La teleconferenza di martedì sera, a cui si sono collegati 15 compagni, è cominciata commentando la notizia di stampa sull'esaurimento delle scorte di munizioni da parte dei paesi Nato.
Il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, dopo la firma della dichiarazione congiunta per la cooperazione tra Nato e Ue, ha dichiarato: "Gli alleati della Nato e i membri dell'Ue hanno esaurito i loro stock per fornire supporto all'Ucraina e questa è stata la cosa giusta da fare perché riguarda anche la nostra sicurezza". Riguardo al conflitto in corso, ha aggiunto: "La Russia ha subito grandi perdite in Ucraina ma non dobbiamo sottostimarla, Mosca sta mobilitando nuove truppe e nonostante le sofferenze sta mostrando la volontà di continuare la guerra. Non c'è alcuna indicazione che Putin abbia cambiato i propri obiettivi sull'invasione dell'Ucraina. Dobbiamo essere preparati ad una lunga guerra e a proseguire il supporto all'Ucraina."
Il supporto all'Ucraina ora comprende l'invio di mezzi di fabbricazione tedesca Leopard 2, tra i migliori carri armati al mondo. Fino all'ultimo, la Germania ha cercato di evitare un coinvolgimento diretto nella guerra ma poi ha dovuto cedere alle pressioni della Polonia e dei Paesi baltici, e degli Stati Uniti, che in cambio hanno promesso di inviare a Kiev carri armati di terza generazione M1 Abrams. Ciò significa che vi sarà un'escalation bellica ("What Western tanks should give Ukraine in the next round of the war", The Economist, 22.01.23).
La teleriunione di martedì sera, presenti 20 compagni, è cominciata dall'analisi di quanto sta succedendo in Cina, alle prese con una recrudescenza della pandemia da Covid-19.
L'impennata dei contagi ha raggiunto quota 28mila casi in un solo giorno e, dopo 6 mesi, sono stati registrati nuovi decessi per Coronavirus. Ulteriori chiusure di intere città, come nel caso di Canton, hanno suscitato vere e proprie rivolte, la popolazione è esasperata per l'impossibilità di muoversi. Ciononostante, a differenza dell'Occidente, la politica della "tolleranza zero" non viene messa in discussione dal governo di Pechino.
Per la prima volta negli ultimi decenni, la Cina si trova di fronte al boom della disoccupazione giovanile, giunta al 20%. L'Economist del 17 novembre ("Chinese students abroad take on their government") riporta un fenomeno curioso: recentemente in 350 campus di 30 paesi sono stati affissi manifesti contro il presidente cinese Xi, sembra che migliaia di cinesi che studiano all'estero si stiano organizzando tramite i social network. Anche a Pechino, nel cuore dell'impero, sono apparsi striscioni di dissenso anti-presidenziali, e il settimanale inglese fa notare che era dai tempi della rivolta di piazza Tienanmen che un leader non veniva attaccato in maniera così evidente. Qualche settimana fa avevamo discusso del discorso tenuto da Xi Jinping al XX congresso nazionale del PCC, tutto volto alla necessità di rinsaldare il patto sociale che tiene unito un paese di 1,3 miliardi di abitanti. Tale "patto" si basa sulla promessa di una crescita economica condivisa, ma questa ora si fa più difficile dato che l'economia ha subito una forte battuta d'arresto: secondo la Banca Mondiale, per la prima volta dal 1990, la crescita del PIL del paese nel 2022 sarà inferiore a quello dell'area Asia-Pacifico.
La teleriunione di martedì sera, a cui hanno partecipato 18 compagni, è iniziata con alcune considerazioni in merito alla situazione in Iran, con particolare riferimento alla rivolta per l'uccisione da parte della polizia di una giovane donna rea di non indossare correttamente il velo.
La protesta scoppiata in questi giorni in molte piazze e università iraniane è solo l'ultima in ordine di tempo, da anni nel paese si susseguono ondate di sollevazione popolare a testimonianza di una situazione generalizzata di malessere sociale. L'Iran è un paese capitalistico, ma ha una sovrastruttura politica che potremmo definire semi-medievale. Anche il Movimento Verde, nato nel 2009 contro i brogli elettorali, mise in luce le contraddizioni in cui si dibatte il paese, che puntualmente provocano questo genere di mobilitazioni. Le motivazioni che spingono le persone a scendere in strada possono essere di vario tipo, ma alla base della protesta premono forze sociali che non lottano semplicemente per i "diritti" e che potrebbero imprimere un indirizzo anticapitalistico ("Quale rivoluzione in Iran?").
La teleconferenza di martedì sera, presenti 20 compagni, è iniziata con una serie di considerazioni riguardo l'introduzione massiccia di automi nel comparto dello stoccaggio merci, e non solo.
Secondo quanto riportato dall'Economist nell'articolo "New robots - smarter and faster - are taking over warehouses", Amazon ha introdotto nei suoi siti logistici più di 350mila robot. Macchine veloci e intelligenti stanno prendendosi i magazzini, anche come conseguenza della pandemia che ha messo fuori uso migliaia di lavoratori. La società di consulenza manageriale McKinsey prevede che il mercato dell'automazione dei magazzini crescerà del 23% per un valore di oltre 50 miliardi di dollari entro il 2030.
Amazon Robotics (precedentemente Kiva Systems) produce sistemi di robotica mobile e recentemente ha sviluppato una nuova famiglia di robot che le consentirà di imballare più merci nei suoi centri logistici, e potrà essere utilizzata anche nei siti di distribuzione più piccoli. L'azienda utilizza centinaia di automi mobili coordinati da un software di controllo che garantisce un sistema completo di gestione e organizzazione dei magazzini di grosse dimensioni, permettendo di custodire, spostare e ordinare le merci in maniera facile e veloce: gli oggetti non sono conservati su scaffali statici, né vengono trasferiti per mezzo di nastri trasportatori o muletti; sono invece sistemati su piccoli scaffali mobili, trasportabili con facilità all'interno del sito.
Nella teleriunione di martedì sera, a cui hanno partecipato 20 compagni, abbiamo parlato di Decentralized Finance (DeFi), ovvero di finanza decentralizzata. Avevamo sfiorato l'argomento durante la scorsa teleriunione parlando dei fatti occorsi in Kazakistan, paese dove hanno stabilito la propria sede numerosissime aziende attive nel settore del Bitcoin e più in generale delle criptovalute.
Elenchiamo per punti che cos'è la finanza decentralizzata e quali sono le sue implicazioni: 1) la DeFi è esplosa nel 2020 e la sua crescita sembra inarrestabile; 2) secondo la rivista The Economist il valore degli asset immagazzinati in questo nascente sistema finanziario è passato da meno di 1 miliardo di dollari all'inizio del 2020 a oltre 200 miliardi di dollari oggi; 3) i maggiori istituti bancari e governativi cominciano a preoccuparsi e stanno studiando con attenzione il fenomeno; 4) se la DeFi fosse una banca d'affari sarebbe tra le 50 più importanti al mondo.
La teleriunione di martedì sera, collegati 15 compagni, si è aperta con la notizia della riduzione della settimana lavorativa in Islanda.
Tutto è cominciato con il programma pilota, iniziato nel 2015 e terminato nel 2019, che ha coinvolto 2500 dipendenti statali islandesi, impiegati in scuole materne, uffici e ospedali. Il test prevedeva che i lavoratori potessero scegliere orari più brevi rispetto alle consuete 40/44 ore settimanali a parità di salario. I risultati dell'esperimento sono stati così incoraggianti, sia in termini di produttività che di calo dei livelli di stress e di maggiore equilibrio tra occupazione e vita privata, che oggi l'86% della forza lavoro del paese è passata alla settimana lavorativa di 4 giorni.
La notizia del "travolgente successo" islandese è rimbalzata su molte testate giornalistiche, ma la piccola repubblica nordica non è certamente sola e tantomeno la prima nella lista dei paesi che hanno intrapreso la via della riduzione della giornata lavorativa. Qualche anno fa era stata la Danimarca a cominciare, stabilendo le 33 ore settimanali, poi la Finlandia aveva annunciato la settimana breve, e poco dopo le aveva fatto eco il sindacato tedesco IG Metall proponendo la riduzione, su richiesta individuale, delle ore di lavoro fino a 28 ore settimanali per un periodo di 24 mesi. Attualmente esperimenti simili a quello condotto in Islanda sono in corso in vari paesi, tra cui Gran Bretagna, Spagna e Nuova Zelanda.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 22 compagni, è iniziata con alcune considerazioni riguardo l'aumento del prezzo delle materie prime, seguite alla lettura di due articoli segnalati nella nostra rete di lavoro: "Materie prime, salgono i prezzi: frena la transizione ecologica e digitale. Il ruolo della Cina", di Milena Gabanelli e Rita Querzè (Corriere); "Acciaio fragile" di Claudio Paudice (HuffPost).
Il vero problema riguardo le materie prime non è solo il loro esaurirsi, ma il fatto che i grandi paesi ne richiedono sempre di più. La penuria di materiali nelle catene di produzione, dal legno al ferro, dai componenti per l'elettronica ai semiconduttori, si registra un pò ovunque, tanto che alcune aziende di automobili ed elettrodomestici sono costrette a chiudere per mancanza di semilavorati. Nell'epoca del just in time, e cioè dell'assenza del magazzino e quindi di scorte, un intoppo nella catena della logistica può provocare problemi all'approvvigionamento di semilavorati per l'industria e di beni alimentari nelle grandi metropoli. L'aumento del costo delle materie prime è causato anche dalle politiche protezioniste dei governi; i dazi doganali, per esempio, sono un fattore di destabilizzazione del mercato mondiale poiché generano caos nell'export di merci.
Il significativo Dry Baltic Index, l'indice che sintetizza gli oneri di nolo marittimo per prodotti secchi e sfusi (minerali, cereali, ecc.), ha registrato nell'ultimo anno un +605%. Finita la pandemia (così dicono...), bisogna recuperare il tempo perduto e rilanciare la produzione e gli investimenti. Danilo Taino, nell'articolo "Se la fabbrica del mondo non accetta più ordini" (Corriere), scrive:
Durante la teleriunione di martedì sera abbiamo espresso alcune considerazioni riguardo l'importanza della previsione per i comunisti. Il tema è stato proposto in conclusione del precedente incontro e riguarda nello specifico la possibilità di poter individuare i paesi e le aree geografiche maggiormente esposte ad esplosioni di carattere sociale.
La previsione è indispensabile per elaborare e portare a compimento azioni di qualsiasi genere e dimensione, all'interno di piccoli o grandi sistemi; e la sua scientificità non è inficiata dal fatto che essa venga confermata o meno da quanto avviene in seguito. Per esempio, negli anni '50 la nostra corrente criticò l'approccio della borghesia alla questione spaziale, sostenendo che in quella maniera l'uomo non sarebbe riuscito ad andare sulla Luna. Quando invece questo avvenne, alcuni cascarono nell'errore di considerare errata la validità delle osservazioni fatte: quanto previsto non era sbagliato ma non si realizzò perché nel frattempo qualcosa era cambiato, cioè erano intervenute delle modifiche che permisero la cosiddetta conquista dello spazio. Riguardo all'argomento abbiamo pubblicato il volume Scienza e rivoluzione, a cui rimandiamo per l'approfondimento.
Durante la teleconferenza di martedì sera, a cui hanno partecipato 24 compagni, abbiamo commentato due articoli dell'Economist riguardo la trasformazione del Welfare State.
In "Covid-19 has transformed the welfare state. Which changes will endure?" vengono messi in luce alcuni aspetti significativi riguardo l'ondata di misure a sostegno delle popolazioni, che moltissimi governi nel mondo hanno adottato per attutire lo shock economico causato dal blocco delle attività economiche per il contenimento della diffusione del virus. Molti paesi hanno erogato finanziamenti a pioggia e in maniera estremamente rapida, saltando a piè pari le consuete lungaggini burocratiche legate alla verifica dell'idoneità al sostegno del ricevente, e distribuendo denaro, nei conti correnti, sotto forma di voucher, o direttamente in contanti, senza alcuna contropartita. La riflessione dell'Economist non si ferma soltanto intorno a quanto accaduto con lo scoppio della pandemia, ma guarda anche al periodo precedente, e cioè al fatto che già in epoca pre-Covid stava crescendo l'esigenza di un cambiamento dei meccanismi di Welfare State, diventati oramai obsoleti in un mondo dove gli individui vengono sempre più sovente sostituiti da algoritmi e robot.
La teleconferenza di martedì, a cui hanno partecipato 18 compagni, è iniziata con la segnalazione della scoperta in Cina di un nuovo virus potenzialmente pandemico. Discendente dal ceppo dell'influenza suina, che nel 2009 causò migliaia di morti e centinaia di migliaia di contagi soprattutto in America, la nuova variante è stata individuata da un gruppo di ricercatori cinesi impegnati nel programma di sorveglianza per l'emergenza e il contrasto di nuove minacce virali. Dalle analisi effettuate è emerso che il virus ha già fatto il salto di specie (dai maiali all'uomo), mentre non sarebbe ancora in grado di trasmettersi da uomo a uomo. La notizia è rimbalzata sulle pagine dei giornali, ma in un altro periodo probabilmente se ne sarebbe trovata traccia solamente sulle riviste specializzate. Eppure è dal 2018 che l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha inserito nell'elenco delle malattie con un significativo potenziale epidemico la malattia X, ad indicare non una patologia esistente ma "la consapevolezza che una grave epidemia internazionale possa essere causata da un patogeno attualmente sconosciuto che causa malattie nell'uomo". Il modello è stato elaborato affinchè la comunità sanitaria globale sappia costruire per tempo sistemi adeguati e possa adottare tutte le misure necessarie per prevenire e limitarne la diffusione.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 15 compagni, è iniziata commentando alcune notizie riguardanti le energie rinnovabili.
Pare che negli Stati Uniti un gruppo di scienziati abbia sviluppato un sistema di specchi che, sfruttando l'energia solare, riesce a raggiungere la temperatura di 1000 gradi. L'obiettivo dell'esperimento è di arrivare ai 1500, la condizione necessaria per fondere l'acciaio, ed eliminare progressivamente la dipendenza dai combustibili fossili (en passant: i primi esperimenti per ottenere alte temperature attraverso specchi parabolici sono stati condotti dal premio Nobel Carlo Rubbia in Italia con il progetto Archimede, poi esportato in Spagna). Che sia la soluzione per produrre energia senza inquinare l'ambiente? Abbiamo dei dubbi in merito. Basti pensare all'Ilva di Taranto: anche se riuscisse a produrre da sé tutta l'energia necessaria, rimarrebbe comunque un gigante inutile. Insomma, bisogna sempre chiedersi che senso abbia adoperare certe tecnologie ed in funzione di quale produzione. Non è un problema di natura tecnica, riferita al variare delle fonti energetiche (in ultima istanza tutte riconducibili al lavoro del Sole), ma di natura sociale: l'attuale modo di produzione non conosce sé stesso, bada solo al profitto, e quindi continuerà a sprecare energia e a distruggere l'ambiente.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 12 compagni, è iniziata con la segnalazione di alcune novità nel settore automobilistico.
All'ultimo salone dell'automobile di Francoforte è stata presentata la prima autovettura elettrica europea, progettata dalla Volkswagen. Nove i miliardi di euro che l'azienda investirà di qui ai prossimi anni solo per avviare il ciclo produttivo, mentre ID.3, questo il nome del modello, sarà in vendita a partire dai 30 mila euro. Anche in Cina hanno aperto stabilimenti destinati alla produzione di vetture elettriche e pure gli Stati Uniti stanno investendo nello stesso ambito.
Insomma, si prepara un'invasione di auto elettriche, bisogna solo vedere se le popolazioni immiserite avranno i soldi per comprarsele. I dati delle vendite parlano chiaro: "La produzione italiana di autovetture è calata del 19%, sia a luglio che nei primi 7 mesi dell'anno rispetto agli stessi mesi del 2018. Ha invece registrato un calo del 7,5% a luglio la produzione dell'industria automotive italiana nel suo insieme (non solo fabbricazione di autoveicoli, ma anche di carrozzerie autoveicoli, rimorchi e di parti e accessori per autoveicoli e loro motori)" (Ansa). Anche in Germania i problemi nell'industria si aggravano: "A trascinare verso il basso la produzione è soprattutto il settore auto che diminuisce ad aprile del 17,1% rispetto allo stesso mese del 2018" (Il Fatto Quotidiano).
I grandi gruppi automobilistici, tra cui Volkswagen che è leader nel settore con oltre 10 milioni di autoveicoli prodotti annualmente, hanno bisogno di proporre nuovi modelli per attrarre i consumatori, tentando allo stesso tempo di rimodernare la struttura completa del sistema automobile. L'auto a combustione endogena è un dinosauro dal punto di vista del rendimento, e per la sua produzione vengono messe in moto forze esagerate che alimentano un sistema ultra-dissipativo.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 13 compagni, è iniziata dal commento dell'editoriale dell'ultimo numero dell'Economist (Out of ammo?).
L'articolo è paradigmatico di una corrente del liberismo di tipo smithiano. Carico di ottimismo verso la mano invisibile del mercato, sempre capace di aggiustare i problemi del capitalismo, nel testo l'Economist propone una nuova deregulation, dimenticando che i guai dell’attuale sistema economico sono dovuti proprio alle teorie della scuola dei Chicago Boys, e che, tra l'altro, una deregulation c’è già stata.
Le munizioni sono terminate, il capitalismo è obsoleto, rianimare ciò che è già morto non è possibile. Almeno dal 1975 assistiamo a fenomeni economici irreversibili che sono conferma di una crisi storica del modo di produzione. Crisi di cui una corrente ben precisa a suo tempo aveva preso atto. Ci riferiamo al lavoro della Sinistra Comunista sul corso del capitalismo, sulla traiettoria e la catastrofe della fetente civiltà borghese.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 16 compagni, è iniziata dalle notizie del nuovo crollo del prezzo del petrolio.
Mentre in passato l'Opec riusciva a mantenere alta la quotazione del greggio tramite il coordinamento dei paesi produttori, oggi non solo non riesce più a farlo, ma si trova nella condizione per cui tale operazione è materialmente impossibile: evidentemente la guerra e il marasma sociale in corso sono più profondi di quanto si percepisca.
La Russia ha annunciato di poter resistere per anni ad un petrolio venduto a 40 dollari al barile, ma è una stupidaggine dato che Mosca dalla vendita di combustibili ricava la maggior parte delle sue entrate. Le dichiarazioni dei governi lasciano il tempo che trovano e, al massimo, rivelano il livello di conflittualità tra le principali potenze mediorientali e mondiali. Nessun produttore di "oro nero" è in grado di resistere a lungo a prezzi così bassi. Per il petrolio vale la legge della rendita: quello che viene intascato dai paesi nel cui sottosuolo giacciono delle riserve è sovraproffitto, mancando il profitto nel settore industriale, il meccanismo di ripartizione del valore si inceppa. Senza contare gli enormi investimenti fatti dagli Stati Uniti nello shale oil dove sono sempre di più le aziende in fallimento.
La teleconferenza di martedì, presenti 18 compagni, è iniziata dal commento di alcune notizie di carattere economico reperite sul Web.
Secondo la stampa nazionale, in Italia sarebbe in calo il numero dei disoccupati e al tempo stesso quello degli occupati. Alla confusione totale sullo stato dell'economia si aggiungono le allarmanti dichiarazioni del presidente dell'Inps Tito Boeri riguardo le pensioni della generazione nata negli anni 80': "se l'economia italiana non cresce almeno dell'1% all'anno e non c'è un processo di maggiore stabilizzazione del lavoro iniziando con prospettive di carriera più lunghe, senza tutte le interruzioni che contraddistinguono spesso i contratti temporanei o precari, ci potrebbero essere problemi molto seri in futuro". La sequela di preoccupati annunci degli stessi tecnici del Capitale testimonia un sistema pensionistico assolutamente fuori controllo; il Welfare State costruito dopo il secondo dopoguerra è oramai saltato, perchè a saltare è l'insieme dei rapporti sociali capitalistici.
La teleconferenza di martedì, presenti 15 compagni, è iniziata con alcune considerazioni sul tema della guerra.
Possiamo leggere l'abbattimento del bombardiere russo da parte dell'aviazione turca come un messaggio della NATO (di cui la Turchia fa parte) alla Russia e al suo attivismo militare in Medioriente. L'attacco al Sukhoi si configura come un tassello della guerra di tutti contro tutti nell'area mediorientale e più in generale nel mondo intero.
In seguito all'attacco, Mosca ha accusato Ankara di complicità con l'IS e ha promesso risposte adeguate a questa "pugnalata alla schiena". Da quanto si apprende da alcuni siti militari, i russi stanno compiendo attacchi mirati su milizie turcomanne al soldo di Ankara. Circolano inoltre notizie circa l'impiego di mezzi corazzati russi sul suolo siriano e di nuove unità navali che avrebbero attraversato lo stretto dei Dardanelli per portarsi vicino all'area del conflitto. Turchia e Russia sono nemici storici nella corsa alla conquista dell'Heartland (il cuore del mondo), zona in cui hanno entrambe interessi vitali da difendere. Dato che i russi stanno sfacciatamente approfittando del vuoto lasciato nell'area dagli americani per occupare spazio, potrebbe esser valida l'ipotesi che Ankara, dietro il pretesto dello sconfinamento, abbia voluto mettere in atto una strategia di contenimento dell'avanzata russa in Siria.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 8 compagni, è iniziata dalle notizie economiche provenienti dalla Cina.
A luglio la produzione industriale cinese è cresciuta "solo" del 6%, meno del +6,8% di giugno e sono in netto calo gli indici dell'export. Per far fronte a questa situazione la Banca centrale è intervenuta con tre svalutazioni competitive nel giro di 72 ore, un record persino per il paese dei record. Gli economisti dicono che il governo ha trascurato la crescita del mercato interno sostituendogli una produzione export-oriented. In realtà quello che sta succedendo è molto classico: il mercato interno cinese è troppo piccolo per i ritmi di crescita cinesi. Troppo piccolo con un miliardo e mezzo di consumatori, i grattacieli, le fabbriche del mondo. Perciò il mercato estero si è imposto in via naturale. È una delle controtendenze alla caduta del saggio di profitto.
La teleconferenza di martedì sera, a cui hanno partecipato 14 compagni, è iniziata col commento della situazione economica italiana. Secondo l'Unione Europea la produzione dell'industria italiana nel 2013 ha perso un ulteriore 5% per arrivare a circa -25% rispetto al 2007. Non arrivano segnali positivi neanche dall'Ocse, secondo cui il Pil quest'anno si contrarrà dello 0,4% dopo il -1,8% fatto registrare l'anno scorso. Sulla caduta tendenziale del saggio di profitto abbiamo ricordato due lavori, Un modello dinamico di crisi e La legge del valore e la sua vendetta, in cui si afferma:
"L'aumento della produttività sociale si ottiene con la sostituzione di impianti e macchine a uomini e comporta necessariamente l'appiattimento della curva del saggio di profitto. Così, mentre la curva della produttività sociale si impenna con una cuspide, quella del saggio di profitto (o tasso di accumulazione o sviluppo economico, o indice della produzione industriale) si arrotonda in un sigmoide (da Sigma, curva ad esse). Nella differenza fra le due forme di diagrammi è la contraddizione principale dello sviluppo capitalistico, la forma catastrofica del suo divenire."
I dati sul Pil stimolano il varo delle riforme annunciate dal governo, in primis quella in materia di lavoro. L'Italia, paese capitalistico ultramaturo, avrebbe bisogno di impiegare nel ciclo produttivo quantità massicce di forza lavoro disoccupata, ma non può adottare soluzioni alla "tedesca" perchè quello nordico è un capitalismo ancora giovane e non è possibile far girare all'indietro la ruota della storia.
La teleconferenza di martedì, connessi dieci compagni, è iniziata con l'elenco di alcune notizie recenti che forniscono un quadro dello scenario politico-economico mondiale a dir poco disastroso:
-sette anni di crisi: miseria crescente e crollo dei consumi in Italia e altrove (allarme deflazione);
-Germania: aumento dei disoccupati e calo di fiducia delle imprese nell'economia;
-Francia: dichiarazioni anti-austerity del ministro dell'Economia e conseguente rimpasto di governo, instabilità politica che tocca il cuore dell'Europa;
-Draghi: ipotizza l'avvio di un piano di acquisto di titoli di Stato dell'Eurozona da parte della Bce;
-Usa: possibile alleanza con Assad per ostacolare l'avanzata degli jihadisti in Siria e Iraq;
-Libia: il paese ormai è diviso con due presidenti e due governi, mentre Egitto ed Emirati Arabi Uniti bombardano gli islamisti;
-Ucraina: carri armati russi entrano nel sud-est del paese;
-Papa: annuncia l'inizio della terza guerra mondiale.
La teleconferenza di martedì sera, a cui hanno partecipato 22 compagni, è iniziata da alcune considerazioni in merito allo sviluppo delle lotte nel comparto della logistica. Il settore è strategico per il capitalismo ultra-maturo, perché permette il continuo flusso di merci da industria a industria, da industria a consumatore; esso è parte indispensabile di una catena di montaggio che si è estesa a tutto il globo e che sviluppa le sue fasi nelle singole fabbriche, le quali a loro volta sono collegate da autostrade, ferrovie, rotte aeree e marittime, ecc.: la catena, appunto, della logistica.
In Italia il settore è in fermento da mesi. La TNT, una delle maggiori aziende nel campo, ha recentemente annunciato un piano di riorganizzazione che prevede il licenziamento di circa 800 lavoratori. In risposta è stata aperta una vertenza per la difesa degli istituti contrattuali, che coinvolge tutti i magazzini. Lo scorso 28 novembre i lavoratori esternalizzati hanno scioperato per due ore nelle sedi di Ancona, Bologna, Brescia, Milano, Roma, Padova, Piacenza, Torino e Verona. I facchini stanno costruendo una rete di sostegno in modo che alle rappresaglie padronali si risponda unitariamente.
Leggiamo sui giornali che le crisi attuali, quelle dell'87, del 97, del 2000 e quella odierna sono quantitativamente più gravi della grande crisi del '29. I dati riguardano sia il capitale "cancellato" dalla diminuzione dei prezzi dei titoli, sia l'ammontare degli interventi da parte degli istituti di credito e delle banche centrali. Ma nonostante questi dati, sembra che le crisi d'oggi non provochino disastri paragonabili alla Grande Depressione americana che durò dieci anni e affamò milioni di proletari. Mi chiedo: se questi sconquassi sono solo il frutto di speculazioni da parte dei privati, perché mai governi e banche centrali hanno interesse ad accorrere in loro soccorso? Non potrebbero lasciarli perdere con tutte le loro avventure al casinò delle borse? Invece nell'ultima crisi, quella cosiddetta "dei mutui", hanno iniettato sul mercato centinaia di miliardi di euro, che saranno utilizzati per riprendere il carosello della speculazione. Perché non è vero valore quello che si è guadagnato e poi perso, ma valore virtuale dovuto ad aumento e diminuzione dei prezzi a seconda degli alti e bassi del mercato dei titoli o dei cambi. Persino i proletari sono cascati nell'illusione speculativa, accendendo mutui che non potevano pagare così salato, solo nella speranza che l'aumento del prezzo delle case li coprisse, mettendo il proprio futuro nelle mani della speculazione.
"Ho letto con interesse i lunghi articoli sulla guerra planetaria degli Stati Uniti. Essi aprono uno scenario 'suggestivo', ricco di implicazioni. Tuttavia ritengo che gli articoli siano il corollario di una tesi che, nell'ambito della trattazione, viene solo sporadicamente accennata, ossia la definizione dell'attuale crisi, giudicata 'suprema'. È un'affermazione forte, anzi fortissima! Per sostenerla vi basate (e sono d'accordo) sulla caduta tendenziale del saggio di profitto, un concetto che ultimamente è diventato come l'Araba fenice: tutti ne parlano ma nessuno l'ha vista. Per quanto mi risulta, gli ultimi studi seri risalgono a Grossmann, Mattick e Bordiga, poi il gossip, o peggio. Quindi, vi domando se avete svolto, o perlomeno abbozzato, una ricerca, anche empirica, che descriva l'andamento dell'attuale ciclo del processo di accumulazione, dagli anni '80 in poi, quando furono attuate significative ristrutturazioni (devalorizzazioni) industriali, dopo la crisi degli anni '70 (anche su questa crisi erano state fatte 'scommesse' rivoluzionarie!).
Esprimo il mio compiacimento per l’uscita di "n+1" e prendo l’occasione per alcune osservazioni. A pag. 15 leggo: "se tutto funzionasse come all’interno di una fabbrica non ci sarebbe più capitalismo". A pag. 41 leggo: "l’intero sistema della produzione capitalistica sarebbe già utilizzabile così com’è con … la mancanza al suo interno delle categorie di valore (il prodotto diventa merce solo quando lascia il ciclo produttivo ed arriva sul mercato)".
Questo discorso mi sembra scorretto. In Marx si legge chiaramente che il processo di valorizzazione ha luogo nella sfera della produzione, cioè in fabbrica, ed è là che dev’essere erogato il tempo di lavoro socialmente necessario.
Editoriale: Non potete fermarvi
Articoli: Evoluzione extra biologica - Transizione di fase. Prove generali di guerra
Rassegna: Presa d'atto - Il capitalismo è morto
Recensione: Dallo sciopero, alla rivolta, alla Comune - Guerra civile negli USA, ma non quella vera
Doppia direzione: Il programma immediato non ammette mediazioni
Libertà
Viviamo in una società che scoppia. I suoi membri, divisi o raggruppati secondo criteri il più delle volte arbitrari e casuali, non riescono più a darsi un'identità plausibile. La pandemia, invece di compattare gli individui intorno a provvedimenti utili alla salvaguardia della specie, ha aggravato la situazione facendo emergere ataviche tendenze all'irrazionale.
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