Anarchici antifascisti e resistenziali?
Poco dopo l'alba i carabinieri della compagnia roveretana hanno bussato alla porta di cinque anarchici roveretani per compiere una perquisizione domiciliare che però, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non ha molto a che fare con gli avvenimenti degli ultimi giorni in città.
I cinque, che fanno parte del gruppo autore delle occupazioni e delle manifestazioni organizzate in città, sono stati raggiunti dal provvedimento firmato dal sostituto procuratore di Bologna Giovagnoli, nell'ambito di una operazione nazionale. In tutto 56 abitazioni perquisite a Milano, Torino, Venezia, Padova, Rovereto, Parma e Bologna.
Pesante l'ipotesi di reato sulla scorta della quale sono state ordinate le perquisizioni: associazione con finalità di terrorismo ed eversione dell'ordine democratico (art. 270bis codice penale). In alcuni casi ci si è invece limitati a raccogliere informazioni e documenti su presunti rapporti con associazioni della sinistra antagonista.
Nessuno degli anarchici oggetto del provvedimento è stato fermato o arrestato. I cinque roveretani sono stati accompagnati in caserma ma solo per l'identificazione e la notifica.
L'ordine di perquisire le abitazioni è arrivato quindi da lontano e non in risposta alle polemiche roveretane che hanno visto più soggetti politici chiedere interventi forti contro i manifestanti anarchici. Ciò non significa che la visita dei carabinieri all'alba non possa avere effetti sulla situazione roveretana. Nelle abitazioni sono state sequestrate agende, diari, incartamenti che saranno trasmessi alla procura di Bologna. Il richiamo all'articolo 270bis del codice penale, quello appunto che prevede l'ipotesi di reato dell'associazione sovversiva, apre scenari preoccupanti per gli anarchici roveretani. Non si tratta più di atti vandalici, di manifestazioni non organizzati, neppure di una (comunque grave) aggressione. Si parla di terrorismo.
Un'altra spallata - questa però prevedibile - al gruppo degli anarchici roveretani è arrivata dal questore De Luca (ieri, tra l'altro, è stato annunciato il suo trasferimento a Catania). Il «presidio antifascista e antirazzista» previsto per le 18 di oggi a largo Posta non è stato autorizzato. Gli anarchici hanno rinnovato l'appuntamento spostando l'incontro aperto a tutti alle 16.30 in via Bezzi. Quindi in contemporanea con il corteo di An. Resta da capire se il presidio delle 18 sarà comunque allestito.
Dal fronte anarchico, intanto, arriva una nota diffusa, come le precedenti, su internet. Nel documento - firmato anche questa volta da «alcuni anarchici roveretani» - per la prima volta si fa esplicito riferimento agli attacchi compiuti alla Telecom, contro il portone dell'anagrafe in via della Terra, contro le vetrine delle agenzie immobiliari. In tutti i casi gli anarchici respingono ogni responsabilità e parlano di azioni compiute da «ignoti» e strumentalmente attribuite poi a loro per dare alle forze dell'ordine «mani libere».
E mentre l'aggressione ad Enrico Pappolla (sempre a casa, in convalescenza) finisce in Parlamento con un'interrogazione di An al ministro dell'Interno Pisanu, in città arrivano oggi i rinforzi chiesti dal sindacato di polizia e invocati dalle istituzioni. Una presenza massiccia ma discreta - si dice - che dovrebbe essere più che sufficientte per garantire alla città un sabato pomeriggio quasi normale.
L'Adige del 12/7/2003
Come sono buoni al "Manifesto": Biagi e Br "restano sullo sfondo"
Antagonisti, anarchici e sindacalisti di base sono stati perquisiti ieri in diverse città di mattina dai carabinieri del Ros nell'ambito di una nuova inchiesta per associazione con finalità di terrorismo (articolo 270 bis codice penale), aperta dal pm bolognese Paolo Giovagnoli che che indaga anche sull'omicidio di Marco Biagi. Le perquisizioni sono state oltre cinquanta tra Bologna, Milano, Parma, Modena, Torino, Venezia, Padova, Trento e Rovereto. Stavolta però le nuove Brigate rosse restano sullo sfondo: gli indagati sono otto militanti o simpatizzanti del Crac, il Centro di ricerca e azione comunista di Bologna, mentre gli altri sono perquisiti come persone informate dei fatti. Gli inquirenti sarebbero partiti da alcuni documenti e volantini attribuiti al gruppo, che pure ha rivolto ripetute critiche al progetto neobrigatista, nei quali si solidarizza con Nadia Lioce (la neobr arrestata dopo la sparatoria sul treno Roma-Firenze il 2 marzo scorso, oggi detenuta a Firenze-Sollicciano) e si ricorda «il compagno Mario Galesi, caduto nella lotta», cioè nella stessa sparatoria (costata la vita anche al sovrintendente polfer Emanuele Petri). Ancora una volta, come nel caso dei Carc (comitati d'appoggio alla resistenza per il comunismo) finiti di nuovo sotto inchiesta a Napoli dopo due archiviazioni a Roma e a Milano (sempre per l'articolo 270 bis), sono nel mirino i militanti più impegnati nella solidarietà ai detenuti.
La procura di Bologna ammette di non aver ancora raccolto elementi sufficienti contro gli indagati. Le perquisizioni chiudono mesi di indagine che erano andati, evidentemente, un po' a vuoto. Da quasi tutte le abitazioni sono stati portati via agende, cellulari, libri, audiocassette e video, supporti informatici e personal computer. A Parma si organizzano iniziative di solidarietà, punto di riferimento è il Circolo Mariano Lupo (piazzale Allende 1).
Il Manifesto
Terrorismo, perquisizioni nel Veneto (titolo originale)
Venezia. Una cinquantina di perquisizioni sono state compiute nel l'Italia settentrionale nelle case di persone che sono ritenute legate agli ambienti anarco-insurrezionalisti. A finire nelle maglie dell'inchiesta nel corso della quale sono stati eseguiti i provvedimenti ci sono anche persone residenti nel Veneto: e sembra che si tratti di cinque padovani e tre veneziani.
Gli accertamenti, effettuati a cominciare dalla mattinata di sabato e terminati solamente a tarda sera, sono stati disposti dal sostituto procuratore bolognese Paolo Giovagnoli, ovvero dal magistrato che è titolare del fascicolo d'inchiesta relativo all'omicidio del consulente del governo Marco Biagi, assassinato appunto a Bologna il 19 marzo dello scorso anno (nella foto, la scena del delitto).
E proprio qualche giorno fa, il pubblico ministero che indagava sulle inadempienze delle autorità di pubblica sicurezza in relazione al loro compito di assicurare la scorta al giuslavorista ucciso dalle Brigate rosse aveva - sì - chiesto l'archiviazione per i vertici dell'antiterrorismo e della questura bolognese, ma precisando che le responsabilità erano così gravi e alte da non poter essere imputate a colpa specifica dei soli indagati.
Proprio gli ambienti della procura emiliana, tuttavia, smentiscono che le perquisizioni abbiano un legame investigativo diretto con l'indagine aperta dopo l'omicidio del professore.
Agli indagati, i magistrati contestano il reato previsto dall'articolo 270 del codice penale, cioè l'associazione con finalità di terrorismo anche internazionale e di eversione dell'ordine democratico. La stessa fattispecie di reato che, dopo l'ultimo attentato, le procure venete contestano al fantomatico Unabomber.
Sembra che nel corso delle perquisizioni sia stato sequestrato dai carabinieri del Ros - il reparto operativo speciale, delegato dai pm emiliani all'effettuazione delle perquisizioni - un grande numero di documenti, dischetti per computer, telefoni cellulari, video, audiocassette e personal computer.
A Venezia, in particolare, i carabinieri sono andati nell'abitazione di una coppia di anarchici residenti nel sestiere di Dorsoduro; una terza perquisizione sembra sia stata invece compiuta a Mira nella casa di un operaio del Petrolchimico di Marghera.
L'Arena del 14/7/2003
Comunismo? La procura di Bologna "vuol vederci chiaro"
BOLOGNA — E dopo i Carc, i 'Centri di appoggio alla resistenza per il comunismo' perquisiti qualche mese fa, nel mondo più o meno sommerso accusato di attentare all'eversione democratica senza disdegnare l'uso della violenza, ecco spuntare il Crac, il 'Centro di ricerca per l'azione comunista'. Ed è proprio ai membri affiliati a quest'ultima struttura, creata a Bologna dal suo leader indiscusso Diego Negri, che i carabinieri del Ros dell'Emilia Romagna e del Veneto, per ordine della Procura di Bologna, hanno indirizzato le loro attenzioni.
Le perquisizioni, una cinquantina in tutto, sono scattate all'alba dello scorso venerdì in varie città italiane, Bologna, Modena, Parma, Trento, Padova, Mestre e Venezia. Sarebbero una decina gli indagati per associazione sovversiva con finalità di terrorismo anche internazionale e di eversione dell'ordine democratico, e senza dubbio sono parecchi gli scatoloni che gli uomini in borghese del Raggruppamento operativo speciale dell'Arma hanno riempito con documentazione e cd ora da controllare e 'studiare'. Sequestrati anche telefonini, video, audiocassette e personal computer.
Il blitz verso l'area antagonista era in programma da tempo, e non appena le richieste di perquisizione firmate dal sostituto procuratore Paolo Giovagnoli, lo stesso pm che indaga sull'uccisione del giuslavorista Marco Biagi, hanno trovato riscontro nel lavoro del gip, i carabinieri si sono mossi contemporaneamente sui vari fronti.
Una decina le perquisizioni a Bologna, altrettante a Padova, una a Modena e le altre tra Padova, Venezia e Mestre, dove sono state passate al setaccio anche le stanze di una coppia di anarchici residenti nel sestiere di Dorsoduro e la casa di un operaio del Petrolchimico di Marghera.
«Noi — ha spiegato il procuratore capo di Bologna, Enrico Di Nicola — abbiamo il bisogno di conoscere a fondo tutta l'area legata all'antagonismo e agli anarco insurrezionalisti. L'inchiesta sull'omicidio Marco Biagi in questo blitz non c'entra, ma è chiaro che se la nostra attenzione è rivolta a una certa area con intenti rivoluzionari un motivo ci deve pure essere... Ora fateci lavorare in pace, c'è un sacco di materiale da analizzare, migliaia e migliaia di documenti, vedremo... Le piste sono tante...».
E' ovvio che gli inquirenti, proprio in virtù della propaganda del 'laboratorio' Crac, basata anche su dichiarazioni di violenza come mezzo lecito della lotta di classe, ritengono che ci si posa trovare di fronte a un terreno fertile in cui si potrebbe annidare qualche fiancheggiatore delle Nuove Brigate Rosse.
Un analogo blitz, va ricordato, sempre per ordine della Procura di Bologna era scattato sei o sette mesi orsono. L'ambiente rivoltato come un calzino sempre quello dell'estrema sinistra, ma alla fine non emerse nulla di interessante. Ma ora si torna all'attacco e nel mirino è finito il Crac di Diego Negri (personaggio già perquisito per fatti legati a una sua presunta associazione sovversiva nel 1999), che tra i suoi scopi individua anche quello primario di «organizzare la violenza proletaria come illegalità e antistituzionalità, capace di contrapporsi alla violenza statale nella difesa della classe».
I nemici del Crac? Il «sindacalismo e il parlamentarismo, ma soprattutto lo Stato, che è attributo del sistema di produzione del capitale e dunque la sua distruzione è una condizione necessaria per la rivoluzione comunista, il cui contenuto è l'abolizione del proletariato verso la comunità umana».
Discutono di questo e questo predicano, quelli del Crac. E la Procura di Bologna vuole vederci chiaro.
La Nazione del 14/7/2003
L'abbattimento del sistema è proibito dal sistema stesso, è strano?
[...] L'impianto accusatorio del P.M di Bologna si basa sulla capziosa ricerca di analogie tra i programmi delle organizzazioni combattenti e i passaggi di analisi politica generale di chi come i compagni del CRAC considera “ il capitalismo un rapporto sociale che come tale va combattuto in tutti i suoi aspetti”.
Oltre alla estrapolazione di frasi tratte da documenti di carattere politico-ideologica vengono elencate a sostegno dell'ipotesi “sovversiva” una serie di iniziative pubbliche che vanno dall'appoggio alle lotte dei lavoratori alle iniziative contro la guerra, dall'impegno per la chiusura dei centri di detenzione temporanea alle istituzioni psichiatriche, alle riunioni redazionali della rivista “Senza Censura” sino alle manifestazioni di movimento (Genova) e al sostegno dei prigionieri rivoluzionari contro l'applicazione dell'art. 41 bis.
L'onnipresente Giovagnoli, fedele servo dello Stato, già inquisitore dei compagni di Rivoluzione, dei Carc, di Persichetti e “regista” della bufala di S. Petronio contro sedicenti “terroristi arabi”, rivelatisi successivamente studenti berberi di storia dell'arte, con questa ulteriore iniziativa si fa il principale interprete dell'attacco generalizzato all'ipotesi comunista e rivoluzionaria che vede nell'abbattimento del sistema capitalistico e nell'organizzazione autonoma della classe gli elementi centrali dell'agire politico.
I fatti sostanziati dalle indagini di polizia giudiziaria, risalenti all'estate del 2001, evidenziano come gli elementi utilizzati per giustificare l'emissione degli avvisi di garanzia per 270 bis, siano tutti quei momenti di mobilitazione e controinformazione nei quali tutti i compagni non possono che riconoscersi.
Questo ennesimo attacco della controrivoluzione preventiva contro compagni attivi nelle differenti istanze di base del movimento di classe (mondo del lavoro, immigrazione, antimperialismo…) cerca di eliminare l'ipotesi di organizzazione dei rivoluzionari nel momento in cui il sistema capitalista mostra ogni giorno, sempre di più, le sue profonde contraddizioni e la sua intrinseca debolezza.
Le perquisizioni di queste ore non costituiscono un fattore sorpresa ma sono in diretta continuità con l'articolazione del controllo sociale e della repressione su ampie porzioni di classe e sulle avanguardie di lotta.
Sosteniamo i compagni colpiti ribadendo che l'unica risposta alla repressione è l'estensione e l'intensificazione dell'attività militante nelle lotte presenti e future.
Panetteria Occupata e Rete dei Lavoratori di Milano Milano 08/07/03