Informazioni aggiuntive

  • Resoconto teleriunione  25 aprile 2023

Guerra civile, polarizzazione sociale e intelligenza artificiale

La teleconferenza di martedì sera, presenti 13 compagni, è iniziata riprendendo gli argomenti trattati nelle scorse teleconferenze.

L'Economist, che utilizziamo come serbatoio da cui prendere dati e informazioni utili per il lavoro, afferma che da circa dieci giorni è scoppiata in Sudan una guerra civile ("In Sudan and beyond, the trend towards global peace has been reversed"). In realtà, il paese africano è in una fase di conflitto permanente dalla data della sua indipendenza, il 1956. Ufficialmente il conflitto vede contrapporsi un generale dell'esercito regolare e un generale delle milizie paramilitari, ma in effetti si tratta di uno scontro tra due fazioni interne allo Stato rapidamente trasformatosi in guerra guerreggiata, con la chiusura delle maggiori ambasciate e la fuga del personale straniero.

Sempre secondo il settimanale inglese, le guerre civili tendono a durare sempre più a lungo e diventano sempre più difficili da risolvere, anche perché si diffondono negli stati più poveri, in via di dissoluzione, sottoposti a notevoli pressioni interne ed esterne. In Sudan, sin dall'inizio dell'attuale conflitto, è stato chiaro che vi erano intrecci tra interessi locali dei signori della guerra e interessi internazionali.

Quando parliamo di guerre civili non dobbiamo immaginare conflitti a bassa intensità che comportano un numero esiguo di vittime. Nel giro dell'ultimo decennio situazioni di questo tipo hanno raddoppiato il numero dei profughi, arrivati a oltre cento milioni; secondo una stima, 600.000 persone sono morte durante la recente guerra dell'Etiopia contro la regione separatista del Tigray (più dei morti in Ucraina). Uno dei motivi per cui tali guerre durano più a lungo è la loro complessità. Pensiamo al cambiamento climatico, che causa siccità e inondazioni, le quali determinano lo spostamento di milioni di senza riserve in altri paesi. Nella difficoltà a stabilizzare i paesi in subbuglio contano gli interessi internazionali legati allo sfruttamento delle materie prime, le mafie internazionali, le reti criminali. Haiti, ad esempio, è un campo di battaglia tra gang violente e assolutamente fuori controllo.

Le "policrisi", se prendiamo per buona questa definizione, non sono altro che crisi che si alimentano l'una con l'altra rendendo la risoluzione dei problemi estremamente difficile perché i fenomeni sono collegati e retroagiscono tra loro.

Nella newsletter n. 220, "Guerra civile diffusa" (2016), abbiamo affrontato il modo di essere della guerra ai nostri tempi, partendo dal fallito colpo di stato in Turchia. Superata una certa soglia di ribellione interna, lo Stato è costretto ad intervenire contro la popolazione. In Sudan, Mali, Ucraina, Siria, Yemen è in corso una guerra guerreggiata visibile; in Europa (dove comunque c'è una guerra) sembra non esserci un contesto simile ma sono sempre più frequenti gli episodi di polarizzazione sociale. La guerra moderna vede lo scontro diretto tra fazioni schierate su fronti contrapposti, conflitti armati tra civili, colonizzazione interna da parte delle forze di polizia: la guerra civile è nel DNA del capitalismo nella misura in cui le due classi principali vivono una condizione di sfruttamento dell'una sull'altra.

Gli USA, vecchio gendarme mondiale, devono fare i conti con una grave crisi interna, economica ma anche politica per quanto riguarda i rapporti tra stati federati e stato centrale. Passato il periodo più acuto della pandemia da Covid-19, molte aziende hanno tenuto i dipendenti in smart working e ciò ha portato ad una crisi del mercato immobiliare dovuta alla chiusura di molti uffici; la crisi si è poi riversata a cascata nei settori della ristorazione e della vendita al dettaglio. L'impatto del virus negli Stati Uniti ha prodotto ampie trasformazioni nei rapporti tra capitale e lavoro, con il fenomeno delle grandi dimissioni e il grande successo del canale Reddit #Antiwork, che raccoglie migliaia di storie di rifiuto del sistema del lavoro salariato.

Tutto è collegato: la guerra, le crisi economiche, i cambiamenti climatici, gli stati che si disgregano. Nouriel Roubini (La grande catastrofe) parla di "megaminacce" che non si possono affrontare una alla volta. Questo aspetto era stato affrontato da Aurelio Peccei, tra gli ideatori del Club di Roma negli anni '70 e sostenitore di una visione unitaria delle problematiche globali in quanto prodotto di un'unica causa. Nel saggio La qualità umana, Peccei afferma:

"Il presente ordine – o, piuttosto disordine – politico non è al passo, né a livello nazionale né a quello internazionale, con le esigenze di una società sempre più tecnologica, sempre più integrata, e sempre più globale."

Si è quindi passati a commentare alcune notizie riguardanti l'Intelligenza Artificiale (IA). La recente accelerazione della potenza dei sistemi di IA e la crescente consapevolezza delle loro capacità hanno sollevato il timore che la tecnologia stia avanzando così rapidamente da non poter essere controllata. Di qui la crescente preoccupazione che possa minacciare non solo i posti di lavoro ma l'autenticità di foto, video e delle informazioni in generale (The Economist, "How to worry wisely about artificial intelligence").

Sono in molti a domandarsi se un domani l'IA arriverà ad acquisire una coscienza. Bisogna prima capirsi sul termine: la maggior parte degli studiosi che si occupa di neuroscienze mette in dubbio la stessa esistenza di quella cosa impalpabile che chiamiamo coscienza e si chiedono: cos'è? Come si fa a misurarla? Il filosofo Daniel Dennett ha cercato di dare delle risposte elaborando una teoria computazionale della mente; egli sostiene che la coscienza è indipendente dalla presenza di un sistema biologico o artificiale, ma riguarda solo il tipo di organizzazione del sistema. Il nostro cervello è un computer e la coscienza non è altro che una macchina virtuale.

Giulio Toloni, psichiatra e neuroscienziato, padre della "teoria dell'informazione integrata", sostiene che un sistema fisico è cosciente nella misura in cui è in grado di integrare informazione da parti differenziate. Quindi maggiore integrazione di informazione = più coscienza. Marvin Minsky nel libro La società della mente afferma che non esiste un vigile, un capo che regola il traffico all'interno del cervello; esistono invece moduli e sotto-moduli che non hanno coscienza di sé stessi ma, interagendo tra loro, formano un qualcosa che è superiore alla somma delle parti.

Siamo convinti di poter decidere, di poter scegliere, di iniziare delle azioni perché siamo dotati di libero arbitrio. In realtà, alcuni neuroscienziati (ad esempio Benjamin Libet) hanno dimostrato con esperimenti di laboratorio che il cervello agisce prima che la coscienza ne sia informata (vedi articolo "Realtà e percezione"). I computer ci aiutano a fare chiarezza su noi stessi: per la comprensione di come funziona il nostro cervello sono più utili lo sviluppo dell'informatica e lo studio delle reti neurali, che non migliaia di trattati filosofici intorno al tema della coscienza. La macchina, un'esteriorizzazione di noi stessi, ci aiuta a capire come facciamo a capire, mandando in pensione religione e filosofia, saperi preistorici.

Articoli correlati (da tag)

  • Il crollo dell'ordine economico mondiale

    La teleriunione di martedì sera è iniziata prendendo spunto dall'ultimo numero dell'Economist ("The new economic order", 11 maggio 2024), che dedica diversi articoli alla crisi mondiale in atto.

    Secondo il settimanale inglese, a prima vista il capitalismo sembra resiliente, soprattutto alla luce della guerra in Ucraina, del conflitto in Medioriente, degli attacchi degli Houthi alle navi commerciali nel Mar Rosso; in realtà, esso è diventato estremamente fragile. Esiste, infatti, un numero preoccupante di fattori che potrebbero innescare la discesa del sistema verso il caos, portando la forza a prendere il sopravvento e la guerra ad essere, ancora una volta, la risposta delle grandi potenze per regolare i conflitti. E anche se non si arrivasse mai ad uno scontro bellico mondiale, il crollo dell'ordine internazionale potrebbe essere improvviso e irreversibile ("The liberal international order is slowly coming apart").

    Il fatto che un periodico come l'Economist, rappresentante del capitalismo liberale, arrivi a parlare di un ordine economico prossimo al collasso è da annoverare tra quelle che la Sinistra definisce "capitolazioni ideologiche della borghesia di fronte al marxismo". L'infrastruttura politica a guida americana che faceva funzionare le relazioni tra gli stati è andata in frantumi. Organismi nati per risolvere le controversie mondiali, ad esempio il WTO, non riescono a promuovere il commercio internazionale, che negli ultimi anni ha registrato una frenata, e a far ripartire un ciclo virtuoso di accumulazione. Secondo il settimanale inglese, i sussidi e gli aiuti all'economia nazionale, e i dazi e le sanzioni agli stati concorrenti, anche a causa della guerra (secondo il gruppo di ricerca Global Sanctions Database, i governi di tutto il mondo stanno imponendo sanzioni con una frequenza quattro volte superiore a quella degli anni '90), rappresentano una minaccia all'economia di mercato rendendo più difficile la ripresa globale. Negli ultimi anni hanno smesso di crescere gli investimenti transfrontalieri, anche in conseguenza alle misure protettive adottate dagli stati; si sono sviluppate forme di pagamento che bypassano i circuiti standard; si sta combattendo una guerra che non produce ufficialmente vittime, ma che è alla base dello sconvolgimento in corso: la guerra per detronizzare il dollaro.

  • La guerra è dissipazione di energia

    La teleriunione di martedì sera è iniziata discutendo dell'evoluzione degli attuali scenari di guerra.

    Gli Stati, anche quelli importanti come USA e Federazione Russa, faticano a tenere il passo nella produzione di munizioni necessaria per il conflitto in corso in Ucraina. Il Fatto Quotidiano riporta alcuni dati significativi: nel giugno 2022 i Russi sparavano 60 mila colpi al giorno, a gennaio del 2024 ne sparavano 10-12 mila contro i 2 mila dell'esercito avversario. Senza l'aiuto dell'Occidente l'Ucraina sarebbe già collassata, ma ora l'America ha delle difficoltà: "Gli Usa, il principale fornitore di proiettili di artiglieria dell'Ucraina, producono 28mila munizioni da 155 mm al mese con piani di aumento della produzione a 100mila entro il 2026." La fabbricazione di tali quantità di munizioni comporta uno sforzo nell'approvvigionamento di materie prime, e infatti c'è una corsa all'accaparramento di scorte di alluminio e titanio. Già l'anno scorso l'Alto rappresentante UE per la politica estera, Josep Borrell, affermava: "In Europa mancano le materie prime per produrre le munizioni da mandare all'Ucraina".

  • Capitale destinato ad essere cancellato

    La teleriunione di martedì sera è iniziata con un focus sulla situazione economico-finanziaria mondiale.

    Abbiamo già avuto modo di scrivere delle conseguenze di una massa enorme di capitale finanziario (il valore nozionale dei derivati è di 2,2 milioni di miliardi di dollari) completamente slegata dal Prodotto Interno Lordo mondiale (circa 80 mila miliardi annui). Quando Lenin scrisse L'Imperialismo, fase suprema del capitalismo, il capitale finanziario serviva a concentrare investimenti per l'industria, che a sua volta pompava plusvalore. Oggigiorno, questo capitale non ha la possibilità di valorizzarsi nella sfera della produzione, perciò è destinato a rimanere capitale fittizio e quindi, dice Marx, ad essere cancellato.

    Nell'articolo "Accumulazione e serie storica" abbiamo sottileneato che è in corso un processo storico irreversibile, e che non si tornerà più al capitale finanziario del tempo di Lenin e Hilferding. In "Non è una crisi congiunturale", abbiamo ribadito come il rapido incremento del capitale finanziario è una conseguenza del livello raggiunto dalle forze produttive. La capacità del capitale di riprodursi bypassando la produzione materiale è un'illusione, e il ritorno alla realtà è rappresentato dallo scoppio delle bolle speculative. Ogni strumento finanziario è necessariamente un espediente per esorcizzare la crisi di valorizzazione, nella speranza di poter trasformare il trasferimento di valore in creazione del medesimo.

Rivista n°54, dicembre 2023

copertina n° 54

Editoriale: Reset

Articoli: La rivoluzione anti-entropica
La guerra è già mondiale

Rassegna: Polarizzazione sociale in Francia
Il picco dell'immobiliare cinese

Terra di confine: Macchine che addestrano sè stesse

Recensione: Tendenza #antiwork

Raccolta della rivista n+1

Newsletter 245, 19 gennaio 2022

f6Libertà

Viviamo in una società che scoppia. I suoi membri, divisi o raggruppati secondo criteri il più delle volte arbitrari e casuali, non riescono più a darsi un'identità plausibile. La pandemia, invece di compattare gli individui intorno a provvedimenti utili alla salvaguardia della specie, ha aggravato la situazione facendo emergere ataviche tendenze all'irrazionale.

Continua a leggere la newsletter 245
Leggi le altre newsletter

Abbonati alla rivista

Per abbonarti (euro 20, minimo 4 numeri) richiedi l'ultimo numero uscito, te lo invieremo gratuitamente con allegato un bollettino di Conto Corrente Postale prestampato.
Scrivi a : mail2

Iscriviti alla newsletter

Iscriviti alla newsletter quindicinale di n+1.

Invia una mail a indirizzo email