Il fatto che un periodico come l'Economist, rappresentante del capitalismo liberale, arrivi a parlare di un ordine economico prossimo al collasso è da annoverare tra quelle che la Sinistra definisce "capitolazioni ideologiche della borghesia di fronte al marxismo". L'infrastruttura politica a guida americana che faceva funzionare le relazioni tra gli stati è andata in frantumi. Organismi nati per risolvere le controversie mondiali, ad esempio il WTO, non riescono a promuovere il commercio internazionale, che negli ultimi anni ha registrato una frenata, e a far ripartire un ciclo virtuoso di accumulazione. Secondo il settimanale inglese, i sussidi e gli aiuti all'economia nazionale, e i dazi e le sanzioni agli stati concorrenti, anche a causa della guerra (secondo il gruppo di ricerca Global Sanctions Database, i governi di tutto il mondo stanno imponendo sanzioni con una frequenza quattro volte superiore a quella degli anni '90), rappresentano una minaccia all'economia di mercato rendendo più difficile la ripresa globale. Negli ultimi anni hanno smesso di crescere gli investimenti transfrontalieri, anche in conseguenza alle misure protettive adottate dagli stati; si sono sviluppate forme di pagamento che bypassano i circuiti standard; si sta combattendo una guerra che non produce ufficialmente vittime, ma che è alla base dello sconvolgimento in corso: la guerra per detronizzare il dollaro.
Dalla green economy ai componenti elettronici per i computer, fino alle produzioni necessarie per lo sforzo bellico, ogni paese corre ai ripari e cerca di dotarsi di un'industria autonoma. Gli USA, a parole difensori del libero mercato, stanno investendo migliaia di miliardi di dollari per foraggiare aziende americane produttrici di chip. Il dipartimento del commercio degli Stati Uniti ha annunciato il via libera ad ingenti finanziamenti alla taiwanese TSMC per la costruzione di un nuovo grande impianto per la produzione di semiconduttori a Phoenix, in Arizona ("The world's economic order is breaking down").
Le istituzioni mondiali sono morte e defunte perché attualmente sono in molti a fare riferimento a creditori alternativi al FMI (sembra che la Cina detenga dal 40% al 60% del debito del continente africano). La Corte penale internazionale (che non ha mai avuto un potere esecutivo) è stata apertamente minacciata da Israele. Il mese scorso alcuni politici americani, tra cui Mitch McConnell, leader dei repubblicani al Senato, hanno minacciato di sanzionare la Corte se avesse emesso mandati di arresto per i leader di Israele.
Questo declino del sistema minaccia di rallentare la crescita, o addirittura di invertirla. Senza un coordinamento internazionale, per il capitalismo sarà sempre più difficile gestire le sfide in corso: la corsa agli armamenti, la sfida dello Spazio, le catastrofi ambientali, sanitarie e sociali. La deglobalizzazione, secondo l'Economist, è una specie di regressione, una sorta di passaggio da n a n-1. Noi abbiamo detto che la globalizzazione è il frutto di un determinato stadio di sviluppo delle forze produttive, quello che Lenin chiama "imperialismo". Il capitalismo, diventando finalmente davvero sé stesso, incomincia ad autonegarsi come specifico modo di produzione (Lettera ai compagni n. 40, "Globalizzazione"). Essendo dunque l'imperialismo la fase suprema del capitalismo, è impossibile tornare ad una fase di sviluppo precedente, può esserci solo una transizione di fase verso qualcosa di superiore.
In un'intervista al Generale Fabio Mini sulla guerra in corso ("La guerra nucleare tattica distruggerà l'Europa"), si affronta il tema dei mutati equilibri mondiali. Secondo il militare, non esiste più un mondo diviso in blocchi ordinati, e ogni attore globale ha una sua strategia e persegue i proprio obiettivi. Perciò parlare di "arco di instabilità" per indicare una fascia geopolitica dove c'è caos sociale o guerra non ha senso: è il mondo intero ad essere in crisi, e semmai ci sono particolari aree del Pianeta soggette a conflitti particolarmente acuti. Il problema non è tanto la guerra in Ucraina o in Medioriente, e nemmeno il fatto che ci siano guerre contigue dal punto di vista geografico; il problema è di tipo strutturale: sta saltando l'ordine mondiale, pertanto, al di là che si "risolva" lo scontro in questa o quell'area, non si può "risolvere" lo sgretolamento dell'architettura politica internazionale. Gli analisti militari e geopolitici, anche quelli più lucidi, non si sbilanciano sul dopo, si fermano a definire la natura mondiale della crisi e si interrogano sui nuovi equilibri o squilibri.
I primi due conflitti mondiali sono partiti dal territorio europeo, e lì si sono combattuti, anche se la Seconda Guerra Mondiale ha interessato un po' tutto il mondo. L'Europa è una faglia geostorica su cui si scarica tutta una serie di contraddizioni, e non a caso Mini parla apertamente del rischio di impiego di armi nucleari tattiche. Se a livello di armi nucleari strategiche la deterrenza tra USA e Russia funziona ancora, a livello di armi nucleari tattiche non è ritenuto impossibile un loro impiego su territori terzi. La Russia e gli USA insieme possiedono il 90% delle 12.500 testate strategiche e tattiche nel mondo. Mosca è in vantaggio su Washington con 5.900 ordigni contro 5.200. Il fronte ucraino è prossimo al collasso e la Russia avanza verso Ovest. Quali saranno le mosse della NATO e quelle della Russia, qualora dovesse implodere l'Ucraina?
Europa, Medioriente e Indopacifico sono i tre principali teatri di conflitto (anche se nell'ultimo non si spara), e hanno tutti a che fare con la crisi dell'egemonia americana. Nel conflitto israelo-palestinese, Tel Aviv vede intaccato il supporto internazionale, è costretta a trattare con Hamas e soprattutto deve fare i conti con la perdita della propria deterrenza. Israele è una testa di ponte americana in Medioriente, ma non è del tutto sotto il controllo di Washington. Cosa ne farà lo stato israeliano della Striscia di Gaza finita l'operazione militare?
Dal punto di vista del wargame mondiale, l'America deve mantenere accerchiata la Cina in modo da contenerne lo sviluppo; dal canto suo, la Cina cerca di rompere tale accerchiamento, per esempio avviando la Belt and Road Initiative e penetrando economicamente in Europa e Africa. In tutti i casi di conflitto elencati, come evolverà la situazione nei prossimi anni?
Per rispondere a questi interrogativi bisogna prestare grande attenzione a quanto avviene all'interno degli Stati Uniti, alla tenuta del "fronte interno". Il mondo è una grande scacchiera e ogni mossa determina la successiva. Come abbiamo scritto nell'articolo "Wargame" (n. 50): "Oggi si fa ricorso a simulazioni da wargame non solo da parte dei militari, che hanno sviluppato programmi potentissimi, ma da parte di chiunque 'entri in gioco' su di un campo di battaglia qualsiasi, da quello del gioco vero e proprio a quello della campagna di marketing."
Il mondo capitalistico è di per sé impregnato di guerra: fra le classi e all'interno di esse (concorrenza), fra etnie e stati, ecc. Marx considerava la lotta economica immediata come un embrione di guerra civile. Quando diciamo che bisogna bloccare la guerra al suo inizio, soprattutto nell'era della cibernetica e dell'intelligenza artificiale, è perché il suo effetto distruttivo, come il collasso delle catene logistiche, porterebbe a situazioni catastrofiche con alcuni miliardi di morti.
Ci sono determinazioni materiali (la politica viene sempre dopo) che spingono a cambiare i vecchi assetti sui cui poggiava il mondo; tuttavia, non basta la "volontà" per stabilirne di nuovi. Il presidente cinese Xi Jinping dopo cinque anni è tornato in Europa, visitando Ungheria, Serbia, ma soprattutto la Francia, che si sta ritagliando un proprio spazio negoziale con la Cina, candidandosi come punto di riferimento nel Vecchio Continente.
Nell'articolo di Battaglia Comunista "Non potete fermarvi, solo la rivoluzione proletaria lo può, distruggendo il vostro potere" (1951), si ricorda che l'unica alternativa alla guerra imperialista è un sommovimento a livello globale, con un attore che per adesso non è ancora entrato in scena, ovvero il proletariato con alla guida il partito dell'antiforma.