"Parliamo di rame, litio, silicio, cobalto, terre rare, nickel, stagno, zinco. In appena un anno lo stagno, usato per le microsaldature nel settore elettronico, ha registrato un incremento del 133%, e la domanda continuerà a crescere a fronte di un'offerta contratta. Il prezzo del rame è aumentato del 115%. Il rodio è una 'terra rara' utilizzata per collegamenti elettrici e per la realizzazione di marmitte catalitiche: più 447%. Il neodimio serve soprattutto nella produzione di super-magneti per i sistemi di illuminazione e l'industria plastica. Richiestissimo: più 74%."
Il fine dell'attuale modo di produzione non è ottenere ciò che serve all'umanità ma produrre plusvalore, successivamente ripartito tra industriali e rentier. Quest'ultima categoria nel corso dello sviluppo capitalistico ha preso il sopravvento, e difatti l'industria oggi è subordinata alla finanza. E' sufficiente che un'azienda, com'era la Fiat in Italia o è la Apple nel mondo (o Facebook, Google, Amazon), abbia la possibilità di far valere una posizione di monopolio per intascare una rendita. I capitali in cerca di valorizzazione si riversano nei settori ritenuti più lucrativi – che sia economia reale o virtuale poco importa - combinando sconquassi in giro per il mondo, e costringendo le banche centrali e i governi dei maggiori paesi ad intervenire per limitare i danni.
Anche i pannelli solari, dopo anni di calo dei prezzi, hanno subito un rincaro a causa dell'aumento del costo delle materie prime di cui sono composti. Gli stati stanno cercando di buttarsi sulla green economy, ma di fatto un capitalismo equilibrato è un non senso, dato che se non c'è crescita non c'è accumulazione. Ora la tanto attesa ripresa rischia di innescare una nuova crisi economico-finanziaria.
Se l'umanità non riesce a fare chiarezza in sé, utilizzando le risorse naturali in maniera razionale, non potrà che provocare catastrofi sempre più grandi. Stiamo superando uno dei quattro picchi riportati nell'articolo "Un modello dinamico di crisi", quello dell'impronta ecologica della specie umana sul pianeta. E' almeno dagli anni 70' che alcuni centri di ricerca borghesi (Club di Roma, Rapporto sui limiti dello sviluppo) lanciano appelli affinché si inverta la rotta (vedi problema dei rifiuti elettronici, a cominciare dalle batterie); ma il capitale è un modo di produzione impersonale che non prende ordini da nessuno.
Da anni i governi sono impegnati a pompare liquidità nei mercati per migliaia di miliardi di dollari, ed ora si teme l'aumento dell'inflazione. Al solito, per risolvere i problemi si agisce spostando nel futuro le contraddizioni, con l'unico risultato di ingigantirle. Se da una parte cresce la sovrappopolazione assoluta, dall'altra chi ha ancora la "fortuna" di lavorare è sempre più sfruttato, sia qualitativamente che quantitativamente. In un rapporto congiunto, l'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e l'Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) indicano nell'affaticamento da superlavoro la causa di morte di centinaia di migliaia di persone ogni anno. Il Fondo monetario internazionale (Fmi), nel rapporto denominato Social Repercussions of Pandemic, avverte che durante una pandemia è normale che si si produca "un momento di calma relativa, una sorta di remissione dei problemi sociali, ma che tempo due anni questi riesplodono in tutta la loro virulenza".
E' sempre più urgente una rivoluzione a titolo umano, è in ballo la vita della specie, stritolata da un sistema sempre più inumano. "Prove di estinzione" è il titolo di un nostro articolo sulla pandemia (rivista n. 47), e non è esagerato: il rischio c'è davvero. Il capitale è un processo autonomizzato che risponde alle proprie leggi di valorizzazione, sintetizzate nella formula D-M-D'; esso deve aumentarsi continuamente e non gli importa quali siano i danni che può provocare all'umanità e alla biosfera, non gli importa nemmeno che la sua dinamica faccia venir meno la legge del valore-lavoro, su cui esso si fonda.
La crisi in corso non è congiunturale, è strutturale. Nell'articolo "La grande scommessa" (rivista n. 49) abbiamo visto che l'Economist non è d'accordo con le politiche monetariste del governo Biden: "Questo periodico avrebbe preferito un minore stimolo all'economia. Purtroppo, la travagliata politica americana non consente un processo decisionale perfetto e i democratici volevano ottenere tutto ciò che potevano. La scommessa dell'onorevole Biden è meglio della mancanza di azione, ma nessuno dovrebbe fare finta di niente di fronte alla sua portata."
Il sistema è altamente resiliente, è riuscito a resistere a colpi tremendi che subisce puntualmente almeno dal 1987; ma ha un problema interno enorme che riguarda i suoi meccanismi di funzionamento. Pensiamo al rapporto tra valore e prezzo: da una parte c'è un elemento oggettivo come la formazione di valore in base al tempo di lavoro contenuto nella merce, dall'altra qualcosa di imprevedibile come le oscillazioni dei prezzi sul mercato. La separazione fra il reale e il virtuale è sempre più ampia: il denaro si è emancipato dai metalli e l'attuale ammontare di questi ultimi è insignificante rispetto al totale dei "valori" esistenti ("Virtualizzazione", rivista n. 49).
In chiusura di teleconferenza abbiamo accennato a quel curioso fenomeno cinese che va sotto il nome di "Tang Ping" (sdraiarsi a terra): si tratta di giovani stanchi di farsi rubare la vita, che vogliono lavorare il meno possibile e che rifiutano il consumismo (un po' come i downshifter americani). Fatto preoccupante per un gigante da 1,3 miliardi di potenziali consumatori.