A tal proposito sono da segnalare le dichiarazioni del ministro Di Maio, che si è detto solidale con la lotta dei manifestanti francesi tanto da offrir loro, come strumento organizzativo, la piattaforma Rousseau, e cercando di stabilire dei contatti in vista delle elezioni europee. Qualcuno ha notato, provocatoriamente, che mentre in Francia i gilet jaunes sono per le strade, in Italia sono seduti negli scranni governativi. Nel 2013 i Forconi avevano bloccato le piazze e i caselli autostradali, e avevano indetto manifestazioni partecipate in cui venivano intonati slogan anti-casta molto simili a quelli lanciati dal M5S. Di sicuro l'uscita del ministro grillino è una cortina fumogena per nascondere i grossi cedimenti rispetto ai punti programmatici con cui il movimento ha vinto le elezioni: dall'Ilva, alla Tap, alle posizioni ondivaghe sulla Tav, per finire con il reddito di cittadinanza che riguarderà (se mai si farà) solo la metà della platea iniziale, è stato tutto un dietrofont. La Legge di Bilancio 2019, approvata in extremis a fine anno senza che chi l'ha votata abbia avuto il tempo per leggerla, dimostra - se ancora ce ne fosse bisogno - che il parlamento è inutile e che le decisioni che contano vengono prese altrove. Con i voti di fiducia di Camera e Senato al maxi-emendamento, il mito grillino della democrazia diretta e partecipata è andato a farsi benedire. Il M5S, alla prova dei fatti, rappresenta tutto fuorché il "cambiamento", e in molti cominciano a domandarsi cosa ci sarà dopo la sua dissoluzione.
Solo attraverso continui tentativi ed errori, il cervello sociale impara che certe strade (parlamento, elezioni e referendum) non portano da nessuna parte e che la lotta ha senso solo se viene portata fino in fondo, fuori e contro le compatibilità capitalistiche. Le Parisien dell'8 gennaio ("2019 La France au ralenti") sostiene che la crescita economica in Francia sarà inferiore alle attese, con conseguenze dal punto di vista politico e sociale. Quando la crescita economica è dello zero virgola qualcosa, anche un piccolo intoppo può disturbare l'intero sistema. Se una lotta come quella dei "giubbotti catarifrangenti" combina degli sconquassi, figuriamoci un'ondata di scioperi ad oltranza e senza preavviso.
Anche oltreoceano le acque sono agitate. Negli Usa la diatriba tra democratici e repubblicani ha portato allo shutdown, e questo potrebbe avere un certo impatto sul tetto del debito. Ma non si tratta di un problema prettamente americano: tutti gli stati hanno bassi incrementi del PIL, i quali tendono a diminuire in parallelo al crescere esponenziale del debito pubblico. A fine anno sono state rese pubbliche le cifre del debito mondiale, arrivato a 250 mila miliardi di dollari su un Pil mondiale di circa 80 mila miliardi di dollari. Gli Stati Uniti devono fare i conti con la situazione più disastrata del mondo, ma anche un paese come il Giappone, con un debito del 250% rispetto al Pil, non se la passa bene. Per non parlare poi dell'Italia: secondo il bollettino mensile elaborato da Bankitalia si apprende che a ottobre 2018 il debito pubblico si è attestato a oltre 2.334 miliardi di euro.
Volendo fare un paragone con il Ventennio, notiamo che la cornice corporativa resta in piedi, ma manca il suo contenuto ovvero l'aspetto riformistico di Welfare State che comprendeva il contratto di lavoro, il dopolavoro, la pensione, e tutte quelle sicurezze sociali che hanno permesso l'affermarsi del fascismo a livello internazionale. Oggi tale cornice resiste ma i partiti, così come i sindacati, si svuotano, le "garanzie" vengono meno e si moltiplicano le manifestazioni che iniziano a mettere in discussione lo stesso capitalismo: è logica conseguenza che lo scoppio della ribellione destabilizzi i governi e gli stati, soprattutto se si tratta di proteste virali coordinate in Rete. La borghesia è una classe spacciata, basti vedere le soluzioni economiche che adotta: per uscire dalla crisi cerca di aumentare la produttività del lavoro, ma così facendo aumenta la disoccupazione. "Non potete fermarvi, solo la rivoluzione proletaria lo può, distruggendo il vostro potere", titola un articolo della nostra corrente apparso su Battaglia Comunista, n. 1 del 1951.
Della crescita del tasso di disoccupazione parla Beppe Grillo che sul suo blog, nell'articolo "Il ritorno del luddismo", racconta dei sabotaggi ai danni dei taxi senza conducente avvenuti in Arizona. Secondo il comico genovese non ha senso prendersela con le macchine perché "rubano" lavoro:
"Viviamo un momento di transizione, la tecnologia farà sempre più parte del futuro della nostra vita. 'In meno di un decennio, la maggior parte delle mansioni sul posto di lavoro saranno svolte da macchine piuttosto che da esseri umani'. Sono le ultime previsioni sul mondo del lavoro del World Economic Forum nel suo rapporto 'Job swap: The Future of Jobs'."
Grillo consiglia quindi ai governi di far fronte a tali squilibri erogando un reddito di base incondizionato, anche perché "il futuro sarà fatto di apprendimento, insegnamento e tempo libero che non saranno più momenti diversi della nostra vita, ma si intrecceranno per creare qualcosa di nuovo". Peccato che il movimento politico di cui Grillo è l'ispiratore abbia fatto marcia indietro su tutta la linea, per cui i bei discorsi lasciano il tempo che trovano. Solo un governo rivoluzionario può attuare misure così radicali: senza una chiara visione del futuro e un programma politico di transizione, non ci può essere nessuna azione politica coerente.
Come afferma Alessandro Baricco nel suo ultimo saggio The Game in cui affronta temi quali la smaterializzazione, l'individualismo di massa e la nascita di nuove élite, l'Italia è quel particolare laboratorio dove le cose succedono prima che altrove. Al termine della Seconda Guerra Mondiale, Guglielmo Giannini e il suo Fronte dell'Uomo Qualunque riempiono le piazze del paese, sommergendo i partiti che stavano nascendo sotto la benedizione americana. Dopodiché, in una sorta di congelamento atlantico, per un lungo periodo la DC governa il paese e il PCI resta responsabilmente all'opposizione. Passato lo stallo, durato decenni, si fa strada il populismo di Silvio Berlusconi e infine quello dei 5 Stelle. In questi lunghi anni di controrivoluzione non è nato nessun partito borghese proiettato nel futuro, tutti i governi tecnici sono miseramente falliti. Nei primi anni '90, Romano Prodi e Mariotto Segni tentarono di progettare qualcosa di diverso, ma nessuno ebbe la forza per portare a termine l'iniziativa (vedi Lettera ai compagni n. 27, "Il Diciotto Brumaio del Partito che non c'è"). La borghesia reagisce a cose fatte, non riesce a prevedere i processi sociali, altrimenti ragionerebbe non come classe ma come specie. Un progetto sociale degno di questo nome comporta la razionalizzazione del sistema volta a neutralizzare lo sciupìo (dissipazione), ma per fare questo bisogna superare categorie come denaro, profitto e mercato, così come proponeva il movimento tecnocratico.
In chiusura di teleconferenza, abbiamo parlato di un recente incontro avvenuto a Torino con due compagni spagnoli - che si sono dimostrati molto in sintonia con il nostro lavoro -, e del sito ceco komunistickalevice.info, dove sono presenti collegamenti ipertestuali a "n+1" e traduzioni di testi della Sinistra Comunista "italiana".