Durante la teleriunione di martedì sera, presenti 21 compagni, abbiamo discusso della situazione politica internazionale con particolare attenzione a Stati Uniti e Stato di Israele.
Secondo le rivelazioni dell'Huffington Post, negli USA sarebbe in corso un ammutinamento a tutti i livelli: alcuni diplomatici starebbero preparando ciò che viene definito un "dissent cable", un documento di critica verso la politica americana consegnato ai leader del Dipartimento di Stato tramite un canale riservato. Sembra che il conflitto all'interno dell'agenzia governativa verta sulle scelte di politica estera riguardanti la questione ucraina e quella israelo-palestinese. Riguardo quest'ultima, sembrano esserci problemi anche in casa del Partito Democratico per la posizione smaccatamente filoisraeliana di Joe Biden.
Anche in Israele ci sono conflitti interni. Tre ministri hanno minacciato di dare le dimissioni perché contrari alla condotta politica di Netanyahu, e dal punto di vista sociale, dopo l'iniziale compattamento seguito all'attacco di Hamas dello scorso 7 ottobre, sono riemerse le critiche della stampa verso il governo. In un discorso pubblico il presidente Biden ha ammesso che l'America ha sbagliato dopo l'11 settembre e perciò ha consigliato ad Israele di non fare gli stessi errori con Gaza, ignorando il dopo invasione. Gli USA cercano di frenare l'annunciato ingresso nella Striscia delle forze di difesa israeliane, anche perché l'Iran ha dichiarato che la situazione rischia di andare fuori controllo. Se continua il massacro di civili palestinesi, Hezbollah sarà costretto ad intervenire e potrebbe scattare un effetto domino in Medioriente e oltre. A tutti è ben chiaro che superata una certa soglia nessuno riuscirà più a controllare nulla. Si sa quando una guerra inizia, ma è difficile prevedere quando finirà.
La teleconferenza di martedì sera, a cui si sono collegati 29 compagni, è iniziata commentando le manifestazioni che in questi ultimi giorni hanno coinvolto diverse città italiane.
In linea con il marasma sociale che da qualche tempo attraversa varie parti del mondo, ora anche l'Italia si trova alle prese con la fibrillazione sociale. In seguito alle nuove restrizioni per il contenimento del virus, folti cortei, solo in qualche caso sfociati in scontri con le forze dell'ordine, hanno sfilato per le strade delle città di Torino, Milano, Napoli, Roma, Catania, Trieste, Treviso, Verona e molte altre. Le mezze classi impoverite, schiacciate tra le due grandi classi della società, il proletariato e la borghesia, sono le prime a muoversi, soprattutto in una situazione di grave crisi economica come quella che stiamo vivendo. Come diceva la nostra corrente nell'articolo "'Deretano di piombo', cervello marxista" (1955): "Sei un grande borghese? Gioisci. Sei piccolo? Fattela nei pantaloni."
L'instabilità economica produce caos a tutti i livelli e la piccola borghesia, vedendo erose le proprie riserve, e con il terrore di precipitare nella classe dei senza riserve, si agita nella speranza di rimanere a galla.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 15 compagni, è iniziata con il commento di un articolo del Corriere della Sera sulla flessione del mercato immobiliare italiano.
Secondo i dati raccolti dall'Osservatorio Fiaip (Federazione italiana degli agenti immobiliari professionali), negli ultimi 10 anni il prezzo delle case è crollato mediamente del 30%, con situazioni particolarmente gravose nei quartieri periferici di Roma, Milano, Napoli e Torino. Storicamente il mattone rappresenta un bene rifugio nei momenti di crisi, ma quando non adempie più a questo compito diventa indice di guai seri per l'economia. Anni fa l''Economist, nell'articolo da cui prendemmo spunto per scrivere il testo "Le case che salvarono il mondo", ammetteva che le abitazioni "hanno protetto l'intera economia mondiale da una profonda recessione". Se il mercato immobiliare oggi si trova in queste condizioni, vuol dire che il sistema nel suo complesso è in grave sofferenza.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 10 compagni, è iniziata commentando le ultime notizie in arrivo da Hong Kong.
Nell'ex colonia britannica domenica 21 luglio centinaia di migliaia di manifestanti sono scesi ancora una volta in strada e hanno preso di mira gli uffici del Partito Comunista cinese. Al termine della manifestazione alcuni dimostranti sono stati picchiati da gruppi di uomini armati con mazze e bastoni, che indossavano magliette bianche e mascherine sulla bocca. Sembra che gli assalitori siano legati alle Triadi, la mafia cinese.
In tutto il mondo le manifestazioni si radicalizzano e si estendono, e in migliaia invadono le strade delle città, in Francia così come a Puerto Rico, dove 500mila persone, su un totale 3,7 milioni di abitanti, hanno partecipato ad una mobilitazione contro la corruzione. Nel saggio Ubiquità il fisico e divulgatore scientifico Mark Buchanan indaga gli elementi che accomunano i terremoti, la diffusione degli incendi, l'estinzione delle specie, l'andamento della Borsa, lo scoppio delle guerre e le rivoluzioni; al di là della loro specificità, tutti questi fenomeni riguardano sistemi non in equilibrio che per loro natura tendono verso soluzioni catastrofiche, in base ad una legge universale del cambiamento.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 12 compagni, è iniziata con alcune considerazioni sulle prossime elezioni europee.
Con l'avvicinarsi delle votazioni, in Italia si è verificata una certa fibrillazione. Sulla stampa, in testa Repubblica, è stato dato ampio risalto allo scontro tra fascisti e antifascisti, trasformando scaramucce figlie della battaglia elettorale e tutte interne al sistema capitalistico in questioni di primo piano. Ma per capire cosa succede nel profondo della società occorre andare oltre il dato politico immediato: il fatto che negli Stati Uniti sia al governo Trump, o in Italia il duo lega-M5S, sta a significare che un assetto di potere è estremamente mutato in seguito ai colpi micidiali inferti dalla crisi. Proprio sulle pagine del quotidiano fondato da Eugenio Scalfari, qualche mese fa Alessandro Baricco, in un articolo intitolato "E ora le élite si mettano in gioco", scriveva: "è andato in pezzi un certo patto tra le élites e la gente, e adesso la gente ha deciso di fare da sola. Non è proprio un’insurrezione, non ancora. È una sequenza implacabile di impuntature, di mosse improvvise, di apparenti deviazioni dal buon senso, se non dalla razionalità. Ossessivamente, la gente continua a mandare - votando o scendendo in strada - un messaggio molto chiaro: vuole che si scriva nella Storia che le élites hanno fallito e se ne devono andare."
Un compagno ha ricordato un passo del filo del tempo "Avanti, barbari!" (Battaglia Comunista n. 22 del 1951):
Durante la teleconferenza di martedì sera, a cui hanno partecipato 16 compagni, abbiamo commentato l'intervista a n+1 andata in onda su Radio Saiuz lo scorso 18 febbraio, e pubblicata il giorno seguente su YouTube.
Ascoltando la trasmissione, qualcuno potrebbe pensare che i temi trattati siano astrusi e che, in generale, potremmo avere più "successo" tra i proletari parlando in maniera più semplice. Per esempio: parlare di comunismo come del "movimento reale che abolisce lo stato di cose presente" non sarebbe comprensibile ai più. In realtà, l'idea che le masse non capiscano è una posizione anti-proletaria, ed anzi, sono i bonzi sindacali, i politici e gli intellettuali quelli a non capire. E comunque finché il capitalismo rimarrà in piedi, la sua ideologia sarà dominante:
"Sul terreno scuola, stampa, propaganda, chiesa, ecc., fin che la classe lavoratrice sarà sfruttata la diffusione della ideologia borghese avrà sempre un immenso vantaggio sulla diffusione del socialismo scientifico. La partita sarà perduta per la rivoluzione fino a che non si fa assegnamento su forti masse che lottano, senza presupporre nemmeno per sogno che siano uscite dalla influenza culturale ed economica borghese, ma per la ineluttabile spinta del contrasto delle forze produttive materiali non ancora divenuto coscienza dei combattenti, e tanto meno poi scientifica cultura!" ("Danza di fantocci: dalla coscienza alla cultura", 1953)
Ciò che conta, quindi, è il contrasto tra le forze produttive e i rapporti di produzione, che ad un certo momento fa muovere masse di milioni di persone, inizialmente in maniera caotica e poi sempre più sincronizzata fino alla polarizzazione di classe rappresentata dallo schema di rovesciamento della prassi ("Teoria e azione nella dottrina marxista", 1951).
La teleconferenza di martedì sera, connessi 16 compagni, è iniziata con il commento dell'articolo "Tutto il mondo è polarizzato", di Moisés Naím, pubblicato su La Repubblica lo scorso 4 febbraio. Il giornalista, che dal 1989 al 1990 è stato ministro del Commercio e dell'Industria del Venezuela, descrive quasi con le nostre parole la paludosa situazione in cui versa il mondo:
"Il governo della superpotenza mondiale è in stallo, mentre il governo di un'ex superpotenza — il Regno Unito — è in preda alla paralisi, dopo una raffica di ferite autoinflitte. Angela Merkel, che fino a poco tempo fa era la leader più influente d'Europa, si avvia al ritiro. Il suo collega francese deve far fronte a una sorprendente rivolta, i famosi Gilet gialli. L'Italia, il Paese con la settima economia mondiale, attualmente è governato da una fragile coalizione, con leader così diametralmente opposti e dichiarazioni così sconcertanti che non si sa se ridere o piangere; sembra che gli italiani abbiano deciso di vedere com'è quando il malgoverno viene spinto ai limiti più estremi. In Spagna, il capo del governo non è nemmeno stato eletto da una maggioranza parlamentare, ma è arrivato al potere grazie a un tortuoso processo legislativo."
La teleconferenza di martedì, connessi 15 compagni, è iniziata dal breve resoconto di un'assemblea sindacale in una grande azienda a cui ha partecipato un compagno. All'incontro, indetto dai confederali per discutere il rinnovo del CCNL di categoria, erano presenti su circa 250 lavoratori solo una trentina di persone, tra cui una decina di sindacalisti. Gli interventi dei bonzi sindacali sono stati tutti imperniati sul rispetto delle cosiddette compatibilità e sulla necessità di far funzionare al meglio gli organismi paritetici, in modo che delegati e azienda abbiano più occasioni di confronto partecipativo.
E' proprio vero: dal tipo di impostazione corporativa inaugurata dal fascismo nel corso degli anni '20 (patto di Palazzo Vidoni del 1925) non si è più tornati indietro. Anzi, lo stato borghese ha rafforzato questo tipo di struttura burocratizzando in misura sempre maggiore i rapporti tra capitale e lavoro. Nell'articolo "La socializzazione fascista e il comunismo" (n+1, n. 42), abbiamo citato Il Sole 24 Ore che così definisce la natura degli enti bilaterali: essi "esprimono una concreta ed efficace forma di collaborazione tra capitale e lavoro, indicativa della tendenza al superamento del modello esasperatamente conflittuale. Hanno diversi scopi: mutualizzazione di obblighi retributivi (per esempio, mensilità aggiuntive, ferie) per lavoratori che cambiano spesso datore di lavoro (per esempio, nell'edilizia); formazione professionale; sicurezza del lavoro; prestazioni assistenziali. Da qualche anno la legge ha iniziato a promuovere il ruolo degli enti bilaterali, riconoscendogli compiti relativamente al mercato del lavoro, alla formazione professionale, all'assistenza della volontà delle parti nella stipulazione dei contratti e nella disposizione dei diritti."
La teleconferenza di martedì sera, presenti 14 compagni, è iniziata dalle notizie di stampa sulle manifestazioni dei "gilet gialli" in Francia.
Il "movimento" è nato sui social network (#GiletsJaunes) e ha indetto le prime manifestazioni lo scorso 17 novembre quando si è dato appuntamento nelle piazze di circa 600 città francesi. I servizi segreti dicono di aver identificato i promotori: 5 uomini e 3 donne, abitanti della regione Ile de France, tra i 27 e i 35 anni. La motivazione ufficiale del flash mob sembra sia stata il rincaro del prezzo dei carburanti ma, generalizzandosi la lotta, sono state messe in discussione le troppe tasse, la diminuzione dei servizi sociali, il disinteresse verso le città medie e piccole da parte di Parigi. I partiti di opposizione stanno cercando di cavalcare la protesta, anche se con magri risultati, almeno per adesso. Sulla loro pagina Facebook i "gilet gialli" dicono di essere persone "come me e te... un pensionato, un artigiano, uno studente, un disoccupato, un uomo d'affari... soprattutto una persona che è preoccupata di non arrivare alla fine del mese." Finora sono scese in strada circa 250 mila persone, ci sono stati 500 arresti, centinaia di feriti e due morti in incidenti stradali dovuti al caos provocato dai blocchi. Durante le mobilitazioni sono state bloccate importanti vie di comunicazione, raffinerie e hub logistici. Per Christophe Castaner, ministro dell'Interno francese, "siamo di fronte a una disorganizzazione totale, hanno tentato di entrare nelle prefetture, ci sono state azioni di grande violenza". Per il prossimo 24 novembre i "gilets jaunes" hanno annunciato una nuova manifestazione nazionale con l'obiettivo di "dare un colpo di grazia e convergere tutti su Parigi con tutti i mezzi possibili... perché è lì che si trova il governo."
La teleconferenza di martedì sera, connessi 12 compagni, è iniziata con alcune considerazioni in campo economico.
Per la prima volta nella storia dell'economia il bilancio di una banca centrale ha superato il Pil del paese di riferimento: la BoJ, la Banca centrale giapponese, ha stampato denaro per un valore di circa 4300 miliardi di euro, cifra sufficiente a comprare asset di valore superiore a quello del Pil nazionale.
Nel capitalismo odierno istituti nati come strumenti di gestione dello Stato sul fatto economico si sono tramutati in fondi di investimento impegnati a seguire le perfomance del mercato. Il passaggio storico dal controllo dello Stato sul Capitale al controllo del Capitale sullo Stato è dimostrato dal cambiamento di ruolo delle banche: se all'inizio la loro funzione era quella di raccogliere piccoli capitali liberi nella società per poterli investire nell'industria, oggi invece la maggior parte della loro attività è di natura speculativa. E' dalla metà degli anni '70 che l'immensa massa di capitale prodotta fatica a valorizzarsi nell'attività industriale e da allora tende a bypassare la produzione cercando di valorizzarsi nell'ambito della circolazione. Dato il persistere della crisi, i governi hanno mano a mano stabilito nuove politiche monetarie per risollevare le sorti dell'economia "reale", ma l'unico risultato raggiunto è stato quello di favorire gli istituti di credito che hanno continuato, con il denaro regalato dal quantitative easing, la loro azione speculativa. Insomma, l'intervento delle banche centrali per far ripartire l'inflazione ha provocato la sola inflazione degli indici borsistici, allargando la base di sostegno al credito/debito globale.
Abbiamo cominciato la teleconferenza di martedì sera, presenti 14 compagni, parlando della campagna di Amnesty International "Ferma il lavoro minorile nelle miniere di cobalto in Congo", secondo cui sono almeno 40 mila i bambini impiegati nelle cave nel sud del paese per l'estrazione del "prezioso minerale utilizzato per la produzione di batterie ricaricabili utilizzate per i nostri cellulari, tablet, computer e altri dispositivi elettronici."
In alcune aree del Pianeta il capitalismo sta tornando ad una forma di schiavismo generalizzato. Ad esempio in Nigeria, dove milioni di persone sono preda della miseria più assoluta, o in Niger dove lo Stato non esiste più e le milizie si contendono le risorse del territorio; in generale tale condizione riguarda vaste zone del Nord Africa e del Medioriente. Il processo, che ha preso piede nelle periferie del mondo, ora arriva a lambire anche i paesi di vecchia industrializzazione, dove sono sempre più numerosi i casi di esseri umani ridotti in schiavitù.
La teleconferenza di martedì sera, connessi 15 compagni, si è aperta con un breve accenno a quanto sta accadendo negli Stati Uniti riguardo l'indagine sull'interferenza della Russia nelle scorse elezioni presidenziali. Mentre parlavamo, le agenzie di stampa battevano le prime notizie sull'attentato a New York.
Pur sembrando eventi scollegati, il Russiagate e l'attacco a Manhattan sono entrambi segnali di una stessa difficoltà, e cioè della grande instabilità che stanno attraversando non solo gli USA ma tutti gli stati in generale. In questi giorni è anche la Spagna a far parlare di sé con le vicende legate alla pretesa indipendenza della regione della Catalogna. Sul tema, interessante l'articolo "Catalan independence drive falters as its wealth fails to provide political leverage" che tenta di individuare le basi materiali che hanno portato alla crisi.
Secondo quanto riportato nel testo, una delle maggiori spinte all'indipendentismo viene dalla giovane e rampante imprenditoria catalana, convinta, per la maggior parte, che la regione sia abbastanza forte per potersi reggere autonomamente e per liberarsi dal peso di un'economia nazionale più debole. "La Catalogna produce 314 miliardi di dollari di beni all'anno e la sua economia è la 34a più forte del mondo, davanti a Hong Kong. Il suo GDP è di $35.000, e supera Corea del Sud, Israele e Italia. I separatisti non vedono alcuna ragione per condividere la loro ricchezza con la Spagna" (DEBKAfile). Ma per ora i governanti catalani, volati in Belgio quando l'aria si è fatta un po' più pesante, non hanno ricevuto riconoscimenti ufficiali, e il neo stato, se dovesse nascere, seguirebbe sicuramente la stessa sorte. Gli unici ad aver teso una mano agli esuli belgi sono stati i nazionalisti fiamminghi, che non possono però offrir loro alcun sostegno formale. L'indipendenza della Catalogna è lontana, almeno dal punto di vista della praticabilità.
La teleconferenza di martedì sera, a cui hanno partecipato 13 compagni, è iniziata con alcune considerazioni sulle proteste in Bosnia-Erzegovina. La scintilla è partita da Tuzla il 5 febbraio scorso quando, alla notizia della privatizzazione di alcune industrie e del conseguente licenziamento degli operai, si è formato un raduno di lavoratori, disoccupati e studenti subito sciolto in modo violento dalle forze dell'ordine. In tutta risposta circa 3.000 persone sono scese in piazza occupando le principali strade della città. L'intervento della polizia antisommossa ha alimentato la protesta che, nei giorni successivi, è dilagata su tutto il territorio bosniaco toccando oltre venti città, tra cui la capitale Sarajevo dove sono stati dati alle fiamme gli uffici governativi e sono avvenuti scontri durissimi con la polizia. Il gruppo Facebook 50.000 za bolje sutra ("50.000 persone per un domani migliore") è diventato un centro di coordinamento, e sembra che la "rabbia popolare" abbia permesso di superare gli steccati ideologici e confessionali che affliggono l'area.
Alla teleconferenza di martedì sera hanno partecipato 16 compagni.
Le manifestazioni che spesso sfociano in guerriglia urbana sono innumerevoli e ormai si fatica a tenerne il conto. Negli ultimi giorni ci sono stati scontri a Burgos, in Spagna, dove la protesta è iniziata per motivi legati alla costruzione di un parcheggio nel quartiere di Gamonal, ma è andata ben presto oltre le motivazioni iniziali coinvolgendo nella lotta altre città spagnole. Ad Amburgo, la protesta per lo sgombero di un centro sociale che aveva costretto le autorità all'istituzione del coprifuoco in una zona centrale della città tedesca, è rientrata dopo giorni di tafferugli e manifestazioni.
Editoriale: Non potete fermarvi
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Viviamo in una società che scoppia. I suoi membri, divisi o raggruppati secondo criteri il più delle volte arbitrari e casuali, non riescono più a darsi un'identità plausibile. La pandemia, invece di compattare gli individui intorno a provvedimenti utili alla salvaguardia della specie, ha aggravato la situazione facendo emergere ataviche tendenze all'irrazionale.
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