Siamo poi passati a commentare l'articolo "Il vaccino ci aiuterà ma non ci libererà dalle Pandemie" (il manifesto, 29.11.20), in cui il dott. Ernesto Burgio coglie alcuni punti fondamentali riguardo il tema, soprattutto quando afferma che "la pandemia non è un 'incidente biologico' da curare con farmaci e vaccini, ma il sintomo di una malattia, cronica e rapidamente progressiva, dell'intera biosfera."
La percezione, debitamente orientata dai media, di quanto sta accadendo induce a ritenere che la situazione stia migliorando e che perciò si debbano riaprire le attività commerciali e le scuole, e riempire di più i mezzi pubblici; la realtà ci dice invece che le curve del contagio sono ai livelli di marzo, che l'Italia ha un indice di letalità secondo solo a Messico e Iran, e che i vaccini di cui si parla da settimane in maniera confusa e contraddittoria al momento sono propaganda: non si sa infatti, se essi impediscano la trasmissione del virus o le forme gravi della malattia, e per quale tipologia di paziente siano indicati. La stessa rivista The Lancet, riferimento medico-scientifico mondiale, nota "come sia legittimo sperare nei risultati così trionfalmente annunciati, ma che alcuni nodi dovrebbero essere sciolti prima di gridar vittoria". Gli annunci sulla disponibilità a breve di uno o più vaccini anti-Covid servono ai governi per tranquillizzare la popolazione, e alle aziende farmaceutiche per farsi pubblicità e attestarsi sul mercato prima delle altre. Questa comunicazione confusa, dice Burgio, genera due ordini di problemi: 1) le persone si rilassano e abbassano la guardia rispetto alla pandemia; 2) viene fornito materiale alla propaganda No Vax. La montante sfiducia nelle istituzioni, che ha fondate cause materiali, non si traduce immediatamente in una critica radicale all'economia-politica, e alimenta, tra le varie cose, il circuito negazionista, che è funzionale al Sistema dato che non lo mette in discussione tout court.
Nel nostro articolo "Informazione e potere" abbiamo citato il pubblicista e pubblicitario Edward Bernays (Propaganda, 1923), autore di interessanti testi sull'informazione nella società capitalistica, intesa come "fabbrica del consenso":
"La manipolazione consapevole e intelligente delle abitudini organizzate e delle opinioni delle masse è un elemento importante in una società democratica. Coloro che manipolano questo meccanismo nascosto della società costituiscono un governo invisibile che ha il vero potere di governare nel nostro paese. Veniamo governati, le nostre menti vengono modellate, i nostri gusti influenzati, le nostre idee suggerite per la maggior parte da uomini di cui non abbiamo mai sentito parlare."
Da quando esistono società divise in classi, esiste la manipolazione delle opinioni e delle idee per fini politici o altro. Tale alterazione, seppur esercitata da determinati apparati ideologici, non è imputabile alla malvagità di gruppi di uomini con una spiccata propensione al comando, ma alla impersonale necessità del Sistema di conservare sé stesso. D'altronde, come dice Marx, le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti.
Sin dall'inizio della pandemia, l'OMS si è adoperata affinché gli stati fornissero informazioni chiare ed univoche sui rischi derivanti dalla diffusione del virus e sulle misure necessarie per prevenire i contagi; i governi, invece, hanno agito alla rinfusa e ora, nonostante le migliaia di nuovi casi e le centinaia di morti giornalieri, attuano misure di alleggerimento per incentivare lo shopping natalizio. Anche l'indicazione di separare i pazienti positivi dagli altri è rimasta inascoltata, ed ancora oggi negli ospedali si verificano pericolose situazioni di promiscuità tra malati Covid e non, per non parlare dei contagi nelle Rsa. A causa delle contraddizioni di un modo di produzione anarchico, i governi non riescono ad affrontare la pandemia in maniera razionale, spronando agli acquisti ed allo stesso tempo mettendo in guardia i cittadini dall'incombere di una terza ondata (in alcuni paesi è già iniziata). Questa "coazione a ripetere" gli stessi errori è il prodotto di una forma sociale che non riesce a criticare sé stessa. L'unica soluzione è "proiettarsi" al di fuori di essa per ragionare in termini diversi: finché si resta all'interno di n senza fare il salto epistemologico in n+1, non c'è via d'uscita.
Le cause della pandemia in corso, largamente prevista dall'OMS, sono sociali, sanitarie ed economiche. Le grandi megalopoli, per la maggior parte asiatiche ma non solo, crescono come un cancro, invadendo pezzi di foresta, deturpando gli ecosistemi con gli allevamenti intensivi, e facilitando i salti di specie (spillover), e cioè il passaggio di un patogeno dagli animali all'uomo e viceversa (zoonosi). Come nota Burgio:
"Il principale errore di chi punta esclusivamente su un'ancora aleatoria vaccinoprofilassi di massa consiste nel dimenticare che le pandemie sono drammi socio-sanitari ed economico-finanziari di enormi dimensioni che non potremo evitare senza ridurne le vere cause: deforestazioni, bio-invasioni, cambiamenti climatici e dissesti sociali (a partire dalle immense megalopoli del Sud del mondo)."
Ne consegue che per evitare il succedersi di pandemie serve un cambio di paradigma, ma nel mondo medico-scientifico ciò deve ancora avvenire. I rapporti della specie umana con la biosfera sono problematici: non riuscendo ad individuare le cause dei disastri in corso, che sono da ricercarsi in un preciso modo di produrre, mancano le soluzioni. Perché la nostra specie faccia chiarezza in sé stessa, cambiando il proprio modo di conoscere e quindi di agire, è necessario che emerga un organismo politico con una visione globale del divenire sociale, che abbia superato tutte le categorie politiche ed ideologiche borghesi.
Sul fronte delle proteste che negli ultimi anni hanno colpito diverse aree del pianeta, sono da segnalare le manifestazioni avvenute sabato scorso in Francia, dove decine di migliaia di persone hanno riempito le strade di Parigi, dando luogo a scontri con le forze dell'ordine, culminati nell'incendio di una succursale della Banca di Francia in piazza della Bastiglia. A quanto pare le mobilitazioni sono scoppiate a causa dell'uso reiterato della violenza da parte della polizia e contro la famigerata legge sulla "sicurezza globale". L'antipatia verso lo Stato aumenta di pari passo alla crescita della miseria e della "vita senza senso". In India, dopo settimane di mobilitazioni locali, il 26 novembre scorso è stato indetto uno sciopero generale contro una nuova legge del governo per la privatizzazione del settore agrario, che ha coinvolto milioni di contadini e lavoratori; nella capitale Nuova Delhi i manifestanti si sono accampati nelle vie d'accesso, bloccando il traffico. L'India è alle prese da anni con una forte tensione sociale, causata da contraddizioni storiche irrisolte, rese esplosive dal Covid-19 (9,5 milioni di contagi e oltre 130mila morti). In Sri Lanka una rivolta nelle carceri contro il sovraffollamento e la crescita del numero dei positivi ha provocato almeno 6 morti e decine di feriti. Anche in Italia durante il primo lockdown ci sono state proteste violente nelle prigioni, con diversi morti. Al 24 novembre nelle carceri piemontesi su 4.263 reclusi i malati di Covid sono 42, mentre tra gli agenti penitenziari i positivi sono 187. Una situazione problematica per il Ministero della Giustizia, dato che tra detenuti e poliziotti sono quasi 2000 i contagiati a livello nazionale.
In chiusura di teleconferenza, un compagno ha segnalato diversi articoli sullo stato dell'economia mondiale.
In Italia i 2700 navigator, assunti per trovare lavoro a qualche milione di disoccupati percettori del reddito di cittadinanza, vedono scadere il loro contratto biennale e, probabilmente, andranno ad ingrossare le fila dei loro "assistiti". Inoltre, secondo diverse stime, con lo sblocco dei licenziamenti ci saranno dai 400 ai 600mila nuovi disoccupati.
Per la realizzazione della Via della Seta la Cina ha fatto prestiti ingenti a molti stati del centro Asia e dell'Africa (secondo Le Figaro l'indebitamento totale del continente africano è stimato in 365 miliardi di dollari ed è detenuto per un terzo dalla Cina). Ora questi paesi non riescono a sostenere il peso degli obblighi contratti, che andranno rinegoziati, aggravando il debito dello stesso creditore. Scrive Danilo Taino sul Corriere della Sera (25.11.20):
"In Cina, dal 2008 il debito complessivo cresce a una media annua del 20%, molto più dell'economia. Secondo l'autorevole Institute of International Finance, la somma del debito di famiglie, Stato e imprese non finanziarie cinesi ha toccato il 290% del Pil alla fine del terzo trimestre del 2020, una crescita decisa rispetto al 255% di un anno prima. Quello delle sole imprese, cioè delle protagoniste delle vie della seta, nello stesso periodo è salito dal 150 al 165% del Pil. Un articolo dei giorni scorsi pubblicato dal South China Morning Post, il quotidiano di Hong Kong, ha sostenuto che Pechino potrebbe essere costretta a tagliare gli obiettivi della stessa Belt and Road Initiative (Bri), cioè del progetto che è il fiore all'occhiello della presidenza Xi ed è già in rallentamento."
Dal 25 novembre al 4 dicembre si terrà in formato virtuale la sesta edizione Rome MED – Mediterranean Dialogues. La conferenza, che coinvolge i paesi affacciati sul Mediterraneo, avrà come tema "le sfide di oggi e il futuro del Mediterraneo oltre la pandemia". Le sfide saranno molte dato che gli equilibri nell'area, già piuttosto instabili, in quest'ultimo anno stanno saltando. Nota Paolo Magri, vicepresidente dell'Istituto per gli studi di politica internazionale:
"L'emergenza Covid ha blindato i confini dei paesi interrompendo flussi di turisti e rimesse; ha creato ulteriore disoccupazione, in paesi dove il 30% dei giovani già non aveva lavoro; ha rafforzato regimi, in paesi dove già i regimi erano troppo forti; impone più Stato, più digitalizzazione e più debito a paesi dove lo Stato è cronicamente debole, la digitalizzazione minima e il debito già troppo alto; sta rendendo ancor più difficile la già difficile tenuta economica della Turchia sovraesposta in operazioni militari; ancor più delicata la già complicata transizione politica ed economica in Arabia Saudita; ancor più incerto il già incerto futuro dei 'riformisti' in Iran; più cupa la già cupa traiettoria del Libano. Tutto ciò mentre poco o nulla è cambiato per i conflitti in corso: quelli militari (Siria, Yemen, Libia), quelli di potenza (Iran e Arabia Saudita), quello storico fra Israele e Palestina."
Quella descritta è una situazione geopolitica sempre più complicata per le varie borghesie nazionali e, soprattutto, per quelle più forti che si trovano a dover svolgere compiti di polizia internazionale in zone dove c'è la guerra di tutti contro tutti. Giusta Marx, il capitalismo troverà il suo maggior nemico nell'insolubilità storica delle sue contraddizioni.