Si è poi passati a commentare l'articolo "Le Borse ora valgono più del Pil del pianeta. Quali sono i rischi?". Secondo il Sole 24 Ore le borse sono reduci da 9 anni consecutivi di rialzi; dal 2003 al 2016 il Pil non è mai stato inferiore alla capitalizzazione delle borse, tranne che per il significativo periodo di fine 2007 quando si è verificato il crollo dei mercati finanziari. Oggi siamo ai massimi di tutti i tempi: da inizio anno la capitalizzazione è aumentata di oltre 10mila miliardi. L'impennata delle borse è semplicemente il frutto di uno scollamento tra la valorizzazione reale e quella fittizia che avviene in ambito finanziario. Sono infatti i difetti di accumulazione che producono la finanziarizzazione dell'economia e le relative crisi:
"Partiamo da un assioma: l'unico modo per produrre nuovo valore è produrre merci e venderle. Tutto ciò che concerne il valore dopo tale operazione, e che chiamiamo interesse, rendita, formazione di 'redditi' vari, non è che una ripartizione del plusvalore originario. Nel mercato finanziario non ruota altro che quel plusvalore, apparentemente moltiplicato dal vorticoso susseguirsi delle transazioni. Ogni crisi finanziaria è necessariamente il prodotto di una crisi di produzione di plusvalore." ("Non è una crisi congiunturale", n+1 n. 23)
Nata come servizio all'industria, la finanza è diventata un mondo a sé e cerca di fare il miracolo di creare capitale da solo capitale. Nei fatti non esiste alcun rapporto tra i prezzi di borsa e quello che questi prezzi rappresentano e alla fine la legge del valore si prende la sua vendetta facendo scoppiare le bolle.
Il capitale fittizio in circolazione è di molte volte superiore all'intero Pil del pianeta, nessuno ne conosce la quantità effettiva. La Banca Mondiale conteggia, al massimo, i derivati, mentre moltissime transazioni sono over the counter, non passano cioè attraverso il conteggio degli istituti nazionali. Grazie al sostegno delle banche centrali che iniettano liquidità nei mercati, le borse hanno guadagnato negli ultimi anni circa 15 mila miliardi. Il sistema è drogato a livelli inauditi. Significativo il titolo di un altro articolo del Sole 24 Ore: "Le big five dell'hi-tech valgono 3mila miliardi $, più del Pil della Francia". Apple, Google, Microsoft, Amazon e Facebook, pur non mettendo in moto grandi quantità di lavoro, riescono ad attirare una montagna di capitali. Questi colossi funzionano perlopiù grazie ad algoritmi, con pochissimi dipendenti in relazione alla loro capitalizzazione, e più di un analista si domanda se siamo vicini a un crash come quello delle Dot-com.
Questa crisi, ormai praticamente quarantennale, mostra tutte le magagne dell'organismo capitalistico, che è innegabilmente tenace, ma con l'acqua alla gola ("La crisi storica del capitalismo senile", Quaderno n. 1). Quando le crisi non sono più in grado, come nel secolo scorso, di distruggere abbastanza capitali (lo sciupìo massimo è già la massima distruzione di capitale potenziale), di eliminare abbastanza capitalisti (sono già stati eliminati); se non sono più malattie acute che partono da un settore o da un'area per diffondersi come un'epidemia (la centralizzazione integra i settori diversi); se diventano una malattia cronica che interessa il globo intero (come già intravide Engels), la faccenda si fa molto interessante.
Possiamo essere contenti perché siamo di fronte a potenti conferme e ad una vittoria critica del "marxismo". Infatti, come dice la nostra corrente, la polarizzazione economica è il lievito della lotta di classe e mai come oggi la legge della miseria crescente (quella che Marx chiama la legge assoluta dell'accumulazione capitalistica) dimostra la sua validità. La Sinistra Comunista "italiana", pur non esistendo più come corrente politica organizzata, ci ha lasciato un immenso patrimonio storico da cui attingere; uno degli articoli sempreverdi che abbiamo ricordato è "Attivismo" (Battaglia comunista n. 6 e 7 del 1952), in cui viene affermato che in assenza del partito comunista, anche se lo Stato crolla e le forze repressive borghesi sono allo sbando, la situazione è a tutti gli effetti controrivoluzionaria:
"È necessario dunque affinché la società esca dal marasma in cui è piombata, e che la classe dominante è impotente a sanare, perché impotente a scoprire le nuove forme adatte a scarcerare le forze di produzione e avviarle verso nuovi sviluppi, che esista un organo di pensiero e di azione rivoluzionario collettivo che convogli ed illumini la volontà sovvertitrice delle masse."
Un organismo del genere non si può certo creare a tavolino, rimboccandosi le maniche o muovendo attivisticamente il culo. Deve verificarsi l'intreccio di una molteplicità di fattori, politici, sociali ed economici, che nessuno è in grado di determinare. Almeno dagli anni '20 andiamo dicendo che non si creano né i partiti né le rivoluzioni, partiti e rivoluzioni semmai si dirigono.
In chiusura di teleconferenza, si è accennato a quanto accade in Venezuela dove gli schieramenti in campo sono finora interni alla forma sociale vigente e non si vede l'ombra di anti-capitalismo. Nel paese sudamericano, così come in decine di altri stati che stanno collassando, mancano dei punti di riferimento politici che rappresentino un ponte verso il futuro. La crescita della disoccupazione, della miseria e il "non voler vivere alla vecchia maniera" delle masse, spingeranno sempre più proletari nel mondo ad appropriarsi del programma invariante della rivoluzione. I movimenti di protesta globali nati nel 2011 hanno provato che la Rete può fungere non solo da cassa di risonanza politica ma anche da strumento di collegamento delle lotte.