Abbiamo iniziato la teleriunione di martedì 3 maggio, a cui hanno partecipato 25 compagni, parlando del Primo Maggio a Torino, giornata che quest'anno si è inserita in un contesto di guerra e di corsa agli armamenti.
Nel capoluogo piemontese la manifestazione ufficiale organizzata dai sindacati ha percorso il tragitto classico, da piazza Vittorio Veneto a piazza San Carlo passando per via Roma. Un ingente schieramento di polizia si è occupato di tenere separato lo spezzone dei confederali da quello degli antagonisti, caricando quest'ultimo a più riprese lungo il percorso. Questi fatti non sono eccezionali, si ripetono quasi ogni anno. Eravamo presenti in piazza e abbiamo distribuito il volantino "La Quarta Guerra Mondiale", riscontrando un certo interesse da parte di chi lo riceveva. Quando la testa del corteo stava giungendo in Piazza San Carlo, alcuni rider hanno cercato di inserirsi entrando da una traversa di via Roma, ma sono stati prontamente bloccati dalle forze dell'ordine e dal servizio d'ordine della CGIL.
La tensione sociale aumenta e, di anno in anno, in occasione del 1° maggio cresce anche il numero di agenti in divisa e in borghese. Tuttavia, finché si accettano le regole del gioco il copione si ripete: i sindacati e le istituzioni arrivano in piazza, iniziano il loro comizio, partono le cariche in coda al corteo contro lo "spezzone sociale", i fotografi scattano tante foto, le istituzioni lasciano libera la piazza, gli antagonisti rivendicano la presa del palco. Quello del Primo Maggio a Torino è un wargame giocato unicamente dalla questura, che ha il controllo della situazione sia in termini di forze che in termini di prevenzione. Mettere in discussione le regole del gioco significa, ad esempio, rifiutare il concetto stesso di manifestazione che inizia al mattino e finisce al pomeriggio, come ha insegnato Occupy Wall Street che pensò bene di piantare le tende a Zuccotti Park e occupare a tempo indeterminato la piazza (dando vita ad un movimento globale). Per (ri)fare ciò è necessario un cambio di paradigma, l'abbandono di vecchie visioni politiche.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 9 compagni, è iniziata con la segnalazione dell'assemblea europea dei rider avvenuta lo scorso 25 e 26 ottobre a Bruxelles. Circa 60 fattorini, impiegati presso aziende del food delivery quali Deliveroo, UberEats, Glovo e Foodora, e provenienti da Spagna, Italia, Francia, Inghilterra, Irlanda, Scozia, Belgio, Paesi Bassi, Svizzera, Norvegia, Finlandia, Germania, si sono dati appuntamento nella capitale belga per dar vita a un coordinamento di lotta (Transnational Courier Federation). Dalle prime mobilitazioni del 2016 a Londra, il settore ha visto un continuo di scioperi e manifestazioni che hanno coinvolto sempre più paesi, fino a lambire Cina, Hong Kong e Australia. Durante l'incontro di Bruxelles i precari hanno scambiato informazioni sulle rispettive lotte e hanno lanciato uno sciopero europeo per il prossimo 1° dicembre. Il comunicato ufficiale si chiude con queste parole:
"La lotta contro lo sfruttamento tramite piattaforme di consegna non può essere effettuata all'interno del quadro nazionale. Queste multinazionali si basano sull'elevato tasso di disoccupazione giovanile, le difficoltà per coloro che sono senza documenti di trovare lavoro per trarne profitto. L'approccio internazionalista attorno al quale si costituisce questa federazione rappresenta un passo in avanti per la nostra classe. Mentre il nazionalismo sta guadagnando terreno in Europa e le organizzazioni, anche di sinistra, hanno ripreso il discorso nauseante sui confini, noi rider abbiamo deciso di organizzarci contro queste operazioni e gridare a gran voce che i confini non ci dividono: fattorini di tutti i paesi unitevi!"
La teleconferenza di martedì sera, presenti 12 compagni, è iniziata commentando quanto accaduto nella provincia di Foggia dove sono morti 16 braccianti in due distinti incidenti stradali.
Per la raccolta degli ortaggi nei campi del foggiano, così come a Rosarno, Saluzzo o nell'alessandrino, viene impiegata manodopera composta per lo più da immigrati. Questi lavoratori, solitamente risiedenti in baracche o altre abitazioni insalubri, sono pagati qualche euro al giorno e vengono trasportati nei luoghi di lavoro ammassati in furgoni, spesso in numero superiore rispetto a quanto consentito dalle norme sulla sicurezza per la circolazione dei veicoli. Paghe da fame e condizioni al limite dello schiavismo non riguardano solo le campagne, ma rappresentano la normalità in tante altre situazioni lavorative. Basti pensare che sono più di 400 i morti sul lavoro nel 2018, per la maggior parte registrati nell'industria e nei servizi, e in particolare nel Nord Italia.
In risposta all'ennesima strage sul lavoro, Cgil-Cisl-Uil hanno proclamato una manifestazione a Foggia per mercoledì 8 agosto, chiedendo diritti e tutele per i lavoratori delle campagne. Anche l'USB ha indetto per quella giornata uno sciopero nei campi e una marcia da Rignano a Foggia. Il Comitato Lavoratori delle Campagne, che si situa più a sinistra, si è fatto sentire rivendicando anch'esso trasporti, documenti e contratti e attivandosi per aprire uno sportello legale contro lo sfruttamento, una scuola di italiano, ecc.
Durante la teleconferenza di martedì, a cui si sono connessi 10 compagni, abbiamo fatto alcune considerazioni in merito al Decreto Dignità approvato dal Consiglio dei Ministri lo scorso 3 luglio.
I punti salienti del documento riguardano: i contratti a termine, che potranno essere rinnovati 4 volte e non più 5, e la cui durata massima passerà da 36 a 24 mesi con un aumento crescente del costo contributivo dello 0,5% per ogni rinnovo; l'indennità per i licenziamenti, ampliata da 24 mesi ad un massimo di 36; le delocalizzazioni, con l'istituzione di una penale per le imprese che lasciano il paese prima che siano trascorsi 5 anni dalla fine degli investimenti agevolati. Confindustria, superando il ridicolo, ha detto che il decreto rischia di irrigidire il mercato del lavoro. Nel suo complesso il provvedimento, a dispetto del nome pretenzioso che porta, sembra poter fare ben poco per arginare e, tantomeno, eliminare lo stato di precarietà e povertà in cui si trovano milioni di lavoratori in Italia. E non c'è da stupirsene, dato che, come si è visto innumerevoli volte nel passato, le leggi servono piuttosto a prendere atto e a formalizzare una situazione che esiste già. Per questo i critici del Decreto Dignità, come "Il sindacato è un'altra cosa – opposizione Cgil", che accusano i 5 Stelle di fare solo mera propaganda, appaiono come degli ingenui, tanto più se lo fanno rilanciando parole d'ordine come l'abrogazione del Jobs Act e la riconquista dell'articolo 18. Ponendosi sullo stesso piano del governo, ma criticandolo perché credono che davvero basterebbe una legge "giusta" per risolvere i mali che affliggono la classe lavoratrice, si dibattono per il ritorno ad un mercato del lavoro che non esiste più. Ma siamo proprio sicuri che sia il caso di rimpiangere quel vecchio mondo fatto di "pieno impiego" e "stabilità politica"?
La teleconferenza di martedì sera, presenti 14 compagni, è iniziata con un breve commento dell'articolo "Il messaggio dimenticato di Karl Marx", pubblicato su Internazionale a firma di Paul Mason.
Il giornalista britannico, noto per il libro Postcapitalism, sostiene che il vero scopo di Marx fu non tanto di produrre una teoria della rivoluzione, quanto di affermare la riappropriazione e la liberazione dell'individuo; sono stati piuttosto i suoi seguaci ad averne travisato l'idea, preferendo una dottrina collettivistica basata sulla lotta di classe. L'errore viene fatto risalire alla tarda pubblicazione dei Manoscritti economico-filosofici del 1844, andati in stampa solo nel 1932, che "contengono un'idea che nel marxismo è andata perduta: il concetto di comunismo come 'umanesimo radicale' [...] Il vero obiettivo della storia umana è la libertà, la realizzazione personale di ogni individuo."; e che, secondo Mason, non contemplano la necessità che il proletariato si costituisca in partito, in quanto "il vero soggetto rivoluzionario è l'io!"
Invece di limitarsi a divulgare quanto scritto dal rivoluzionario di Treviri, questi marxologi dell'ultima ora fanno opera di falsificazione, inventandosi un Marx che non esiste, ora filosofo e pensatore, ora socialdemocratico o libertario. Studiosi e accademici che magari giungono ad interessanti analisi della materia (vere e proprie capitolazioni ideologiche come nel caso dell'articolo "Happy Birthday, Karl Marx. You Were Right!", pubblicato sul New York Times), ma che rimangono preda dell'ideologia imperante dell'individualismo, e finiscono per affermare che le rivoluzioni avvengono come somma dei pensieri individuali e non come prodotto di forze storiche che prendono la forma di lotta tra le classi.
Durante la teleconferenza di martedì sera, presenti 16 compagni, abbiamo parlato dei dati che secondo alcuni giornalisti rappresentano i segnali di una tempesta perfetta che presto si abbatterà sui mercati finanziari.
Secondo il presidente della BCE Draghi, "ci sono forze nell'economia globale di oggi che cospirano per tenere bassa l'inflazione". Non è da scartare l'ipotesi che esistano cospirazioni in corso che spingono verso determinate direzioni, ma è da escludere che siano queste a provocare la crisi economica attuale.
Dal 2016 la Borsa Italiana ha perso il 17%, a causa di crolli borsistici e anche della mancata crescita (ad oggi la produzione industriale non è neppure al livello del 2007).
Con le crisi il mercato si incarica di far fuori quel capitale che non viene reinvestito nella produzione. Dall'inizio della crisi (non congiunturale) del 2007 le banche centrali hanno fatto di tutto per contrastare l'esplosione di bolle finanziarie, emettendo provvedimenti affinché l'enorme massa di capitale fittizio accumulata negli anni non venisse cancellata. Nessuno vuole scatenare il disastro, ma così facendo i problemi permangono e si ingigantiscono. E' solo questione di tempo: i capitali in eccesso si auto-cancelleranno.
La teleconferenza di martedì sera, a cui hanno partecipato 18 compagni, è iniziata dal commento di Occupy, Solidarities, and Social Movement Creation, articolo pubblicato qualche tempo fa sul sito di Occupy Wall Street. Il testo, scritto da una componente del progetto InterOccupy, propone un'analisi dell'infrastruttura, nata dal movimento Occupy, basata sui concetti di net work, keyword e comunicazione rizomatica. Per net work si intende l'utilizzo delle proprie capacità, nella vita quotidiana e durante l'orario di lavoro, al servizio di progetti che coinvolgono molteplici competenze, conoscenze, tecnologie e persone. Fondamentale nello sviluppo di questo tipo di progetti è l'utilizzo di keywords, parole chiave che sul Web servono a collegare ambienti simili. Nella rete di Occupy esse hanno permesso al movimento di diventare multi-modale poiché capaci di connettere l'organizzazione online con quella offline, le decine di piattaforme Web con le piazze, le strade e le acampadas. La keyword #OccupyWallStreet non rappresenta perciò solo un indirizzo a cui collegarsi, ma uno schema organizzativo improntato sulla solidarietà, per cui prendere parte al movimento non significa solamente identificarsi con esso ma aderire ad una posizione di classe - quella del 99% contro l'1% - e impiegare le proprie capacità sociali per progetti tesi al cambiamento.
Durante la consueta teleconferenza del martedì, a cui hanno partecipato 10 compagni, si sono commentate le notizie in merito al viaggio del Papa in Brasile. All'arrivo della carovana pontificia, la macchina organizzativa ha presentato vistose falle nella sicurezza, tali da permettere alla popolazione di avvicinarsi notevolmente fino a bloccare il corteo di macchine. Anche fuori dal palazzo del governo di Rio, dove Bergoglio ha incontrato il presidente Roussef, non sono mancati momenti di tensione; la manifestazione di protesta è stata infatti caratterizzata da violenti scontri tra dimostranti e polizia, con lancio di oggetti e, in risposta a questi, di lacrimogeni.
Circa un mese fa, quando in Brasile sono scoppiati i primi scontri, le motivazioni della protesta nascevano dallo sperpero di denaro "pubblico" per l'organizzazione della Confederation Cup 2013; adesso le rivolte sono legate alla spesa esagerata, 40 milioni di euro, per ospitare il Papa. Non male per un viaggio organizzato con l'obiettivo di mettere la Chiesa in sintonia con i poveri del mondo!
C’è stato un dibattito a distanza tra i gruppi di sinistra, non necessariamente legati alla vostra tradizione, che ricorda per certi aspetti quello del decennio '68-'78. Lasciamo perdere le motivazioni un po' cervellotiche, ma allora si trattava di capire chi fossero realmente i proletari produttivi entro la sfera dei salariati, mentre adesso sembra si discuta su di un fatto più generale: alcuni affermano che i banlieusards sono più assimilabili al lumpenproletariato che alla classe operaia, altri invece riconoscono che il nuovo proletariato è composto anche da elementi che non rientrano più nel classico rapporto fra capitalista e salariato, fra Capitale e Lavoro. Quest'ultima sembra essere la vostra posizione.
Ma io mi chiedo, pur senza saper dare una risposta precisa rispetto ai due filoni: come può far parte del proletariato chi non rientra in un rapporto di sfruttamento? Com'è possibile assimilare gli arrabbiati delle banlieues con i giovani proletari immigrati di Torino che scioperarono e impegnarono la polizia nel '62 in durissimi scontri di piazza durati più giorni? Si tratta con tutta evidenza di strati sociali completamente differenti e il parallelo che voi ne avete ricavato mi sembra piuttosto arbitrario.
Avete parlato della necessità, da parte del Capitale, di un centro esecutivo internazionale che possa dare un indirizzo al caotico muoversi dei capitali nazionali e anche individuali. Avete concluso, naturalmente, che solo gli Stati Uniti hanno la potenza necessaria per farlo, e che lo faranno soprattutto per sé. Ma in questo processo si stanno inserendo paesi già potenti come la Cina e l'India, per non parlare dell'Europa che però non sembra avere capacità unitaria d'intervento. Anche paesi del Sudamerica, un tempo ritenuto il cortile di casa degli Stati Uniti, si stanno coalizzando, se pure in modo non ancora formale, a parte gli accordi per le aree di libero scambio.
Brasile, Argentina, Venezuela e Bolivia sono a diversi gradi in concorrenza con Washington, quando non in rotta di collisione, e certo ciò avrà conseguenze. In una quindicina di anni s'è visto un accorrere di capitali da investimento, che si sono trasformati in speculazione locale e internazionale e in seguito hanno abbandonato alcune sfere e alcuni paesi provocando gravi difficoltà alle economie, come ha dimostrato il caso dell'Argentina, il più eclatante.
Editoriale: Non potete fermarvi
Articoli: Evoluzione extra biologica - Transizione di fase. Prove generali di guerra
Rassegna: Presa d'atto - Il capitalismo è morto
Recensione: Dallo sciopero, alla rivolta, alla Comune - Guerra civile negli USA, ma non quella vera
Doppia direzione: Il programma immediato non ammette mediazioni
Libertà
Viviamo in una società che scoppia. I suoi membri, divisi o raggruppati secondo criteri il più delle volte arbitrari e casuali, non riescono più a darsi un'identità plausibile. La pandemia, invece di compattare gli individui intorno a provvedimenti utili alla salvaguardia della specie, ha aggravato la situazione facendo emergere ataviche tendenze all'irrazionale.
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