In un articolo pubblicato sul numero 6 della rivista, ci chiedevamo appunto, partendo dalla polemica Lenin-Kautsky sulla base del testo di Hilferding, se davvero un super-imperialismo potesse realizzarsi. Lenin, seppur con qualche dubbio, sembra accettare il fatto che alla formazione di trust nazionali si affianchi la tendenza alla formazione di trust fra nazioni. Allora era una prospettiva reale, basata su processi storici, ma l'entrata in guerra degli Stati Uniti nel 1917 e il loro affermarsi nel tempo come potenza egemone cambiò le cose.
Oggi potremmo pensare di essere in presenza di un super-imperialismo, quello americano, dato che la potenza politico-militare messa in campo dagli Usa (con le loro 800 basi militari in tutto il mondo) non ha eguali. Ma vanno considerati due aspetti: primo, che tale potenza "non deriva soltanto dalle armi e dalla finanza americane, cioè da necessità del capitalismo degli Stati Uniti in quanto fenomeno nazionale, ma dalle necessità del Capitale impersonale, internazionale, ormai slegato anche dalle diverse nazioni"; secondo, che gli Stati Uniti, assumendo il ruolo di gendarme mondiale, si fanno carico di tutte le contraddizioni del capitalismo. In questa situazione gli altri paesi imperialisti si ritrovano in un rapporto schizofrenico con la potenza egemone, da una parte costretti a sostenere il sistema di cui fanno tutti parte, dall'altra spinti a resistere al rullo compressore del guardiano degli interessi del Capitale mondiale.
La sovrapposizione degli interessi nazionali americani con il compito internazionale per conto del Capitale mondiale alimenta una contraddizione enorme che ha effetti disgregatori sul capitalismo stesso. La tendenza alla concentrazione e poi alla centralizzazione dei capitali si esprime anche nella formazione di organismi sovranazionali (OMS, ONU, FMI, ecc.), che potrebbero funzionare come ministeri di un governo globale. Ma questo non avviene, perché tali apparati non hanno un effettivo potere esecutivo, non hanno autorità, e non possono esercitare a pieno la loro funzione all'interno di un mondo dove si scontrano gli interessi delle borghesie nazionali. Lo si è visto con lo scoppio della pandemia, con la vicenda della sospensione dei finanziamenti all'OMS da parte del governo Trump, con il procedere in ordine sparso dei diversi paesi nella lotta al virus.
La stessa situazione, una compresenza tra spinte centripete crescenti e la tendenza alla mercantile anarchia, si riflette all'interno dei singoli imperialismi. In Belgio, in seguito a diverse crisi politiche, per oltre 600 giorni non è stato possibile formare un governo; in Italia, la regione Sicilia (e non solo) ha manipolato i dati sui contagi per evitare l'entrata in zona rossa e restrizioni maggiori. In questi casi, gli interessi particolari, locali, prendono il sopravvento su quelli nazionali borghesi.
Gli stati si inflazionano sempre più per non rimanere schiacciati dalle pressioni che arrivano dall'esterno e dall'interno, ma questo non li mette al sicuro dai processi di dissoluzione in atto. Su questo tema, abbiamo fatto un lavoro pochi anni fa affrontando la perdita di efficienza degli stati e dei loro governi dal punto di vista termodinamico ("Il secondo principio"). I modi di produzione così come gli organismi viventi hanno una freccia nel tempo, un processo irreversibile di crescita, maturità e morte. Come scritto nella introduzione del 1859 alla Critica dell'economia politica, i rapporti sociali, che fino ad un certo punto sono forme evolutive delle forze di produzione, si trasformano in loro catene. Allora subentra un'epoca di rivoluzione sociale. Questa osservazione di Marx si può sviluppare dal punto di vista della fisica della storia: una forma sociale a più alto rendimento energetico è destinata ad imporsi; è un fattore tecnico che si trasforma in fatto politico. D'altronde, non è mai successo a livello storico che un modo di produzione a più alto rendimento non abbia preso il posto di uno a rendimento inferiore.
Strettamente collegato al tema della dissoluzione dello stato, è quello della negazione della legge del valore, processo inerente allo sviluppo capitalistico e alla sua accumulazione. All'interno del ciclo produttivo, la componente di lavoro morto grandeggia enormemente sul lavoro vivo e ciò rappresenta un grosso problema per gli stati, i quali fondano la propria sopravvivenza sull'estrazione di plusvalore, interna od esterna che sia. Lo Stato è per definizione strumento di classe al servizio del capitale nazionale, e nel corso della sua evoluzione si è trasformato in un apparato gigantesco, un mostro invadente e invasivo, esattore e sbirro: "già oggi, avvicinandoci a una media di 'statalizzazione' dell'economia del 50%, lo Stato non è più l'elemento rivitalizzante del capitalismo, il regolatore delle sue funzioni, ma un mostro elefantiaco la cui attività è in gran parte finalizzata alla propria perpetuazione. Il suo modo di essere ricade completamente sotto gli effetti della legge dei rendimenti decrescenti." ("Lo Stato nell'era della globalizzazione")
Secondo la struttura frattale delle rivoluzioni, una serie di micro-collassi anticipa il collasso generale. In "Attivismo", testo della nostra corrente, si dice che non è possibile alcuna vittoria rivoluzionaria se lo Stato non è già crollato dal suo interno. Ma dice anche un'altra cosa: di fronte allo sfaldarsi della società, se non c'è il partito rivoluzionario la situazione è a tutti gli effetti controrivoluzionaria:
"È necessario dunque affinché la società esca dal marasma in cui è piombata, e che la classe dominante è impotente a sanare, perché impotente a scoprire le nuove forme adatte a scarcerare le forze di produzione e avviarle verso nuovi sviluppi, che esista un organo di pensiero e di azione rivoluzionario collettivo che convogli ed illumini la volontà sovvertitrice delle masse. [...] La trasformazione della crisi borghese in guerra di classe e in rivoluzione, presuppone l'obiettivo sfacelo dell'impalcatura sociale e politica del capitalismo, ma non può porsi nemmeno potenzialmente se la maggioranza dei lavoratori non è conquistata o influenzata dalla teoria rivoluzionaria incarnata nel partito, la quale non si improvvisa sulle barricate."
Il dramma maggiore per il capitalismo è la formazione di una sovrappopolazione assoluta (legge della miseria crescente), una massa sempre più consistente di uomini che non potranno più entrare nel processo produttivo, quando ormai anche il terziario è sottoposto a processi, più o meno rapidi ma a tendenza unica, di digitalizzazione e automazione. Ma le popolazioni devono continuare ad acquistare la pletora di merci eruttata dal vulcano produttivo capitalistico e per tal motivo vanno mantenute con varie forme di sostegno al reddito. Ma guai, dice Marx, a quella società che invece di sfruttare i propri schiavi è costretta a mantenerli. Insomma, il capitalismo ha bisogno di plusvalore ma non può tornare indietro nel tempo, quando gli operai riempivano le fabbriche.
A tutto ciò si aggiunge lo sviluppo vorticoso e incontrollato del capitale finanziario. Nel numero 49 della rivista, di prossima uscita, nell'articolo "Virtualizzazione" si trova una tabella che riporta la sproporzione fra le modalità del capitale, e mostra il grado di autonomizzazione del denaro dai metalli e quanto l'attuale ammontare di questi ultimi sia insignificante rispetto al totale dei "valori" esistenti. I derivati raggiungono la spaventosa cifra di 2.200.000.000.000.000 dollari. Non c'è più confronto possibile tra il valore delle aziende e la massa di capitale finanziario che viaggia nei mercati.
Negli ultimi 10-15 anni il mondo della finanza è stata pesantemente investito dalla tecnologia e dall'automazione. Computer collegati in rete lavorano 24 ore su 24, 365 giorni all'anno, secondo algoritmi capaci di individuare nuovi trend in pochi secondi, operando negoziazioni ad alta frequenza, anche brevissime, sui mercati di tutto il mondo (High frequency trading). Si tratta di un sistema ormai incontrollabile, solo i grandi fondi e le assicurazioni riescono ad influenzare un minimo gli andamenti dei mercati, ma perché essi stessi sono fattori di tendenza date le grandi quantità di capitali che riescono a muovere.