Il primo maggio del 2022 abbiamo distribuito in piazza un volantino intitolato "La Quarta Guerra Mondiale", in cui si ribadiva che, se prende piede questo tipo di guerra, l'umanità è a serio rischio di estinzione. Come scriveva Bordiga (lettera a Ceglia, 1957):
"La rivoluzione verrà se la guerra sarà bloccata sul suo scatto, e capovolta, ossia se impedirà che la guerra si sviluppi. Perché tanto sia possibile sarà necessario che un potente partito internazionale sia organizzato con la dottrina che solo abbattendo il capitalismo si impedisce la serie delle guerre. Insomma, l'alternativa è questa: o passa la guerra, o passa la rivoluzione."
Ma cos'è la guerra? Il fatto "guerra" è ritenuto troppo spesso di esclusiva competenza dei militari e manovrato a piacimento dalle classi dominanti, ma non bisogna dimenticare che è l'imperialismo ad averne bisogno e a produrlo, utilizzando i battilocchi di turno. Lo stadio di sviluppo del capitale è di estrema importanza quando si parla di guerra, poichè questa è lo specchio della società che la esprime. La teoria della borghesia sulla guerra si ferma dove finiscono i suoi interessi: pur costruendo armi e linee di montaggio, manca di una dottrina che spieghi la natura della sua guerra e, soprattutto, il fatto che sta scomparendo la pace. Due anni fa i media annunciavano l'invasione russa dell'Ucraina al fine di occuparla, senza riconoscere, invece, che si trattava di una blitzkrieg (strategia sviluppata dal generale russo Tuchačevskij durante la Rivoluzione russa e poi presa in prestito dalla Germania nella Seconda guerra mondiale), a cui sarebbe seguito un periodo di consolidamento. La Russia mirava infatti a conquistare punti nevralgici all'interno del territorio ucraino e ad acquisire postazioni stabili e fortificate, e ci è riuscita. L'Occidente non sta perdendo la guerra, come afferma Limes, perchè l'ha già persa.
L'area di contrasto tra Russi e Ucraini è una linea difensiva lunga centinaia di chilometri, simile a quelle del primo conflitto mondiale, ma con una struttura completamente diversa. Russi e Occidentali stanno svuotando i vecchi arsenali per fare spazio a nuovi armamenti, Putin ha fatto accenno al fatto che la Russia sta costruendo nuove armi (cannoni laser), dato che le vecchie non bastano più. Le guerre incominciano là dove sono finite le precedenti. Anche se il punto di passaggio non è perfettamente visibile, la transizione storica non solo è evidente ma si impone come risultato dei rapporti capitalistici. La sovrapproduzione di capitale, che è sempre sovrapproduzione di merci, trova nuovi sbocchi soltanto sovradimensionando il mercato. È inevitabile assistere alla risposta automatica, immediata, dell'intero ciclo di produzione, il quale comprende la guerra. La "trasformazione della guerra imperialista in guerra civile" poteva avere senso nella Russia del 1917, quando gli eserciti di popolo potevano fraternizzare e scagliarsi contro i propri comandanti. Oggi tale "trasformazione" avrebbe l'aspetto di uno scontro tra forze simmetriche, cioè tra eserciti, un po' come nella guerra civile spagnola: un esito teoricamente possibile, ma ben poco probabile e tantomeno auspicabile nella nostra epoca.
Nei numeri 50 e 51 della rivista, dedicati al tema del wargame, abbiamo tracciato una distinzione tra il processo rivoluzionario come lo abbiamo osservato in passato, e la configurazione che assumerà domani. Evidentemente, sarà necessario il crollo del fronte interno, un collasso che impedisca una mobilitazione generale della società verso il nuovo tipo di guerra. Dovrà svilupparsi qualcosa all'interno delle grandi metropoli capitalistiche, una rottura radicale con l'esistente. Lo schema del rovesciamento della prassi della nostra corrente dimostra che, per arrivare a tanto, servono due tipi di movimento: uno dal basso verso l'alto (bottom-up), e l'altro dall'alto verso il basso (top-down). La polarizzazione che porta una parte del proletariato ad organizzarsi in partito è generata dalla dissoluzione del modo di produzione capitalistico, dalla profonda crisi della legge del valore, da un disagio sociale crescente.
Nessuna rivoluzione ha mai raggiunto il suo scopo senza che la classe vittoriosa avesse espresso in tutti i sensi questa superiorità. Che non è necessariamente rappresentata dal numero di uomini e di mezzi, dalle possibilità economiche o dalla disponibilità di tecnologie, ma può essere il risultato congiunto della debolezza della classe al potere e della qualità dell'organizzazione sociale rivoluzionaria emergente nel corso del collasso di vecchie forme sociali.
A proposito di organizzazione sociale, guardando all'Italia, in questi giorni la CGIL ha richiamato l'attenzione sul fatto che in una città come Torino 8 lavoratori su 10 sono precari. Qualche anno fa, quando si parlava di lavoratori "atipici", ci si riferiva ai somministrati, ai co.co.co, ai lavoratori a progetto, ecc., mentre oggi gli "atipici" sono quelli con il contratto a tempo indeterminato. Il precario che passa da un lavoro all'altro, da un contratto all'altro, che ha sempre meno da perdere in questa forma sociale, dovrà per forza di cose riscoprire l'organizzazione immediata territoriale, come anticipato da Occupy Wall Street nel 2011 e prima ancora dalla Sinistra Comunista "italiana" ("Prendere la fabbrica o prendere il potere?", 1920).
Le reti permettono di bypassare le organizzazioni tradizionali, facilitano l'autorganizzazione di classe. Uno smartphone può diventare uno strumento di supporto all'esercito (l'Ucraina ha sviluppato un'app che consente ai civili di inviare foto e informazioni per localizzare il nemico), ma anche un mezzo alla portata di tutti per coordinarsi durante le manifestazioni. Il proletariato globale ha in mano strumenti potentissimi: come abbiamo scritto nell'articolo "Informazione e potere" (n. 37), con l'avvento di Internet si è stabilita una simmetria tra rivoltosi e Stato, e quest'ultimo non ha più il monopolio dell'informazione. Sono cambiate le regole del gioco, e quindi è cambiato il gioco.
Con l'Internet of Things (IoT), tutti gli oggetti e le infrastrutture sono potenzialmente collegabili alla rete e potrebbero dar vita ad un vastissimo sistema intelligente. Bruce Schneier, esperto di sicurezza informatica, scrive nella sua newsletter:
"Pensiamo ai robot come oggetti metallici discreti, con sensori e attuatori sulla loro superficie e logica di elaborazione all'interno. Ma i nostri nuovi robot sono diversi. I loro sensori e attuatori sono distribuiti nell'ambiente. La loro elaborazione avviene altrove. Sono una rete di unità individuali che diventano un robot solo nel complesso."
Abbiamo costruito un robot delle dimensioni del mondo senza rendercene conto. Le fabbriche come unità discrete vanno intese come moduli di una fabbrica globale, collegati attraverso sistemi di intelligenza artificiale. Gli algoritmi possono sviluppare una capacità predittiva: grazie alla massa di dati che viene immagazzinata nei data center delle grandi aziende è possibile prevedere la quantità di prodotti che saranno venduti. Già a metà degli anni '90 fu progettata la Non Stop Logistics, che aveva come obiettivo il pronostico dei volumi di un insieme di prodotti di largo consumo richiesti in una certa zona (per esempio una metropoli) e periodo (per esempio un fine settimana). L'idea di base è che le previsioni aggregate per una certa area saranno sempre più precise delle previsioni di dettaglio per un negozio singolo. Amazon ha ripreso questa modalità organizzativa organizzando spedizioni preventive verso determinate regioni o città, basandosi sulle informazioni rilasciate da appositi software. Insomma, con questo sistema automatizzato la consegna della merce avviene prima che parta l'ordine e sebbene sia controintuitivo, l'anticipatory shipping sembra funzionare.
Nell'articolo "Rivoluzione anti-entropica" abbiamo visto che per Wiener, Rosenblueth e Bigelow ("Comportamento, intento e teleologia", 1943), come già per Aristotele, "la fine viene per prima."