Informazioni aggiuntive

  • Resoconto teleriunione  14 maggio 2024

Il crollo dell'ordine economico mondiale

La teleriunione di martedì sera è iniziata prendendo spunto dall'ultimo numero dell'Economist ("The new economic order", 11 maggio 2024), che dedica diversi articoli alla crisi mondiale in atto.

Secondo il settimanale inglese, a prima vista il capitalismo sembra resiliente, soprattutto alla luce della guerra in Ucraina, del conflitto in Medioriente, degli attacchi degli Houthi alle navi commerciali nel Mar Rosso; in realtà, esso è diventato estremamente fragile. Esiste, infatti, un numero preoccupante di fattori che potrebbero innescare la discesa del sistema verso il caos, portando la forza a prendere il sopravvento e la guerra ad essere, ancora una volta, la risposta delle grandi potenze per regolare i conflitti. E anche se non si arrivasse mai ad uno scontro bellico mondiale, il crollo dell'ordine internazionale potrebbe essere improvviso e irreversibile ("The liberal international order is slowly coming apart").

Il fatto che un periodico come l'Economist, rappresentante del capitalismo liberale, arrivi a parlare di un ordine economico prossimo al collasso è da annoverare tra quelle che la Sinistra definisce "capitolazioni ideologiche della borghesia di fronte al marxismo". L'infrastruttura politica a guida americana che faceva funzionare le relazioni tra gli stati è andata in frantumi. Organismi nati per risolvere le controversie mondiali, ad esempio il WTO, non riescono a promuovere il commercio internazionale, che negli ultimi anni ha registrato una frenata, e a far ripartire un ciclo virtuoso di accumulazione. Secondo il settimanale inglese, i sussidi e gli aiuti all'economia nazionale, e i dazi e le sanzioni agli stati concorrenti, anche a causa della guerra (secondo il gruppo di ricerca Global Sanctions Database, i governi di tutto il mondo stanno imponendo sanzioni con una frequenza quattro volte superiore a quella degli anni '90), rappresentano una minaccia all'economia di mercato rendendo più difficile la ripresa globale. Negli ultimi anni hanno smesso di crescere gli investimenti transfrontalieri, anche in conseguenza alle misure protettive adottate dagli stati; si sono sviluppate forme di pagamento che bypassano i circuiti standard; si sta combattendo una guerra che non produce ufficialmente vittime, ma che è alla base dello sconvolgimento in corso: la guerra per detronizzare il dollaro.

Dalla green economy ai componenti elettronici per i computer, fino alle produzioni necessarie per lo sforzo bellico, ogni paese corre ai ripari e cerca di dotarsi di un'industria autonoma. Gli USA, a parole difensori del libero mercato, stanno investendo migliaia di miliardi di dollari per foraggiare aziende americane produttrici di chip. Il dipartimento del commercio degli Stati Uniti ha annunciato il via libera ad ingenti finanziamenti alla taiwanese TSMC per la costruzione di un nuovo grande impianto per la produzione di semiconduttori a Phoenix, in Arizona ("The world's economic order is breaking down").

Le istituzioni mondiali sono morte e defunte perché attualmente sono in molti a fare riferimento a creditori alternativi al FMI (sembra che la Cina detenga dal 40% al 60% del debito del continente africano). La Corte penale internazionale (che non ha mai avuto un potere esecutivo) è stata apertamente minacciata da Israele. Il mese scorso alcuni politici americani, tra cui Mitch McConnell, leader dei repubblicani al Senato, hanno minacciato di sanzionare la Corte se avesse emesso mandati di arresto per i leader di Israele.

Questo declino del sistema minaccia di rallentare la crescita, o addirittura di invertirla. Senza un coordinamento internazionale, per il capitalismo sarà sempre più difficile gestire le sfide in corso: la corsa agli armamenti, la sfida dello Spazio, le catastrofi ambientali, sanitarie e sociali. La deglobalizzazione, secondo l'Economist, è una specie di regressione, una sorta di passaggio da n a n-1. Noi abbiamo detto che la globalizzazione è il frutto di un determinato stadio di sviluppo delle forze produttive, quello che Lenin chiama "imperialismo". Il capitalismo, diventando finalmente davvero sé stesso, incomincia ad autonegarsi come specifico modo di produzione (Lettera ai compagni n. 40, "Globalizzazione"). Essendo dunque l'imperialismo la fase suprema del capitalismo, è impossibile tornare ad una fase di sviluppo precedente, può esserci solo una transizione di fase verso qualcosa di superiore.

In un'intervista al Generale Fabio Mini sulla guerra in corso ("La guerra nucleare tattica distruggerà l'Europa"), si affronta il tema dei mutati equilibri mondiali. Secondo il militare, non esiste più un mondo diviso in blocchi ordinati, e ogni attore globale ha una sua strategia e persegue i proprio obiettivi. Perciò parlare di "arco di instabilità" per indicare una fascia geopolitica dove c'è caos sociale o guerra non ha senso: è il mondo intero ad essere in crisi, e semmai ci sono particolari aree del Pianeta soggette a conflitti particolarmente acuti. Il problema non è tanto la guerra in Ucraina o in Medioriente, e nemmeno il fatto che ci siano guerre contigue dal punto di vista geografico; il problema è di tipo strutturale: sta saltando l'ordine mondiale, pertanto, al di là che si "risolva" lo scontro in questa o quell'area, non si può "risolvere" lo sgretolamento dell'architettura politica internazionale. Gli analisti militari e geopolitici, anche quelli più lucidi, non si sbilanciano sul dopo, si fermano a definire la natura mondiale della crisi e si interrogano sui nuovi equilibri o squilibri.

I primi due conflitti mondiali sono partiti dal territorio europeo, e lì si sono combattuti, anche se la Seconda Guerra Mondiale ha interessato un po' tutto il mondo. L'Europa è una faglia geostorica su cui si scarica tutta una serie di contraddizioni, e non a caso Mini parla apertamente del rischio di impiego di armi nucleari tattiche. Se a livello di armi nucleari strategiche la deterrenza tra USA e Russia funziona ancora, a livello di armi nucleari tattiche non è ritenuto impossibile un loro impiego su territori terzi. La Russia e gli USA insieme possiedono il 90% delle 12.500 testate strategiche e tattiche nel mondo. Mosca è in vantaggio su Washington con 5.900 ordigni contro 5.200. Il fronte ucraino è prossimo al collasso e la Russia avanza verso Ovest. Quali saranno le mosse della NATO e quelle della Russia, qualora dovesse implodere l'Ucraina?

Europa, Medioriente e Indopacifico sono i tre principali teatri di conflitto (anche se nell'ultimo non si spara), e hanno tutti a che fare con la crisi dell'egemonia americana. Nel conflitto israelo-palestinese, Tel Aviv vede intaccato il supporto internazionale, è costretta a trattare con Hamas e soprattutto deve fare i conti con la perdita della propria deterrenza. Israele è una testa di ponte americana in Medioriente, ma non è del tutto sotto il controllo di Washington. Cosa ne farà lo stato israeliano della Striscia di Gaza finita l'operazione militare?

Dal punto di vista del wargame mondiale, l'America deve mantenere accerchiata la Cina in modo da contenerne lo sviluppo; dal canto suo, la Cina cerca di rompere tale accerchiamento, per esempio avviando la Belt and Road Initiative e penetrando economicamente in Europa e Africa. In tutti i casi di conflitto elencati, come evolverà la situazione nei prossimi anni?

Per rispondere a questi interrogativi bisogna prestare grande attenzione a quanto avviene all'interno degli Stati Uniti, alla tenuta del "fronte interno". Il mondo è una grande scacchiera e ogni mossa determina la successiva. Come abbiamo scritto nell'articolo "Wargame" (n. 50): "Oggi si fa ricorso a simulazioni da wargame non solo da parte dei militari, che hanno sviluppato programmi potentissimi, ma da parte di chiunque 'entri in gioco' su di un campo di battaglia qualsiasi, da quello del gioco vero e proprio a quello della campagna di marketing."

Il mondo capitalistico è di per sé impregnato di guerra: fra le classi e all'interno di esse (concorrenza), fra etnie e stati, ecc. Marx considerava la lotta economica immediata come un embrione di guerra civile. Quando diciamo che bisogna bloccare la guerra al suo inizio, soprattutto nell'era della cibernetica e dell'intelligenza artificiale, è perché il suo effetto distruttivo, come il collasso delle catene logistiche, porterebbe a situazioni catastrofiche con alcuni miliardi di morti.

Ci sono determinazioni materiali (la politica viene sempre dopo) che spingono a cambiare i vecchi assetti sui cui poggiava il mondo; tuttavia, non basta la "volontà" per stabilirne di nuovi. Il presidente cinese Xi Jinping dopo cinque anni è tornato in Europa, visitando Ungheria, Serbia, ma soprattutto la Francia, che si sta ritagliando un proprio spazio negoziale con la Cina, candidandosi come punto di riferimento nel Vecchio Continente.

Nell'articolo di Battaglia Comunista "Non potete fermarvi, solo la rivoluzione proletaria lo può, distruggendo il vostro potere" (1951), si ricorda che l'unica alternativa alla guerra imperialista è un sommovimento a livello globale, con un attore che per adesso non è ancora entrato in scena, ovvero il proletariato con alla guida il partito dell'antiforma.

Articoli correlati (da tag)

  • Accumuli e catastrofi

    La teleriunione di martedì sera è iniziata riprendendo i temi trattati nella relazione "Peculiarità dello sviluppo storico cinese" presentata durante lo scorso incontro redazionale (15-16 marzo).

    La Cina ha attraversato una lunga guerra di liberazione nazionale (1927-1950) durante la quale la tattica del fronte unito con il Kuomintang, lanciata dal PCC in funzione antigiapponese, portò prima al disarmo e poi al massacro dei comunisti. In seguito alla vittoria della rivoluzione borghese, si rese necessario sviluppare il mercato interno e l'industria; la storia del capitalismo è la storia dell'assoggettamento della campagna alla città. Con la fine degli anni '70 si chiuse un'epoca e si aprì la strada ai finanziamenti esteri che, con le riforme, trasformarono completamente il paese (Deng Xiaoping: "arricchirsi è glorioso"). Il processo di accumulazione originaria, che nei paesi occidentali ha impiegato decine e decine di anni per compiersi, in Cina avviene bruscamente, portando con sè profondi disastri ambientali e sociali. Lo sradicamento dei contadini dalle zone rurali provocò migliaia di rivolte, soffocate con la forza dall'esercito.

    La Cina contemporanea non è solo un paese industrializzato, ma anche finanziarizzato. Nell'articolo "Tessile cinese e legge del valore" abbiamo visto che le contraddizioni riversate in Asia dall'Occidente sono poi tornate indietro amplificate. La vulcanica produzione cinese corrisponde al declino produttivo in altri paesi. La cosiddetta de-industrializzazione dell'Occidente non è causata da cattive scelte politiche, ma dalle leggi inerenti la natura del sistema capitalistico.

  • Accelerazionismo e forze storiche

    La teleriunione di martedì sera è iniziata dalla segnalazione di un articolo del sito Futuro Prossimo, intitolato "USA senza freni: l'accelerazionismo tecnologico di Trump e Musk".

    Nell'articolo, Ben Buchanan, ex consigliere per l'IA per la Casa Bianca, afferma che l'accelerazionismo, una corrente di pensiero secondo cui lo sviluppo tecnologico non deve avere limitazioni, è diventato la dottrina ufficiale dell'amministrazione Trump, con conseguenze potenzialmente rivoluzionarie. Per il nuovo esecutivo politico americano la vera minaccia non è la mancanza di regole, bensì il rischio di restare indietro nella corsa globale all'intelligenza artificiale generale. I meccanismi di funzionamento dello Stato sono troppo lenti per tenere il passo con l'innovazione tecnologica, perciò è necessaria una "distruzione creatrice" di schumpeteriana memoria. Di qui i piani di licenziamento dei lavoratori del DOGE (dipartimento per l'efficienza governativa statunitense) voluti da Elon Musk. Sembra che parte dei 1.500 dipendenti federali della General Services Administration recentemente allontanati verranno sostituiti dalla chatbot GSAi.

    Joseph Schumpeter sviluppa la teoria della "distruzione creatrice" basandosi sull'opera di Marx, in particolare sul passaggio del Manifesto del partito comunista in cui si afferma che la società borghese è costretta a rivoluzionare "di continuo gli strumenti di produzione, quindi i rapporti di produzione, quindi tutto l'insieme dei rapporti sociali".

  • Imperialismo europeo?

    La teleriunione di martedì sera è iniziata dalla notizia riguardante la cosiddetta questione curda.

    Abdullah Öcalan, storico leader della guerriglia curda, imprigionato nelle carceri turche dal 1999, ha chiesto al PKK l'abbandono della lotta armata. Proprio in questi giorni gli USA hanno annunciato il loro ritiro dalla Siria, dove è presente un contingente americano di circa 2mila soldati impegnati contro l'ISIS e a sostegno delle SDF (Siryan Democratic Force). La mossa di Öcalan è un segno dei tempi, è il portato di un repentino cambiamento degli equilibri mondiali, ma resta da vedere la capacità delle forze curde, divise geograficamente e politicamente, di darsi un indirizzo, se non unitario, almeno non confliggente.

    Il subbuglio sociale negli Stati Uniti ha conseguenze sul resto del mondo. L'annuncio di nuovi dazi doganali da parte dell'amministrazione Trump e, più in generale, il ritorno del protezionismo si scontrano con un mondo che, invece, avrebbe bisogno di un governo unico mondiale per gestire l'attuale sviluppo delle forze produttive. Il rischio è che collassi tutto, e che l'utilizzo dell'arma dei dazi inneschi situazioni incontrollabili: gli ingredienti ci sono tutti, il mercato è piccolo, gli attori sono troppi e ad azione segue reazione. La Cina ha infatti annunciato aumenti del 10-15% dei dazi su diversi prodotti agricoli e alimentari americani.

Rivista n°56, dicembre 2024

copertina n° 56

Editoriale: I limiti dell'… inviluppo / Articoli: Il gemello digitale - L'intelligenza al tempo dei Big Data - Donald Trump e il governo del mondo / Rassegna: Il grande malato d'Europa - Il vertice di Kazan - Difendono l'economia, preparano la guerra / Recensione: Ciò che sembrava un mezzo è diventato lo scopo / Doppia direzione: Il lavoro da svolgere oggi - Modo di produzione asiatico? - Un rinnovato interesse per la storia della Sinistra Comunista - Isolazionismo americano post-elettorale?

Raccolta della rivista n+1

Newsletter 245, 19 gennaio 2022

f6Libertà

Viviamo in una società che scoppia. I suoi membri, divisi o raggruppati secondo criteri il più delle volte arbitrari e casuali, non riescono più a darsi un'identità plausibile. La pandemia, invece di compattare gli individui intorno a provvedimenti utili alla salvaguardia della specie, ha aggravato la situazione facendo emergere ataviche tendenze all'irrazionale.

Continua a leggere la newsletter 245
Leggi le altre newsletter

Abbonati alla rivista

Per abbonarti (euro 20, minimo 4 numeri) richiedi l'ultimo numero uscito, te lo invieremo gratuitamente con allegato un bollettino di Conto Corrente Postale prestampato.
Scrivi a : mail2

Iscriviti alla newsletter

Iscriviti alla newsletter quindicinale di n+1.

Invia una mail a indirizzo email