Come successo in Italia in seguito ai terremoti di Amatrice e dell'Aquila, ci saranno sicuramente imprenditori che si sfregheranno le mani fiutando il grande business della ricostruzione. D'altronde, "per sfruttare lavoro vivo il capitale deve annientare lavoro morto tuttora utile. Amando suggere sangue caldo e giovane, uccide i cadaveri." ("Omicidio dei morti", 1951). In Turchia, con la scusa dei soccorsi, ci sarà anche la militarizzazione dei territori colpiti dal terremoto in modo da poter controllare proteste o rivolte, così come ha spiegato Naomi Klein nel saggio Shock economy. L'ascesa del capitalismo dei disastri.
Se terremoti, eruzioni vulcaniche, inondazioni e nubifragi non si possono evitare, si possono però ridurre al massimo i danni che questi provocano alla società. Per esempio, evitando di costruire in zone sismiche, a ridosso dei vulcani o dentro gli alvei dei fiumi, e di ammassare moltitudini di uomini in metropoli tentacolari di cemento e lamiera. Su queste problematiche la corrente a cui facciamo riferimento ha scritto diversi testi, che abbiamo raccolto nel quaderno Drammi gialli e sinistri della moderna decadenza sociale. Insomma, se non si esce dall'anarchia insita nel presente modo di produzione, non si possono prevenire le periodiche catastrofi che colpiscono la nostra specie. L'attuazione del Programma rivoluzionario immediato nell'Occidente capitalistico (Riunione di Forlì del Partito Comunista Internazionale, 28 dicembre 1952) è un primo passo verso una pianificazione della vita di specie, come recita il punto "g": "Arresto delle costruzioni di case e luoghi di lavoro intorno alle città grandi e piccole, come avvio alla distribuzione uniforme della popolazione sul territorio. Riduzione dell'ingorgo velocità e volume del traffico vietando quello inutile."
Possiamo quindi chiederci: la distruzione di lavoro morto (attraverso la guerra o catastrofi di varia natura) può aiutare il capitalismo a rivitalizzarsi? A livello generale possiamo tranquillamente dire di no, per la semplice ragione che la crescita dell'enorme massa di capitale speculativo (derivati, futures, opzioni, ecc.) che oggi viene identificato come capitale finanziario e che alcuni definiscono con il termine finanziarizzazione, è un fenomeno da cui non si può tornare indietro. La parabola del plusvalore ha un inizio e una fine.
Si è poi passati a parlare di intelligenza artificiale, commentando un articolo di Paolo Mastrolilli su Repubblica ("Piovono miliardi sull'Intelligenza artificiale: tra i colossi di Big Tech è sfida di investimenti", 5.2.23). I Big tech stanno dunque investendo miliardi di dollari nel settore: Microsoft ne ha messi sul piatto ben dieci per stringere l'alleanza con gli sviluppatori di OpenAI, che hanno creato ChatGPT, acronimo di Chat Generative Pre-trained Transformer (traducibile in "trasformatore pre-istruito generativo di programmi di dialogo"). Si tratta di una chatbot in grado di produrre contenuti, intrattenere dialoghi, fornire traduzioni, ecc., su impulso delle domande poste dagli utenti, che in pochi mesi hanno sfiorato i 100 milioni.
Google aveva prodotto LaMDA e adesso annuncia l'uscita di Bard (Trasformer, machine learning), Amazon potenzia Alexa, e su tecnologie simili stanno lavorando anche Meta (Facebook) e Apple. Nessun Big può restare indietro, pena l'uscita dal mercato ovvero il fallimento. Si sta combattendo una vera e propria guerra tra le aziende hi-tech per non perdere terreno, e questo attira capitali per ricerca e sviluppo. In USA ci sono oltre 450 startup che lavorano sull'intelligenza artificiale generativa. Anche la Cina è all'avanguardia nel settore (vedi WeChat sviluppato dalla società Tencent).
Lo sviluppo tecnologico produce nuove aziende, ma anche ingenti tagli al personale: si stima che siano 255 mila i dipendenti licenziati nel settore. Il Challenger Report ha definito l'industria tech, "the leading job-cutting industry" ("il settore in prima linea nei licenziamenti").
Ormai siamo arrivati al software che scrive sé stesso. Aveva anticipato questo processo il grande matematico John von Neumann che, ampliando il procedimento alla base della macchina di Turing universale, mosso dalla convinzione che procedimenti fondati su operazioni logiche possono far sì che gli automi producano altri automi, progettò negli anni 40' un "costruttore universale" auto-replicante. Oggi è il software ad essere auto-replicante, e ciò ha un impatto enorme anche sul modo di fare la guerra: nel conflitto in Ucraina è in atto un cambio di paradigma in termini di armi testate sul campo di battaglia e di quelle che si stanno preparando.
Da trent'anni siamo attenti all'evoluzione del software e al suo impatto sociale, oggi ci troviamo in un mondo che ha sviluppato a pieno tali tendenze. Abbiamo quindi un gravoso ma allo stesso tempo entusiasmamene compito, quello di conservare il patrimonio storico della Sinistra e continuare l'elaborazione sul filo del tempo, nell'epoca dei robot, delle reti neurali e della machine intelligence.
Il mondo del "nato" e quello del "prodotto" si stanno fondendo (Out of Control, Kevin Kelly). Le macchine riescono a realizzare quello che l'uomo non è in grado di fare e questo porta alla formazione di una rete neurale globale mezza biologica e mezza artificiale. Le punte avanzate della classe dominante hanno intuito che la sfida in atto è enorme, e che l'attuale modo di produzione non ce la fa proprio a tenere il passo ai processi di auto-apprendimento delle macchine; terrorizzate da questo sviluppo, immaginano un futuro distopico come nel film Jung_E di Yeon Sang-ho.
Analizzando questi fenomeni, tutti possono rendersi conto che siamo sulla terra di confine tra passato e futuro. Siamo nel bel mezzo della "singolarità tecnologica" di cui parla Raymond Kurzweil nei suoi libri. Il sistema capitalistico sta brancolando nel buio, non è riuscito a sviluppare una teoria all'altezza delle potenze sotterranee che ha evocato (Manifesto dei Comunisti), è perciò destinato a soccombere per lasciare spazio ad un'altra forma, in linea con il livello raggiunto dalla forza produttiva sociale.