Un compagno ha poi segnalato l'articolo di Lettera 43 "Mutui subprime e Lehman Brothers: come iniziò la crisi del 2008", in cui si ripercorre la storia che ha portato al collasso finanziario di dieci anni fa. In quel periodo i mutui subprime venivano impacchettati in strumenti finanziari appositi, creando obbligazioni apparentemente poco rischiose perché i titoli tossici all'interno ne rappresentavano solo una minima quantità. Ma nel momento in cui i poveracci non sono più riusciti a pagare le rate dei mutui sulle case, la bolla è scoppiata producendo un effetto domino che ha coinvolto l'economia globale.
Negli ultimi mesi la crescita di Wall Street è stata la più decisa e continua nella storia della Borsa, ma quanto durerà ancora? JP Morgan, da sola, detiene in derivati 270 mila miliardi di dollari, circa 13 volte il PIL degli Usa e quasi 4 volte il PIL mondiale. Nel mondo circolano circa 1 milione di miliardi di dollari di derivati, per cui qualunque cosa ci sia al loro interno non potrà che combinare disastri. Se negli anni '80 effettivamente il mattone aveva salvato il mondo, nel 2008 non c'è stata alcuna possibilità di utilizzare le case come ancora di salvataggio.
Riguardo al rallentamento economico cinese è stato segnalato anche un articolo di Federico Rampini, "L'autocritica dei potenti che salvarono Wall Street 'Troppi soldi a quei banchieri'", in cui il giornalista sostiene che dalla Cina potrebbe svilupparsi uno shock sistemico. Interessante la citazione in chiusura del testo dell'analista Carmen Reinhart: "Attenti alla Cina, non solo per il suo indebitamento ma per i debiti che dissemina in altri paesi emergenti, nella più totale opacità. Dal Pakistan alla Turchia la Cina è diventata uno dei più grossi prestatori ma ignoriamo quasi tutto: l'entità dei debiti di quei paesi, le condizioni, e perfino i default che stanno già avvenendo."
E a proposito di fallimenti, in Argentina siamo ormai al quarto sciopero generale contro il governo. Le associazioni sindacali hanno lanciato una mobilitazione di 36 ore. Il paese è sull'orlo del collasso: il presidente Macri ha ottenuto un prestito di 50 miliardi dal FMI in cambio dell'attuazione di misure di austerità, tagli alla sanità, al welfare, ecc. "Tutti devono fare sacrifici" ha affermato Macri, e ha attribuito la gravità della crisi della moneta nazionale e dell'economia alla debolezza della Turchia e del Brasile. Proprio quei paesi emergenti che erano candidati a risollevare le sorti dell'economica globale.
Il crollo del 2008 ha prodotto importanti esperienze di lotta, dalla Primavera Araba a Occupy Wall Street. Da allora, tutte le munizioni che il capitalismo ha sparato per contrastare la crisi non hanno fatto altro che spostare i problemi nel futuro, ingigantendoli. Perché nasca qualcosa di nuovo, tutte le illusioni sul miglioramento del sistema devono dissolversi. D'altronde il capitalismo - dice Marx - non lascia la scena della storia finché non ha esaurito tutte le sue possibilità.
Il nostro cervello, le nostre connessioni neurali, sono il prodotto di milioni di anni di evoluzione biologica, ma anche restando nel periodo più vicino a noi, qualche centinaio di anni, vediamo che l'umanità tende a reiterare i vecchi schemi: il disagio spinge a manifestazioni contro il governo di turno, per chiedere un cambiamento senza sconvolgere troppo l'esistente. Ma proprio per conservare il livello raggiunto, gli uomini sono costretti a rivoluzionare la società (lettera di Marx ad Annenkov) e quindi anche il loro modo di pensare. Man mano che aumenta la separazione dell'umanità da sé stessa, si fa strada la necessità di una rivoluzione a titolo umano. In Glosse marginali di critica all'articolo "Il re di Prussia e la riforma sociale, firmato: un Prussiano", Marx afferma contro tutti i politicanti di ieri e di oggi:
"La natura umana è la vera comunità umana. Come il disperato isolamento da essa è incomparabilmente più universale, insopportabile, pauroso, contraddittorio dell'isolamento dalla comunità politica, così anche la soppressione di tale isolamento e anche una reazione parziale, una rivolta contro di esso, è tanto più infinita quanto più infinito è l'uomo rispetto al cittadino e la vita umana rispetto alla vita politica. La rivolta industriale, perciò può essere parziale fin che si vuole, essa racchiude in sé un'anima universale; la rivolta politica può essere universale fin che si vuole, essa cela sotto le forme più colossali uno spirito angusto."
La politique politicienne ha dimostrato da tempo la sua inutilità e difatti Occupy Wall Street è nato proprio dall'esigenza di dar vita ad un ambiente radicalmente anticapitalista. Si è trattato di un movimento non politico che non aspirava a dialogare con le istituzioni, né avanzava rivendicazioni di sorta. I senza riserva organizzati in Zuccotti Park erano, per loro stessa definizione, una community. Quando OWS lancia lo slogan "il 99% contro l'1%", quasi a indicare un dato simbolico di due classi antagoniste che lottano una contro l'altra, delinea uno schema non solo mentale ma anche pratico. Il modello semplice 99/1 è di facile comprensione, prende piede diventando un meme, e finisce per attraversare non solo gli Usa ma gran parte del mondo.
La nostra corrente ha passato anni ad affinare la conoscenza della teoria rivoluzione, venendo accusata puntualmente di meccanicismo, scientismo, dogmatismo e attendismo da chi ignora che Marx ha impostato il suo programma di lavoro su schemi della realtà. Un modello della realtà in grado di trasformarsi in prassi e di muovere masse di uomini può arrivare solo da una chiarezza teorica che c'è stata precedentemente.
In saggi come Medioevo Prossimo Venturo, Roberto Vacca prende in esame la fragilità della società e la facilità che questa vada verso la catastrofe. La città non è più alimentata dalla campagna ma dall'industria, che produce in ambiente urbano e agricolo. Ciò comporta falle incredibili perché, se salta l'approvvigionamento, anche i contadini non riescono più a sfamarsi. In Cile il terremoto piuttosto violento di qualche anno fa aveva interrotto le comunicazioni, le città avevano sofferto la fame per qualche giorno ed erano iniziati gli assalti ai supermercati, brevemente svuotati; successivamente la pressione si era rivolta verso i quartieri ricchi che si erano barricati per difendersi. Paradossalmente, una volta saltata la rete distributiva si è verificata una carenza di cibo anche nelle campagne. Questa inversione storica di tendenze è carica di conseguenze: la città, o meglio, la metropoli risulta essere il punto debole e nulla può salvarla neppure la campagna, in caso di collasso generale.
Una società così strutturata genererà rivolte. Mike Davis nel saggio Il pianeta degli slum, afferma che saranno le metropoli i focolai delle future insurrezioni, dato che la maggioranza della popolazione mondiale lì risiede. In base ai dati ONU di qualche anno fa, oltre un miliardo di esseri umani vive in baraccopoli fatiscenti, e i processi che hanno determinato tale situazione sono enfatizzati dalla stessa crescita economica. Gli slums sono vulcani pronti ad eruttare: si pensi a Bombay, Il Cairo, Kinshasa, Chongqing, San Paolo.
In chiusura di teleconferenza, un compagno ha ripreso il tema della senilità dell'economia cinese in relazione ad un articolo apparso sul Financial Times. Secondo un ufficio statistico americano che si occupa di commercio, dal 1992 al 2004 le esportazioni mondiali di beni capitali (mezzi di produzione) da Pechino al resto del mondo sono passate dal 10 al 40%, mentre dal 2003 al 2015 la quota passa dal 40 a quasi il 50%. Questi flussi sono indirizzati ai mercati emergenti in primis e poi verso gli Usa. La Cina è un paese enorme, con 1,4 miliardi di abitanti da cui ci si aspetterebbe un assorbimento interno dei mezzi di produzione, come avvenuto in Inghilterra quando questo era un paese egemone dal punto di vista industriale. La Cina non ha ancora soddisfatto le esigenze interne e già si è lanciata sul mercato esterno, ma i problemi aumentano. Si pensi alle città di fondazione, costruite ex novo e vuote, con miliardi di metri cubi di cemento senza alcun abitante; o alla tensione interna esplosa in rivolte, a cui il governo cinese ha potuto porre rimedio solo accettando le richieste degli operai e aumentando i salari. Al tempo stesso la Cina non può cedere su tutti i fronti. Lo yuan è tenuto artificialmente basso e ciò avvantaggia le esportazioni. Il traffico tra la costa occidentale statunitense (San Francisco-Oakland) e quella orientale cinese ha raggiunto livelli stratosferici, per cui una piccola variazione delle importazioni dagli Usa provoca subito un picco nei prezzi. La globalizzazione ha portato ad una integrazione reciproca di tutto il mondo, per cui oggi qualunque cosa accada da una parte influenza la restante.
A livello sovrastrutturale il paese asiatico è laico, non ha una storia di sottomissione, per cui se la massa proletaria cinese reputasse che i governanti o lo stato non siano adatti, potrebbero insorgere. Negli ultimi 10 anni la finanza cinese ha raggiunto una massa in grado di sconvolgere il mondo. Quando il "suo" capitale sfuggirà al controllo dello stato, il paese asiatico esploderà.
Il Capitale si prende sempre la sua vendetta, non è possibile imbrigliarlo in qualche forma di piano.