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  • Resoconto teleriunione  21 febbraio 2023

L'unica soluzione

La teleconferenza di martedì sera, a cui si sono connessi 15 compagni, ha avuto come tema principale la guerra in Ucraina scoppiata circa un anno fa.

Abbiamo iniziato la discussione analizzando le prese di posizione di alcuni militari italiani, (Leonardo Tricarico e Marco Bertolini) contrari all'invio dei carri armati prodotti in Germania. Si è quindi passati a commentare quanto scrive il generale Fabio Mini nel suo ultimo libro L'Europa in guerra (ed. PaperFIRST, 2023). Una prima considerazione da fare, leggendo i capitoli iniziali del testo, riguarda il fatto che le campagne di denuncia di leniniana memoria sono ormai sostenute dagli stessi generali dell'esercito, motivo per cui i comunisti non si possono fermare a tale livello e devono per forza andare oltre.

In L'Europa in guerra si dice che lo svuotamento degli obsoleti arsenali occidentali, dovuto alle forniture di armi a Kiev, rende necessario il rinnovo degli armamenti e apre le porte all'adozione di nuove risorse tecnologicamente più avanzate ed efficienti. Tali equipaggiamenti, afferma Mini, sono prevalentemente americani e legano sempre più l'Europa agli Stati Uniti, paese che maggiormente investe nella preparazione e nell'impiego di forze militari. Gli alleati NATO dell'Est Europa sono le punte di lancia dell'America nel Vecchio Continente.

Per il generale, l'Ucraina sta combattendo contro l'Europa per e con gli Stati Uniti. E l'obiettivo di quest'ultimi è mantenere l'egemonia sull'Europa e interrompere qualsiasi legame politico ed economico tra Berlino e Mosca, costringendo gli alleati a importare da loro risorse energetiche a costi più alti. In ballo c'è il controllo di un mondo che non accetta più supinamente il dominio del dollaro. Come nota l'Economist ("What Ukraine means for the world"), solo un terzo della popolazione mondiale vive in paesi che hanno condannato la Russia per l'invasione dell'Ucraina e le hanno imposto sanzioni.

Come potrebbe svilupparsi allora la guerra iniziata in Ucraina, si chiede Mini. Le opzioni elencate nel libro sono le seguenti: un "cessate il fuoco" concordato da entrambe le parti; una missione di garanzia/verifica; una missione d'interposizione; la guerra convenzionale per "procura" (è già in atto); la guerra di Coalizione; la guerra della NATO.

Se questa guerra non è il primo conflitto in Europa, si scrive in L'Europa in guerra, potrebbe però essere l'ultimo nel senso prospettato da Einstein: dopo di essa l'umanità combatterà con pietre e bastoni. Non c'è dubbio che la guerra in corso sia l'inizio di qualcosa di molto più grande, che riguarda non tanto un conflitto tra due paesi confinanti ma i mutati equilibri inter-imperialisti. Anche l'Italia, al pari di Francia e Germania, è in guerra, e si sta tornando a parlare di servizio militare obbligatorio e di aumento delle spese militari. Ciò che fa riflettere è il pragmatismo di analisti come Mini, l'approccio tecnico e il parlare schietto. I militari sono le antenne che captano lo sconvolgimento a venire. Lavorano con i wargame, prevedono scenari, valutano le forze in campo. Nel milieu marxista-leninista regnano invece le partigianerie e c'è chi afferma che "la pace è possibile solo con la vittoria dell'Ucraina libera e indipendente", oppure chi dice che i comunisti devono sostenere "il Donbass libero e comunista." Poi c'è l'impotente pacifismo cattolico, che raccoglie consenso trasversalmente.

Il rullo dei tamburi di guerra americani dà voce ai critici europei, a quei paesi che hanno tutto da perdere dall'intraprendere un conflitto aperto con la Russia. Si formano così correnti borghesi che esprimono disappunto rispetto ad un maggiore coinvolgimento bellico. A tal proposito, Mini riporta alcune prese di posizione interne all'esercito italiano, come il testo inoltrato su WhatsApp firmato "Incursore Fabio Filomeni":

"Rischiamo di morire per una NATO che ha cambiato pelle e che non è più la stessa organizzazione difensiva che agiva nell'interesse comune degli Stati aderenti. Adesso morire per la NATO significa morire per gli interessi egemoni di una sola nazione, l'unica che trae beneficio da una guerra in Europa: gli Stati Uniti d'America... Ribelliamoci civilmente, prima che sia troppo tardi. Ribelliamoci per la vita nostra e per dovere civico nei confronti delle future generazioni. Facciamo Noi la guerra a chi vuole la guerra! Sono loro i codardi, non Noi!"

Filomeni è stato volontario in servizio di leva presso il Reparto Incursori dell'Esercito (Col Moschin), sottufficiale poi promosso Ufficiale e congedato con il grado di Colonnello nello stesso Reparto. Critica la NATO dicendo che non ha senso morire per essa. In effetti, l'Organizzazione del Trattato dell'Atlantico del Nord è diventata un agente globale mentre, come dice il nome, era sorta come alleanza regionale.

Dichiarazioni come quelle di Filomeni sembrano di un terzinternazionalista ("trasformare la guerra imperialista in guerra civile"), e invece sono di un militare che lancia l'allarme per la concreta possibilità dello scoppio di un conflitto mondiale. Mini, al pari di Lucio Caracciolo (La pace è finita), delinea un quadro fatto di disordine internazionale montante, affermando che si sta andando "verso lo scontro globale che tutti dicono di voler evitare". L'Europa non ha ben capito cosa sta venendo avanti e minimizza il portato distruttivo di questa guerra, ma nemmeno gli USA hanno compreso la situazione, soprattutto per quanto riguarda la sostenibilità del loro debito: essi dovrebbero percorrere la strada del negoziato e non quella delle armi. A questo punto l'analisi del generale lascia un po' a desiderare, perchè la guerra non è un fatto di volontà bensì scoppia per dinamiche che gli Stati non controllano fino in fondo.

Sullo sfondo dell'escalation bellica c'è poi la questione della tenuta del fronte interno, in Russia, in Ucraina e altrove, il cui crollo potrebbe ampliare la dimensione della crisi del capitalismo mondiale. Non è pensabile un nuovo ordine mondiale, anche perché dal punto di vista storico-matematico la parabola del plusvalore ha un inizio e una fine: abbiamo un sistema produttivo che nel tempo aumenta la sua forza, aumenta il numero delle merci prodotte mettendo in moto sempre più capitale con sempre meno uomini. Questo sistema vede il giganteggiare del lavoro morto su quello vivo, in fabbrica come nel campo di battaglia; perciò, se non viene bloccata, questa guerra andrà fino in fondo e sarà guerra delle macchine, dei sistemi e dell'informazione ("La Quarta Guerra Mondiale").

Ricollegandoci alle dichiarazioni "critiche" di alcuni militari, abbiamo ricordato quanto scritto nell'editoriale della rivista intitolato "Le attenzioni dello Stato": "Di quale parte si farebbero strumento le forze armate il giorno in cui la società fosse davvero giunta al confine fra un modo di produzione putrefatto e un mondo completamente nuovo, proiettato nel futuro? Non è un assioma né una certezza scientifica, ma sappiamo che gli eserciti sono sempre stati uno strumento primario di tutte le rivoluzioni. Ai delegati bolscevichi dei soviet bastarono poche parole per conquistare l'armata golpista di Kornilov scagliata contro la rivoluzione."

La teleriunione è proseguita con il commento delle notizie provenienti dalla Francia dove, sull'onda delle grandi manifestazioni contro la riforma delle pensioni, i tecnici delle società di distribuzione del gas e dell'energia elettrica hanno cominciato a manomettere i contatori in modo che gli utenti ricevano bollette più leggere. Se queste iniziative si diffondessero anche ad altri settori e si coordinassero, per qualsiasi Stato sarebbe difficile contrastarle. Se cambiano le situazioni sociali, cambiano anche le forme di organizzazione e di lotta.

I borghesi si rendono conto del fatto che le crisi si stanno moltiplicando e hanno coniato il termine "policrisi" (crisi economiche, climatiche e politiche si accumulano e si amplificano l'una con l'altra). Anche questa è una capitolazione ideologica di fronte al marxismo, che intende la crisi storica del capitalismo senile come un qualcosa di strutturale, che riguarda tutte gli aspetti del vivere sociale. Secondo lo storico economico Adam Tooze, che si è occupato del concetto, "ciò che rende le crisi degli ultimi 15 anni così disorientanti è che non sembra più possibile indicare una singola causa e, di conseguenza, una singola soluzione".

Quando si sincronizzano crisi generali di varia natura, tutto viene amplificato e anche la rivolta assume un carattere universale. Per capire come potrebbe evolvere la situazione dal punto di vista sociale nel prossimo futuro, è utile riprendere in mano l'articolo della rivista sul wargame, soprattutto la seconda parte (n. 51), nella quale viene simulata attraverso il metodo dei giochi di guerra una situazione di rabbia montante, che vede il diffondersi di manifestazioni contro lo stato di cose presente e la nascita di un ipotetico movimento, chiamato Occupy Grande Piazza:

"Si è formata spontaneamente una struttura che accoglie e indirizza i nuovi arrivati e amministra il denaro donato. L'accrescersi della folla e il formarsi di strutture fisse come la cucina da campo, la tendopoli, lo spazio della stampa e della lettura, l'area informatica, sono tutti fattori registrati da una memoria collettiva che ha tramandato i modelli di Occupy Wall Street anche senza un ricordo diretto, dato che l'esperienza americana non si era radicata in Italia."

Sono i proletari che hanno in mano le leve delle società, hanno dalla loro il numero e la collocazione all'interno dei processi produttivi. Il simbolico 99% ha da perdere solo le proprie catene e ha un mondo da conquistare, il parassitario sistema dell'1% lotta invece per conservare il sistema del lavoro salariato. Non c'è nulla da mediare tra queste due forze, e perciò "l'unica soluzione è la rivoluzione mondiale" (conclusione dello statement nella Home page del sito Occupy Wall Street).

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