Marx, fa sì che l'uomo si senta tale solo quando mangia, beve e si accoppia (attività che condivide con le bestie), e si senta bestia quando lavora (attività che gli sarebbe peculiare).
Un compagno ha fatto notare che il "lavoro" è un'attività umana invariante, incessante nei millenni (l'arco millenario che lega l'ancestrale uomo tribale lottatore con le belve al membro della comunità futura) nonostante il variare storico dei paesaggi epigenetici innumerevoli volte rivoluzionati. Perciò possiamo indicare la forma, che esprime il "lavoro" della natura sulla materia sia organica che inorganica, come il movimento in quanto tale.
Ora, il "prodotto" di questo incessante movimento-lavoro della materia per miliardi di anni altro non è che lo stato attuale delle cose. L'uomo è nella fase della sua storia in cui quel primordiale movimento-lavoro ha assunto la modalità capitalistica, alienandosi. Il prossimo balzo evolutivo della specie verso il regno della libertà la emanciperà dal lavoro come cieco movimento della materia sociale. Rovesciata la prassi, per la prima volta l'umanità non sarà solo "cosciente" ma anche "dirigente" il suo proprio lavoro, ossia il suo proprio movimento-lavoro, ad un gradino evolutivo superiore. Scienza dell'uomo e della natura si integreranno e allora non ci sarà che una sola scienza.
La teleconferenza di martedì 9 luglio, a cui hanno partecipato 11 compagni, ha avuto come tema principale il ricorso di alcuni anniversari.
Tra il 7 e il 9 luglio del 1962, in Piazza Statuto a Torino, si verificano violenti scontri tra forze dell'ordine e operai in seguito alla firma di un accordo sindacale separato tra Uil e Fiat. La mattina del 7 luglio i maggiori stabilimenti industriali della città si fermano e gli operai incolleriti si concentrano di fronte alla sede della Uil in Piazza Statuto; ne nascono degli scontri con la polizia che durano per tre giorni con il risultato di più di un migliaio di fermi, quasi un centinaio di arrestati e svariate centinaia di feriti da entrambe le parti.
Dalle fila del PCI ai sinistri dei Quaderni Rossi, si alza un coro unanime di condanna dei fatti di piazza Statuto, giudicati una "squallida degenerazione" di una manifestazione di protesta operaia. L'Unità del 9 luglio definisce la rivolta come "tentativi teppistici e provocatori", ed i manifestanti "elementi incontrollati ed esasperati", "piccoli gruppi di irresponsabili", "giovani scalmanati", "anarchici, internazionalisti". Al contrario, il programma comunista n. 14 del 17 luglio 1962, esce con un potente articolo intitolato "Evviva i teppisti della guerra di classe! Abbasso gli adoratori dell'ordine costituito!", in cui si afferma che ha poco senso essere non violenti quando quotidianamente si subisce la violenza del lavoro salariato.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 13 compagni, è iniziata con la segnalazione di alcuni articoli di stampa sulla situazione economica tedesca.
Abbiamo cominciato commentando l'articolo "Germania, i colossi industriali taglieranno 100mila posti di lavoro" del Sole 24 Ore, per poi passare a quello dell'Huffington Post intitolato "Gli ordini industriali tedeschi crollano ancora con il maggior ribasso da due anni. Più che dimezzate le stime del Pil della Germania". In effetti, a febbraio gli ordini industriali tedeschi hanno segnato una flessione del 4,2% e su base annua dell'8,4%, la più pesante in dieci anni; ciò ha portato i maggiori istituti economici a ridimensionare anche le previsioni di crescita dall'1,9 allo 0,8% per l'anno in corso. La Germania ha una struttura produttiva orientata all'esportazione e, evidentemente, risente della contrazione del commercio mondiale, proprio come l'Italia, tanto che il ministro dell'economia Giovanni Tria, intervistato da Repubblica, ha affermato che la situazione tedesca è sempre più simile a quella nostrana:
"I Paesi più colpiti in Europa, sono le due principali potenze manifatturiere, ossia Germania e Italia. La Germania parte da livelli di crescita del Pil più alti dei nostri e quindi anche il rallentamento non la porta a livelli di crescita vicini allo zero; ma la differenza tra il nostro Paese e loro si mantiene costante, mentre anche secondo stime di organismi internazionali già nel 2020 il gap di crescita tra l'Italia da una parte e la Germania e l'Eurozona dall'altra, si ridurrà."
La teleconferenza di martedì sera, presenti 14 compagni, è iniziata commentando le news in arrivo dal Venezuela, dove in seguito agli assalti a supermercati e negozi da parte della popolazione, ormai ridotta alla fame, il governo Maduro ha costretto gli esercenti ad abbassare i costi dei beni di prima necessità. Nel paese i prezzi delle merci sono arrivati alle stelle a causa di un'inflazione a livelli da record, mentre il Bolivar, la moneta locale, non viene più accettata nelle transazioni.
La situazione economica in cui versa il paese è molto simile a quella di altre aree del mondo dove storicamente vengono attuate misure per calmierare i beni di prima necessità. Quando le condizioni economiche peggiorano e tali misure non possono più essere mantenute, quando i governi non riescono più a sfamare le popolazioni, scattano le rivolte, i saccheggi e le manifestazioni.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 12 compagni, è iniziata discutendo delle manifestazioni per il Primo Maggio nel mondo.
I danneggiamenti verificatesi a Milano durante il corteo No Expo hanno suscitato un gran clamore, soprattutto da parte dei media. Per quanto ci riguarda, la contrapposizione violenza/non-violenza è un prodotto del tutto ideologico della società presente, in natura tale dicotomia non esiste.
Non ci interessano molto i giudizi di giornalisti e sinistri sugli scontri. La nostra teoria sociale parte dal generale, va al particolare e poi astrae di nuovo. E' quindi importante inquadrare i fatti all'interno di una solida cornice teorica, in modo da non rimanere intrappolati nell'immediatismo. A tal proposito, abbiamo ricordato i lavori di Mark Buchanan sulla fisica della storia: se intendiamo la specie umana come un insieme di atomi sociali in relazione tra di loro anziché come individui coscienti, allora possiamo scovare delle leggi di movimento che vanno al di là della somma delle opinioni. In un sistema di tipo fisico composto di atomi sociali, all'aumento della temperatura corrisponde un'agitazione caotica.
La teleconferenza di martedì sera, a cui hanno partecipato 12 compagni, si è aperta con le notizie provenienti dagli Stati Uniti.
Un altro giovane afroamericano muore per le percosse ricevute dalla polizia durante l'arresto a Baltimora. Per le strade della città del Maryland, a soli 40 km da Washington e a 270 da New York, esplode la rivolta, viene inviata la Guardia Nazionale e istituito il coprifuoco. Le gang della città stringono un'alleanza per respingere la polizia dai quartieri, mettendo in moto una prima forma di coordinamento territoriale. E Mentre a Baltimora esplode la rabbia, a Detroit si registra un nuovo caso: un giovane di colore di 20 anni, sospettato di rapina e armato con un martello, viene ucciso da un poliziotto. Sull'episodio viene aperta un'inchiesta, mentre sono previste proteste in strada.
Il fronte interno americano si fa sempre più minaccioso, Baltimora è solo l'ultima in ordine cronologico delle città attraversate dai disordini e dalle proteste contro la violenza della polizia, in special modo verso gli afroamericani. La faccenda comincia a preoccupare seriamente il presidente Obama: se le rivolte dovessero scoppiare contemporaneamente in più città, diventerebbe difficile gestire la situazione senza alzare il livello di repressione. Segnali di solidarietà ai manifestanti arrivano da tutti gli Stati Uniti; tra i più significativi il blocco del porto di Oakland indetto per il Primo Maggio dai sindacati locali, in collegamento con le iniziative del movimento #BlackLivesMatter.
La teleconferenza di martedì, a cui si sono connessi 15 compagni, è iniziata con alcune considerazioni sul discorso di Renzi alla stazione Leopolda di Firenze. L'Italietta sgangherata sta cercando di darsi un po' di italian pride in salsa fascio-proudhoniana: vedremo se si tratta di una realtà che produce effetti o se ci ritroveremo di fronte ad una edizione in farsa del populismo alla Giannini (movimento dell'Uomo qualunque) scomparso nel nulla dopo aver riempito le piazze nel '48.
Il premier ha ufficialmente disconosciuto i sindacati quali interlocutori in materia di politica economica. Camusso, di ritorno dal tavolo con il governo per discutere della Legge di stabilità, ha lamentato un clima surreale in cui i ministri presenti non avevano il mandato per trattare e "non erano nelle condizioni di rispondere". Ma nel clima surreale, probabilmente, ci si è trovata soltanto la Cgil, ancorata ad una tradizione concertativa che appartiene al passato e non potrà più ritornare: se non comincia a darsi una mossa e a fare sul serio, allora rischia di essere asfaltata dal rullo compressore renziano.
Anche se apparentemente incredibile con i suoi atteggiamenti stucchevoli e al limite del ridicolo, il Presidente del Consiglio Renzi sta portando avanti con decisione la linea politica inaugurata da Monti, tentando man mano di rimuovere tutti gli ostacoli che impediscono l'accelerazione dei processi decisionali. Quel che gli serve è una democrazia "snella", cioè una sovrastruttura politica con un Esecutivo non troppo intralciato da chiacchiere parlamentari e "disfunzioni" varie.
La riunione online di martedì sera, a cui si sono collegati 15 compagni, si è aperta con le notizie provenienti da Hong Kong.
La città, che a seguito della Guerra dell'Oppio divenne nel 1842 colonia inglese per poi passare nel 1997, con uno statuto amministrativo speciale, sotto il governo della Repubblica Popolare Cinese, deve il soprannome di "città verticale" all'elevatissima densità abitativa. La vertigionosa crescita demografica, per cui è passata dai 7500 abitanti del 1842 ai 7.188.000 del 2013, è dovuta ai flussi migratori delle popolazioni cinesi continentali. Con un'economia prevalentemente basata su turismo, commercio e finanza, l'isola è un noto paradiso fiscale, ma anche l'ottava piazza finanziaria del mondo, sede di ben 107 consolati. Secondo l'indice Gini, la regione registra il più alto tasso di diseguaglianza economica dell'area asiatica.
Le notizie della protesta hongkonghese hanno cominciato a rimbalzare su siti e social network e successivamente su alcuni media mainstream domenica 28 settembre, quando le forze di polizia hanno represso le manifestazioni di piazza, ottenendo peraltro di estenderne la portata. Il movimento, partito dagli studenti e poi allargatosi ad altre fasce della popolazione, si batte per ottenere elezioni libere nel 2017, con candidati non imposti da Pechino.
La discussione di martedì sera, a cui hanno partecipato 12 compagni, si è aperta con il commento di un articolo tratto dalla rivista La Civiltà Cattolica, Fermare la tragedia umanitaria in Iraq, sulla guerra in Medio Oriente e oltre. I fatti di Iraq e Siria, dove le pulizie etniche non sono legate solamente ad aspetti locali ma rappresentano piuttosto un fenomeno in crescita, sono il risultato di un salto di qualità delle dinamiche in atto a livello mondiale. I gesuiti, in questo momento, sembrano tra i pochi ad avere una visione chiara di quanto sta accadendo e parlano con cognizione di causa di Terza Guerra Mondiale. Se la Chiesa in passato aveva condannato i bombardamenti in Iraq e Afghanistan, e più recentemente quelli in Siria, ora si pone diversamente rispetto alla necessità di bloccare l'avanzata del Califfato islamico, rigettando "un pacifismo imbelle e ingenuo al fine di condannare un militarismo che assolutizza l'efficacia della violenza".
A lanciare l'allarme, su un altro versante (ma non troppo), ci prova anche Ezio Mauro con l'editoriale L'Occidente da difendere. Di fronte allo scenario drammatico per cui "una parte sempre più larga di popolazione ha la sensazione davanti alle crisi che il mondo sia fuori controllo", il direttore di Repubblica si mette l'elmetto in testa e afferma con decisione che "l'Occidente oggi va difeso, con ogni mezzo, da chi lo condanna a morte."
A pochi giorni dal 56° incontro redazionale, abbiamo cominciato la teleconferenza (a cui si sono collegati 16 compagni) con una breve presentazione dell'integrazione prevista per la mattinata di domenica su Engels, la dialettica e il tributo a Hegel.
Lucio Colletti, allievo di Galvano della Volpe, scrive Il marxismo ed Hegel, testo in cui tenta di mettere in luce le affinità del materialismo dialettico con la filosofia hegeliana. In realtà a subire l'influenza di Hegel non fu Marx, che già negli scritti giovanili taglia i ponti col filosofo tedesco, ma Engels che, attratto da Hegel in gioventù, non riuscirà mai del tutto a liberarsi dal linguaggio e quindi dalla dialettica del maestro.
Colletti ha il merito di riconoscere questa influenza, per il resto lo scritto è un tentativo maldestro di liquidare con faciloneria la dialettica. Egli sostiene che la nozione dialettica di movimento definita nell'Antidühring di Engels è scorretta poiché fondata sulla logica hegeliana, a sua volta basata sul paradosso della freccia di Zenone, che, a dire dell'autore, è edificato su una semplice ambiguità semantica. Riprendendo l'elaborazione teorica del polacco Adam Schaff, il filosofo italiano tenta di confutare Zenone, per poi negare Hegel, e quindi Engels e il materialismo dialettico.
In Vulcano della produzione o palude del mercato? Bordiga tratta diversamente il paradosso del moto della freccia: inserendolo nella storia della conoscenza umana e considerandolo dal punto di vista degli strumenti che nella sua evoluzione la specie si è data per conoscere, esso rappresenta la conquista da parte dell'umanità della logica del continuo. Zenone dimostrò che, dato che il moto esiste, necessita concludere che sulla traiettoria – finita – i punti sono infiniti, e che la freccia percorre spazi "evanescenti" in tempi "evanescenti", ma tuttavia il rapporto di questi spazi a questi tempi dà la velocità, concetto concreto e finito.
La statistica ci dice che in un sistema a tre partiti si verifica una convergenza verso il centro, dove per convergenza non s'intende tanto la media dei voti degli elettori ma la corsa verso il centro dei partiti in gara. Renzi o, per fare un altro esempio, Le Pen in Francia hanno percorso questa strada e, senza dire nulla di nuovo ma aggiungendo un pò di liberismo da sinistra e da destra, sono stati tra i vincitori delle ultime elezioni europee. Molte sono le considerazioni che si potrebbero fare in merito: l'ascesa dell'uomo anziché del partito, l'alto consenso popolare, il voto di protesta dei grillini, la rinuncia esausta di chi non è andato a votare, ecc. Durante la teleconferenza di martedì sera, presenti 19 compagni, abbiamo preferito soffermarci sulle dinamiche generali in corso che determinano tali avvenimenti. Sarebbe uno sforzo inutile analizzare queste elezioni sulla base delle opinioni o dei presunti significati delle espressioni di voto, conviene piuttosto riflettere sui risultati elettorali ragionando in termini di fisica sociale (L'atomo sociale, Buchanan).
Abbiamo ricordato l'articolo Elezioni al tempo della statistica: è matematicamente dimostrato che quando si stabiliscono delle condizioni che è necessario soddisfare per mantenere sistemi di aggregazione sociale eticamente accettabili e non arbitrari, non esiste alcun metodo non dittatoriale che soddisfi tutte le suddette condizioni. In Italia il blocco moderato-reazionario ha deciso di votare Renzi nel tentativo (disperato) di conservare le garanzie conquistate, e si è quindi coagulato intorno a quell'elemento che rappresenta una certa stabilità. Si sta andando verso la situazione descritta dall'economista K. Arrow, in cui si impone un unico elemento in grado di prendere delle decisioni, mentre la parvenza di democrazia, la finzione imbonitrice e la sua etica edulcorante, si fa sempre più evanescente. Così come per il capitalismo la crisi è diventata il suo modo d'essere, lo stesso vale per la politica, dove non funziona più il sistema di alternanze per cui al battilocchio del momento ne segue uno nuovo e poi ancora un altro. Si consolidano invece esecutivi forti legittimati da un grande consenso popolare, che marciano come schiacciasassi al suon di riforme e manovre, non vengono intralciati da chiacchiere parlamentari e "disfunzioni" varie, e agiscono in nome di una democrazia "snella".
La teleconferenza di martedì sera, a cui hanno partecipato 13 compagni, è iniziata con alcune considerazioni sulle proteste in Bosnia-Erzegovina. La scintilla è partita da Tuzla il 5 febbraio scorso quando, alla notizia della privatizzazione di alcune industrie e del conseguente licenziamento degli operai, si è formato un raduno di lavoratori, disoccupati e studenti subito sciolto in modo violento dalle forze dell'ordine. In tutta risposta circa 3.000 persone sono scese in piazza occupando le principali strade della città. L'intervento della polizia antisommossa ha alimentato la protesta che, nei giorni successivi, è dilagata su tutto il territorio bosniaco toccando oltre venti città, tra cui la capitale Sarajevo dove sono stati dati alle fiamme gli uffici governativi e sono avvenuti scontri durissimi con la polizia. Il gruppo Facebook 50.000 za bolje sutra ("50.000 persone per un domani migliore") è diventato un centro di coordinamento, e sembra che la "rabbia popolare" abbia permesso di superare gli steccati ideologici e confessionali che affliggono l'area.
C’è stato un dibattito a distanza tra i gruppi di sinistra, non necessariamente legati alla vostra tradizione, che ricorda per certi aspetti quello del decennio '68-'78. Lasciamo perdere le motivazioni un po' cervellotiche, ma allora si trattava di capire chi fossero realmente i proletari produttivi entro la sfera dei salariati, mentre adesso sembra si discuta su di un fatto più generale: alcuni affermano che i banlieusards sono più assimilabili al lumpenproletariato che alla classe operaia, altri invece riconoscono che il nuovo proletariato è composto anche da elementi che non rientrano più nel classico rapporto fra capitalista e salariato, fra Capitale e Lavoro. Quest'ultima sembra essere la vostra posizione.
Ma io mi chiedo, pur senza saper dare una risposta precisa rispetto ai due filoni: come può far parte del proletariato chi non rientra in un rapporto di sfruttamento? Com'è possibile assimilare gli arrabbiati delle banlieues con i giovani proletari immigrati di Torino che scioperarono e impegnarono la polizia nel '62 in durissimi scontri di piazza durati più giorni? Si tratta con tutta evidenza di strati sociali completamente differenti e il parallelo che voi ne avete ricavato mi sembra piuttosto arbitrario.
Alla teleconferenza di martedì sera hanno partecipato 13 compagni.
La discussione è cominciata dall'analisi dei fatti di Turchia. Inoltre è stato segnalato un interessante articolo pubblicato sul sito di OWS in cui l'orizzonte delle lotte viene allargato ai movimenti in corso non solo in Brasile, ma anche in Bulgaria e Bosnia. Nei paesi dell'est Europa le manifestazioni e le proteste sembrano svilupparsi sulla linea di Occupy Ljubljana, il forte movimento nato in Slovenia qualche mese fa. Appare sempre più evidente un'unica matrice in grado di accomunare lotte anche molto distanti geograficamente.
L'ondata di rivolta sembra seguire, come accennato nell'incontro redazionale svoltosi recentemente a Torino, un senso anti-orario per cui questo movimento sociale, partito dalla Tunisia e attraversato il Maghreb e il Mashrek, è arrivato a lambire la polveriera del mondo, il Medio Oriente e i Balcani. Da lì l'ondata di rivolta potrebbe passare per la penisola italiana per ricongiungersi con gli indignados spagnoli. Anche se sembra non esserci una legge soggiacente, certamente la radicalizzazione appare inarrestabile.
Alla teleconferenza di martedì hanno partecipato 10 compagni.
Si è cominciato analizzando quanto sta succedendo in questi giorni in Turchia. Abbiamo tenuto d'occhio i lanci di agenzia ed i tweet che arrivavano dalla piazza turca e, durante la discussione, alcuni compagni seguivano via streaming la battaglia di Taksim mettendo al corrente gli altri sull'entità degli scontri e l'evolversi della situazione.
A differenza dell'Egitto dove c'era un dittatore, sostituito poi dai Fratelli Musulmani, in Turchia la situazione appare più complessa. Dopo la rivoluzione kemalista del 1923 condotta dai giovani turchi, l'esercito è diventato il massimo difensore della laicità dello stato. Il silenzio dei militari di fronte a quanto sta accadendo nel paese è indicativo di una situazione difficile da gestire e che mostra una borghesia locale confusa, se non completamente spiazzata dal succedersi degli eventi. L'esercito turco potrebbe perciò ritrovarsi in una condizione paradossale per cui, per difendere la laicità, sarebbe costretto a muoversi contro Erdogan dando appoggio implicito ai manifestanti; non avendo più legami stretti con gli Usa, i militari potrebbero anche simpatizzare con i dimostranti anziché per gli islamici. Allo stesso tempo però se l'ondata di protesta coinvolgesse il proletariato, le forze armate dovrebbero intervenire contro la piazza e appoggiare il governo islamico. Per la borghesia queste sono contraddizioni terribili: situazioni inedite che portano a soluzioni politiche inaspettate.
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Libertà
Viviamo in una società che scoppia. I suoi membri, divisi o raggruppati secondo criteri il più delle volte arbitrari e casuali, non riescono più a darsi un'identità plausibile. La pandemia, invece di compattare gli individui intorno a provvedimenti utili alla salvaguardia della specie, ha aggravato la situazione facendo emergere ataviche tendenze all'irrazionale.
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