Molto movimento intorno a quella che alcuni hanno indicato come la moneta del futuro, o che altri, invece, hanno screditato. Tra quest'ultimi, l'economista Roubini che proprio recentemente ha definito la cripto-moneta uno schema Ponzi, "un modo poco efficiente di accumulare valore", una valuta altamente volatile e quindi poco adatta ai mercati.
In realtà potremmo applicare lo schema Ponzi all'intera finanza mondiale; la differenza sta nel fatto che a tutela degli scambi, a garanzia delle banche, ci sono gli stati. I bitcoin invece non li garantisce nessuno e il loro valore è determinato da chi li compra e da chi li vende, e nessuno stato ne fissa il prezzo. A questo si aggiungono due fattori decisivi, e cioè che il programma prevede un numero finito di emissioni (21 milioni) e che la potenza di elaborazione dei computer richiesta per generare bitcoin è sempre maggiore. Perciò se ne aumenta la richiesta, ne aumenta il valore, e dato che sarà sempre più difficile generare nuovi bitcoin e la quantità della cripto-moneta disponibile non potrà che diminuire, ne consegue che il valore aumenterà vertiginosamente.
Gli stati non sanno ancora bene come affrontare la questione. Per ora solo Cina e Stati Uniti sono intervenuti. La banca centrale cinese ne ha vietato l'utilizzo al settore finanziario, mentre negli Usa è stato arrestato il fondatore del sito Silk Road, una sorta di mercato nero online della droga e delle armi dove le transazioni avvenivano in bitcoin. Una parte del valore mondiale potrebbe confluire nella cripto-moneta, e questa sembra in grado di non risentirne. Gli stati non possono permettersi di perdere il controllo sul capitale, per questo motivo cercheranno di rendere i bitcoin solo un gioco. E mentre studiano la faccenda cercando di intuirne l'evoluzione, non manca chi, come un vero e proprio intrigo internazionale, dà spazio a dietrologie e tesi complottiste, sostenendo che sia proprio un grosso stato ad aver lanciato il sistema. Certamente se il meccanismo prosegue il suo corso, la cripto-moneta diventerà come i tulipani nel 1600, quando un bulbo valeva quanto il prezzo di una casa. Abbiamo scritto nella newsletter n. 206: "[...] il Bitcoin non è controllabile, è emesso in quantità limitata e funziona esclusivamente sulla fiducia fra i contraenti. Sembra fatto apposta per dare al Capitale quel poco di autonomia che non s'era ancora assegnato. Se il traffico prosegue, il tetto massimo sarà raggiunto e la quantità circolante sarà sostituita dal suo valore globale, virtualmente infinito. A quel punto vedremo se si tratta di un gigantesca truffa a 'Schema Ponzi' o della definitiva autonomizzazione del Capitale."
Interessante anche come l'intero meccanismo di generazione e scambio si basi su piattaforme peer to peer (P2P). Leggiamo sul sito bitcoin.org: "Bitcoin usa la tecnologia peer-to-peer per non operare con alcuna autorità centrale o banche; la gestione delle transazioni e l'emissione di bitcoin viene effettuata collettivamente dalla rete. Bitcoin è open-source; la sua progettazione è pubblica, nessuno possiede o controlla Bitcoin e ognuno può prendere parte al progetto. Attraverso alcune delle sue uniche proprietà, Bitcoin permette utilizzi entusiasmanti che non potrebbero essere coperti da nessun altro sistema di pagamento precedente." Giusta Marx, sono proprio le categorie economiche su cui si basa una società quelle che la faranno saltare. Come abbiamo scritto nell'ultimo numero della rivista, il P2P nega il capitalismo allo stesso modo di come l'autonomizzazione del capitale da spinta propulsiva si trasforma in forza distruttrice, diventando elemento di negazione della legge del valore. Abbiamo quindi ricordato un passo dell'articolo L'autonomizzarsi del Capitale e le sue conseguenze pratiche: "Il processo storico di autonomizzazione del valore, ribadiamo, è un movimento distruttivo rispetto ai modi di produzione che precedono il capitalismo. È un movimento sconvolgente perché non può essere semplicemente con-formista, dato che la sua ragione di essere è di superare la vecchia forma; né può essere ri-formista, dato che quando si afferma non si limita a modificarla, ma spazza via realmente ogni vecchio residuo sociale trattandolo come un nemico; quindi non può essere che anti-formista, perché il suo radicale modo di essere distrugge persino sé stesso."
La teleconferenza si è conclusa col consueto sguardo alla situazione italiana. Il taglio del cuneo fiscale per 10 milioni di italiani è niente in confronto a quanto realmente serve per poter incidere su una situazione sociale che si fa sempre più pesante. Squinzi e De Benedetti l'hanno detto: bisogna intervenire sulle paghe dei lavoratori elevando la propensione marginale al consumo. Per far questo servono il sussidio ai disoccupati e massicci aumenti salariali. Mentre la CGIL finge di scaldare i motori e minaccia scioperi generali, Renzi si prepara a riorganizzare il mercato del lavoro con l'atteso Job Act. Di fronte al peggioramento delle condizioni di vita, i lavoratori saranno chiamati ancora una volta a lottare contro le offensive padronali e per la difesa dell'esistente. Non ci resta che ribadire che il carattere dell'azione dei comunisti è l'iniziativa, non la replica alle cosiddette provocazioni. L'offensiva di classe, non la difensiva. La distruzione delle garanzie, non la loro preservazione.