La teleriunione di martedì sera è iniziata affrontando il tema delle imminenti elezioni americane.
Come nota The Economist nell'articolo "The risk of election violence in America is real", il termometro sociale negli USA registra l'aumento della tensione, con toni da guerra civile. Nel nostro testo "Teoria e prassi della nuova politiguerra americana" (2003), abbiamo scritto che "la direzione del moto storico, l'andare verso... è irreversibile. Se il determinismo ha un senso, gli Stati Uniti sono ciò che la storia del globo li ha portati ad essere."
La polarizzazione economica e politica negli USA è il prodotto di una dinamica storica che possiamo far partire almeno dal 1971, quando il presidente Nixon eliminò l'ancoraggio del dollaro all'oro. Gli Stati Uniti assommano su di sé tutte le contraddizioni del capitalismo mondiale, e non è un caso che proprio lì sia nato un movimento avanzato come Occupy Wall Street che, nei suoi due anni di esistenza, ha voltato le spalle alla politica parlamentare, al leaderismo e al riformismo. Interessante, a tal proposito, la descrizione che viene fatta di Occupy Sandy nel libro Emergenza. Come sopravvivere in un mondo in fiamme di Adam Greenfield:
La teleriunione di martedì sera è iniziata commentando la situazione di guerra in Medioriente.
Recentemente, le forze di difesa israeliane hanno preso di mira le basi UNIFIL presenti nel sud del Libano, lungo la "linea blu", con il chiaro intento di farle evacuare. Nell'attacco sono state distrutte le telecamere e le torrette di osservazione, e ci sono stati alcuni feriti tra i caschi blu. I ministri degli Esteri di Francia, Germania, Italia e Regno Unito hanno manifestato il loro disappunto, mentre Israele ha dichiarato di aver precedentemente invitato il comando UNIFIL a ritirarsi. Le truppe dell'ONU sono presenti in Libano dagli inizi degli anni '80 in quanto "forza militare di interposizione", ma evidentemente il tempo della mediazione è finito per lasciare spazio a quello della guerra aperta.
La teleriunione di martedì sera è iniziata prendendo spunto dalle ultime notizie dal Medioriente.
In seguito al massiccio attacco sferrato da Israele contro le postazioni di Hezbollah in Libano, durante il quale è stato ucciso Hassan Nasrallah, segretario generale dell'organizzazione, l'Iran ha lanciato circa 200 missili in direzione di Tel Aviv.
Sono le determinazioni materiali a costringere gli stati a muoversi, e tutti lo fanno all'interno di una complessa rete di condizionamenti. In un'intervista, reperibile su YouTube ("E' ancora possibile evitare la terza guerra mondiale?"), il generale Fabio Mini afferma che la situazione mondiale non è tanto complicata quanto complessa, poichè gli attori in campo sono molti ma comunque tutti ben individuabili. L'annientamento di Hamas e Hezbollah ad opera di Israele non può essere portato a termine e ciò innesca un'escalation bellica. Rispetto al passato, ad azione non corrisponde una reazione proporzionata, bensì una risposta "randomica", caotica e di difficile previsione.
La teleriunione di martedì sera è iniziata dall'analisi del recente attacco a Hezbollah in Libano e Siria.
Lo scorso 17 settembre migliaia di cercapersone, utilizzati da Hezbollah appositamente per evitare l'impiego di dispositivi maggiormente tracciabili (come i telefoni cellulari), sono stati fatti esplodere provocando diversi morti e migliaia di feriti, tra cui l'ambasciatore iraniano in Libano. Oltre Israele, nessun altro attore nell'area dispone di quel tipo di capacità tecnica ed ha interesse a colpire in questo modo il partito-milizia sciita. Le informazioni sull'attacco restano contrastanti: alcune testate giornalistiche sostengono che l'esplosione degli apparecchi elettronici sia stata causata dal surriscaldamento delle batterie tramite un malware, mentre altri analisti ipotizzano la presenza di mini cariche esplosive inserite precedentemente nei dispositivi. L'attacco simultaneo ai cercapersone è stato seguito dall'incursione di caccia israeliani che hanno colpito diverse postazioni di Hezbollah a 100 km dal confine.
La teleconferenza di martedì 30 luglio è iniziata facendo il punto sulle recenti proteste in Venezuela.
Le elezioni presidenziali hanno visto la vittoria di Nicolàs Maduro con circa il 51% dei voti, ma le opposizioni hanno denunciato brogli. Migliaia di manifestanti sono scesi in strada scontrandosi con la polizia e i militanti pro-Maduro, e si contano già i primi morti. Anche il Venezuela si aggiunge alla lista dei paesi interessati dal marasma sociale: dal punto di vista politico, la parte borghese che si fa portatrice del progetto bolivariano si scontra con l'opposizione filostatunitense. L'economia venezuelana è basata prevalentemente sull'esportazione di greggio, mentre industria e agricoltura contano poco nella formazione del PIL. Da anni nel paese serpeggia un malessere profondo che coinvolge milioni di senza-riserve, quasi metà della popolazione versa in condizioni di povertà estrema.
La teleriunione di martedì sera è cominciata parlando del recente attentato a Donald Trump avvenuto durante un comizio elettorale in Pennsylvania.
Si tratta di un ulteriore step nel livello di violenza che caratterizza la campagna elettorale americana. L'attentatore, un ragazzo di 20 anni con simpatie repubblicane, ha utilizzato un fucile semiautomatico AR-15, l'arma più diffusa in tutto il Paese con una stima di oltre 40 milioni di pezzi venduti. Naturalmente, non sono mancate le teorie del complotto, ma d'altronde in mancanza di informazioni vagliabili tutte le ipotesi sono aperte.
Nel nostro articolo "Teoria e prassi della nuova politiguerra americana", nel capitolo finale intitolato La vita nel ventre della balena, abbiamo ribadito che il moto storico ha una direzione precisa. Gli USA sono ciò che la storia del pianeta li ha portati ad essere. La crisi dell'imperialismo unipolare è dovuta al fatto che sulla scena si stanno affacciando nuove potenze (lo sviluppo ineguale di cui parla Lenin nell'Imperialismo), l'America non ha più la forza di dare ordine al mondo, e non esiste un sostituto all'orizzonte. Si è interrotta la staffetta dell'imperialismo ("Accumulazione e serie storica") e il disordine mondiale aumenta con l'estendersi dei conflitti bellici su scala planetaria. Chiunque sarà il prossimo presidente americano (i pronostici danno per certa la vittoria di Trump), potrà far ben poco per invertire la tendenza economica, la quale produce effetti sulla società.
La teleriunione di martedì sera è iniziata commentando le conseguenze politiche delle recenti elezioni europee.
In Francia i partiti di sinistra hanno prospettato una riedizione del fronte popolare del 1936-1941 per fermare l'avanzata delle destre. Dalla tragedia si sta passando alla farsa, perchè chiunque vada al governo non può far altro che assecondare i diktat dei mercati, che sia di destra, centro o sinistra. Detto questo, le elezioni si stanno trasformando da fattori di stabilità in fattori di caos, e il fenomeno della decadenza del sistema dei partiti, di cui è conferma l'aumento dell'astensionismo, è sintomo di una disgregazione più generale. La Francia sta diventando un laboratorio per gli altri paesi: lì, solo negli ultimi anni, ci sono stati gli incendi sociali nelle banlieue, i gilet jaunes, il movimento contro l'aumento delle pensioni. Se il sistema perde energia, se va in crisi la legge del valore, allora viene meno il patto tra lo Stato e la società civile, e cresce la polarizzazione politica interna agli stati. In Italia si è già sperimentato tutto, tra cui l'affermarsi di formazioni politiche che hanno ottenuto un grande successo criticando la "casta" per poi integrarsi in breve tempo (vedi M5S). Anche la Germania, in seguito a queste elezioni, mostra incrinature interne: il centro d'Europa si presenta spaccato, incapace di ricucire il tessuto sociale.
È difficile pensare ai cambiamenti rivoluzionari prossimi venturi come a passaggi pacifici, graduali e indolore. Quando si muovono masse di milioni di persone incollerite si producono terremoti sociali.
La teleriunione di martedì sera è iniziata con alcune considerazioni riguardo l'emergenza nei Campi Flegrei, a ovest della città di Napoli, dove da giorni si susseguono scosse di terremoto.
L'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) nota che l'area flegrea è soggetta a bradisismo (movimento lento del suolo), e non si possono escludere altri eventi sismici di energia analoga o superiore a quanto già registrato durante lo sciame sismico in corso. I Campi Flegrei sono una vasta area vulcanica attiva con una struttura detta "caldera", cioè un'area ribassata di forma quasi circolare che si è formata per effetto di eruzioni esplosive del passato. Secondo un articolo pubblicato sulla rivista Nature, si prefigurano tre possibili scenari: 1) un fenomeno di equilibrio in cui il sollevamento del suolo rallenta fino ad assestarsi, 2) un fenomeno di oscillazione per cui il suolo sale e scende, 3) un sollevamento continuo che porta la crosta superiore a rompersi completamente. La situazione è dunque rischiosa per tutta l'area, soprattutto perché si tratta di una delle zone più densamente abitate d'Italia. Un vulcano su dieci, tra quelli storicamente attivi sul pianeta, è una grande caldera di oltre 5 km di diametro. Spesso si verificano diversi episodi sismici nel corso di decenni prima che questo tipo di vulcano esploda; tali episodi appartengono ad un'unica sequenza evolutiva, per cui il comportamento di ciascun evento dipende dall'effetto cumulativo dei suoi predecessori.
La teleriunione di martedì sera è iniziata prendendo spunto dall'ultimo numero dell'Economist ("The new economic order", 11 maggio 2024), che dedica diversi articoli alla crisi mondiale in atto.
Secondo il settimanale inglese, a prima vista il capitalismo sembra resiliente, soprattutto alla luce della guerra in Ucraina, del conflitto in Medioriente, degli attacchi degli Houthi alle navi commerciali nel Mar Rosso; in realtà, esso è diventato estremamente fragile. Esiste, infatti, un numero preoccupante di fattori che potrebbero innescare la discesa del sistema verso il caos, portando la forza a prendere il sopravvento e la guerra ad essere, ancora una volta, la risposta delle grandi potenze per regolare i conflitti. E anche se non si arrivasse mai ad uno scontro bellico mondiale, il crollo dell'ordine internazionale potrebbe essere improvviso e irreversibile ("The liberal international order is slowly coming apart").
La teleriunione di martedì sera è iniziata discutendo dell'evoluzione degli attuali scenari di guerra.
Gli Stati, anche quelli importanti come USA e Federazione Russa, faticano a tenere il passo nella produzione di munizioni necessaria per il conflitto in corso in Ucraina. Il Fatto Quotidiano riporta alcuni dati significativi: nel giugno 2022 i Russi sparavano 60 mila colpi al giorno, a gennaio del 2024 ne sparavano 10-12 mila contro i 2 mila dell'esercito avversario. Senza l'aiuto dell'Occidente l'Ucraina sarebbe già collassata, ma ora l'America ha delle difficoltà: "Gli Usa, il principale fornitore di proiettili di artiglieria dell'Ucraina, producono 28mila munizioni da 155 mm al mese con piani di aumento della produzione a 100mila entro il 2026." La fabbricazione di tali quantità di munizioni comporta uno sforzo nell'approvvigionamento di materie prime, e infatti c'è una corsa all'accaparramento di scorte di alluminio e titanio. Già l'anno scorso l'Alto rappresentante UE per la politica estera, Josep Borrell, affermava: "In Europa mancano le materie prime per produrre le munizioni da mandare all'Ucraina".
La teleriunione di martedì sera è iniziata con un focus sulla situazione economico-finanziaria mondiale.
Abbiamo già avuto modo di scrivere delle conseguenze di una massa enorme di capitale finanziario (il valore nozionale dei derivati è di 2,2 milioni di miliardi di dollari) completamente slegata dal Prodotto Interno Lordo mondiale (circa 80 mila miliardi annui). Quando Lenin scrisse L'Imperialismo, fase suprema del capitalismo, il capitale finanziario serviva a concentrare investimenti per l'industria, che a sua volta pompava plusvalore. Oggigiorno, questo capitale non ha la possibilità di valorizzarsi nella sfera della produzione, perciò è destinato a rimanere capitale fittizio e quindi, dice Marx, ad essere cancellato.
Nell'articolo "Accumulazione e serie storica" abbiamo sottileneato che è in corso un processo storico irreversibile, e che non si tornerà più al capitale finanziario del tempo di Lenin e Hilferding. In "Non è una crisi congiunturale", abbiamo ribadito come il rapido incremento del capitale finanziario è una conseguenza del livello raggiunto dalle forze produttive. La capacità del capitale di riprodursi bypassando la produzione materiale è un'illusione, e il ritorno alla realtà è rappresentato dallo scoppio delle bolle speculative. Ogni strumento finanziario è necessariamente un espediente per esorcizzare la crisi di valorizzazione, nella speranza di poter trasformare il trasferimento di valore in creazione del medesimo.
La teleriunione di martedì sera è iniziata dall'analisi del recente attacco dell'Iran ad Israele.
Secondo un portavoce dell'esercito israeliano, nell'azione compiuta nella notte tra il 13 e il 14 aprile l'Iran ha impiegato 170 droni, 30 missili da crociera e 120 missili balistici, che sono stati quasi tutti abbattuti. L'attacco è stato simbolico, le nazioni arabe erano state avvertite e probabilmente anche gli Americani; dopo il bombardamento di un edificio annesso all'ambasciata iraniana a Damasco il primo aprile scorso, Teheran non poteva non rispondere. Gli USA hanno chiesto ad Israele di evitare una reazione a caldo e di pazientare, onde evitare un'escalation; gli Iraniani hanno dichiarato che se Israele lancerà un nuovo attacco essi colpiranno più duro: "Con questa operazione è stata stabilita una nuova equazione: se il regime sionista attacca, sarà contrattaccato dall'Iran."
Teheran è all'avanguardia nella produzione di droni, ha sviluppato un'industria bellica specializzata e vende queste tecnologie alla Russia ma anche ad Algeria, Bolivia, Tagikistan, Venezuela ed Etiopia.
Ciò che sta accadendo in Medioriente conferma l'importanza del lavoro sul wargame, a cui abbiamo dedicato due numeri della rivista (nn. 50 - 51). I giochi di guerra servono a delineare scenari futuri, e le macchine amplificano le capacità dell'uomo aiutandolo a immaginare come potrebbero svilupparsi i conflitti in corso. Gli eserciti e gli analisti militari che lavorano con i wargame sono in grado di accumulare grandi quantità di informazioni, ma sono però costretti a vagliarne solo una parte. È un dato oggettivo: i big data vanno ordinati e l'ordine risente dell'influenza di chi applica il setaccio.
La teleriunione di martedì 13 marzo, presenti 15 compagni, è iniziata commentando alcune news sulla guerra globale.
Papa Francesco, che già da qualche mese ha lanciato l'allarme riguardo il passaggio dalla terza guerra mondiale combattuta a pezzi ad un vero e proprio conflitto mondiale, ha invitato il governo ucraino ad una riflessione seria sul da farsi, affermando "che è più forte quello che vede la situazione, pensa al popolo e ha il coraggio della bandiera bianca e negoziare. E oggi si può negoziare con l'aiuto delle potenze internazionali. Ci sono. Quella parola negoziare è una parola coraggiosa."
La dichiarazione ha avuto una certa risonanza sui media perché il Papa, sostanzialmente, ha esortato il governo ucraino ad arrendersi, sostenendo che oramai l'Ucraina non ha più le forze per continuare a reggere lo scontro con la Russia. Il Vaticano è uno stato particolare, ha ramificazioni in tutto il mondo, e in quanto centro della cattolicità controlla un miliardo di fedeli ed ha una rete di influenza internazionale: disponendo di propri agenti anche in Ucraina, possiede informazioni dettagliate, comprese quelle sulla tenuta del fronte interno. Forte di una tradizione bimillenaria, la Chiesa fiuta gli scenari futuri.
La teleriunione di martedì sera, a cui si sono collegati 21 compagni, è iniziata con il commento del testo "Danza di fantocci: dalla coscienza alla cultura" (1953).
Con l'analisi di quest'ultimo articolo si chiude la trilogia dei fili del tempo centrati sulla critica al gruppo "Socialisme ou Barbarie", di cui si può trovare traccia negli ultimi resoconti. Ancora oggi è utile ribadire che cos'è la classe per la teoria marxista. Essa non è un ordine e il proletariato non è un quarto stato, caposaldo su cui invece si basano le varie forme di operaismo:
"La parola classe che il marxismo ha fatto propria è la stessa in tutte le lingue moderne: latine, tedesche, slave. Come entità sociale-storica è il marxismo che la ha originalmente introdotta, sebbene fosse adoperata anche prima. La parola è latina in origine, ma è da rilevare che classis era per i Romani la flotta, la squadra navale da guerra: il concetto è dunque di un insieme di unità che agiscono insieme, vanno nella stessa direzione, affrontano lo stesso nemico. Essenza del concetto è dunque il movimento e il combattimento, non (come in una assonanza del tutto... burocratica) la classificazione, che ha nel seguito assunto un senso statico."
La teleconferenza di martedì sera, presenti 19 compagni, è iniziata dal commento di una video-intervista a Fabio Mini, generale dell'esercito italiano in pensione, incentrata sull'escalation in Medio Oriente e sul ruolo degli Stati Uniti. Secondo Mini, la dottrina militare americana prevede al massimo due fronti di guerra: in questo momento gli Americani sono impegnati in Ucraina (da quasi due anni) e in Medioriente, ma in futuro potrebbe aprirsi un altro fronte nell'Indopacifico.
Il caos scoppiato in Medioriente ha avuto delle ripercussioni in Ucraina, che non è più al centro dell'attenzione mediatica come prima del 7 ottobre. Adesso l'iniziativa è in mano russa (vedi l'accerchiamento di Avdiivka), mentre alle forze ucraine mancano proiettili, armi e uomini. Inoltre, il sostegno da parte del blocco NATO non è più certo, anche perché potrebbe esserci bisogno di armi e munizioni in altri contesti.
La teleriunione di martedì sera, collegati 21 compagni, è iniziata dal commento della situazione politica interna degli Stati Uniti d'America.
Lo stato federale è in contrasto con lo stato del Texas riguardo alla gestione del confine con il Messico. Il presidente Joe Biden ha affermato che non è competenza dei singoli stati l'amministrazione delle frontiere, e ha intimato al Texas di rispettare la sentenza della Corte Suprema che assegna il controllo dei posti di pattugliamento al governo federale. Ben 25 stati retti da repubblicani hanno espresso solidarietà al Texas, e così pure la Guardia Nazionale texana che ha manifestato la sua fedeltà al governatore repubblicano Greg Abbott continuando a costruire barriere al confine. Funzionari locali texani hanno accusato l'amministrazione Biden di alto tradimento per non aver gestito adeguatamente il flusso migratorio e per aver trascurato la sicurezza delle frontiere.
Il Texas, stato fondamentale per l'economia americana, ospita una centrale nucleare e depositi di armi nucleari, e da diversi anni perora la causa dell'indipendenza dal governo centrale. Donald Trump ha cavalcato la situazione, dando sostegno ad Abbott e criticando il governo Biden per la politica migratoria (che sta diventando un tema strategico in vista della prossima campagna elettorale). Alcuni osservatori borghesi paventano la possibilità di un'escalation, temono cioè l'avvio di una dinamica che potrebbe andare fuori controllo conducendo alla guerra civile ("Dramma politico o crisi costituzionale? Dove può arrivare il Texas", Limes). Viene alla mente la trama del film La seconda guerra civile americana (1997), dove una problematica legata all'immigrazione scatena meccanismi catastrofici.
La teleconferenza di martedì sera, a cui si sono connessi 17 compagni, è iniziata commentando la situazione mondiale, che vede una recrudescenza dei conflitti bellici in corso. Le forze armate statunitensi e britanniche hanno lanciato una serie di attacchi contro obiettivi militari in varie zone dello Yemen in risposta agli attacchi degli Houthi alle navi in transito nel Mar Rosso.
Nell'articolo "L'imperialismo delle portaerei" (1957), la nostra corrente scrive:
"Sappiamo che cos'è l'imperialismo del dollaro: esso non occupa territori, anzi 'libera' quelli su cui grava ancora la dominazione colonialista e li aggioga al carro della sua onnipotenza finanziaria, sulla quale veglia la flotta aeronavale più potente del mondo. L'imperialismo americano si presenta come la più pura espressione dell'imperialismo capitalista, che occupa i mari per dominare le terre. Non a caso la sua potenza si fonda sulla portaerei, nella quale si compendiano tutte le mostruose degenerazioni del macchinismo capitalista che spezza ogni rapporto tra i mezzi di produzione e il produttore. Se la tecnica aeronautica assorbe i maggiori risultati della scienza borghese, la portaerei è il punto di incontro di tutti i rami della tecnologia di cui va orgogliosa la classe dominante".
Gli USA, usciti vittoriosi dalla Seconda Guerra Mondiale, attraverso le portaerei controllano gli Oceani. In realtà, per controllare il Pianeta basta avere il controllo di alcuni hub strategici, ovvero degli stretti più importanti (Suez, Panama, Hormuz, Malacca, ecc.). Sullo stretto di Bab al-Mandab (quasi 40 km) si affacciano il Gibuti e lo Yemen, il canale è importante per la sua posizione cruciale lungo una delle rotte commerciali più importanti del mondo, tra il Corno d'Africa e la Penisola Arabica. Circa il 25% del traffico marittimo mondiale passa attraverso questo stretto, comprese le forniture energetiche provenienti dai paesi del Golfo Persico e dall'Asia e dirette verso l'Europa. Bloccando questo corridoio marittimo si può bloccare, o quantomeno rallentare, parte del commercio internazionale.
La teleriunione di martedì sera, presenti 17 compagni, è iniziata con una breve presentazione del saggio Riot. Sciopero. Riot. Una nuova epoca di rivolte, scritto nel 2019 da Joshua Clover.
Secondo lo scrittore e professore di inglese e letteratura comparata all'Università della California "Davis", a partire dal Medioevo si può ravvisare una dinamica storica che vede prima la rivolta, poi lo sciopero ed infine di nuovo la rivolta, ma in forma diversa rispetto alla fase iniziale.
Nel testo si descrive come, fino al XIX secolo, lo scontro avviene principalmente nell'ambito della circolazione, dato che lì si trovano i beni necessari alla riproduzione. Successivamente, soprattutto con l'entrata in scena del proletariato, si rafforzano le forme di lotta più organizzate, le rivolte combaciano con gli scioperi, e il conflitto si manifesta per la maggior parte con l'interruzione organizzata del lavoro. A partire dalla fine degli anni 60' del secolo scorso, le forme di scontro si fanno sempre più incontrollabili (vedi riot negli USA): finita l'epoca di crescita industriale del capitalismo, l'accumulazione avverrebbe nella sfera della finanza, almeno nei paesi a capitalismo avanzato, dando così inizio ad una fase di espulsione della forza lavoro dalla produzione. Con lo scoppio della crisi industriale, gli afroamericani sono i primi a trovarsi alle prese con seri problemi di sopravvivenza e le rivolte, che assumono apparentemente una connotazione razziale, riguardano in realtà le condizioni di milioni di proletari. La seconda fase della rivolta, o rivolta prime, come la chiama Clover, si pone quindi direttamente in conflitto con lo Stato, poiché esso dispone di strumenti di repressione e controllo che le società precedenti non avevano, raggiungendo livelli di sofisticazione mai visti prima. Gli scioperi moderni toccano la circolazione di uomini e soprattutto di merci, dal trasporto aereo ai treni, dalla logistica ai petroliferi. I gilet jaunes, ad esempio, a partire dal 2018 hanno occupato le principali vie di comunicazione bloccando autostrade e rotatorie. La logistica connette il tessuto produttivo ed è fondamentale nell'epoca del just in time e della produzione senza magazzino.
La teleriunione di martedì sera, a cui si sono collegati 17 compagni, è iniziata con il commento delle notizie riguardanti OpenAI, uno dei più avanzati laboratori di ricerca nel campo dell'Intelligenza Artificiale (IA).
La startup che ha elaborato ChatGPT ("Chat Generative Pre-trained Transformer"), un sistema linguistico LLM ("Large Language Model") basato sull'apprendimento automatico profondo, recentemente è salita all'onore delle cronache per il licenziamento di uno dei suoi fondatori e CEO, Sam Altman. Da quanto si può leggere sui giornali, sembra che l'allontanamento di Altman ad opera del consiglio di amministrazione rientri nello scontro in atto tra i sostenitori di due diversi approcci nello sviluppo dell'intelligenza artificiale, ed in particolare riguardo allo sviluppo di un nuovo progetto denominato Q*. ChatGPT produce risultati in base ad un calcolo probabilistico, legato alla statistica del linguaggio; Q*, invece, sarebbe un sistema autonomo in grado di "superare gli esseri umani nei compiti con il maggiore impatto a livello economico" (Wired).
Secondo la Reuters, lo scontro verterebbe sulle precauzioni da adottare verso lo sviluppo del progetto: mentre la maggioranza del consiglio di amministrazione richiedeva una maggiore cautela, sembra che Altman spingesse per la sua commercializzazione. Nei giorni successivi al licenziamento, Microsoft, il maggior finanziatore della società, si è fatta avanti per assumere Altman, e più di 700 dipendenti hanno minacciato di andarsene per seguire il loro ex-capo. OpenAI nasce nel 2015 come organizzazione di ricerca senza scopo di lucro; qualche anno più tardi, nel 2019, viene affiancata da un braccio commerciale che si occupa di attrarre gli investimenti e gestire i profitti. All'interno della startup è presente la corrente dell'altruismo efficace, un movimento filosofico che si propone di applicare la ricerca scientifica e la tecnologia per migliorare il mondo, e di mettere in pratica la massimizzazione dei profitti per incentivare le donazioni economiche a favore dei problemi sociali.
Durante la teleriunione di martedì sera, connessi 21 compagni, abbiamo fatto il punto sulla guerra in Ucraina e in Medioriente.
L'Occidente è in grande difficoltà: non può sostenere a lungo gli Ucraini e deve fare i conti con la polveriera mediorientale. I giornalisti faticano ad ammettere che la Russia ha vinto la guerra e che l'Ucraina rischia il collasso. La blitzkrieg di Mosca (febbraio 2022) non era diretta alla conquista di Kiev ma era volta all'occupazione di una fascia di territori che gli Ucraini effettivamente ormai hanno perso. La controffensiva ucraina di primavera è andata male ed ora il governo Zelensky non sa più che fare, trovandosi alle prese con un'economia sorretta dagli aiuti occidentali, con una carenza di soldati e munizioni, e con uno scontro interno tra politici e militari. Nel frattempo le forze russe continuano a bombardare porti, infrastrutture, basi e centrali elettriche nemiche, e già si vocifera di trattative per cedere un 1/5 dell'Ucraina alla Russia, e accettare lo stato di neutralità del paese.
Durante la teleriunione di martedì sera, a cui hanno partecipato 21 compagni, abbiamo analizzato l'evolversi della guerra israelo-palestinese.
Gli USA hanno espresso la loro contrarietà all'occupazione a tempo indeterminato della Striscia di Gaza da parte di Israele, come anche a qualsiasi ipotesi di trasferimento forzato dei palestinesi al di fuori. L'America vuole evitare l'allargamento del conflitto, che andrebbe a suo svantaggio.
Nell'articolo "Israeli soldiers fight to reach Hamas's headquarters" (6 novembre), L'Economist sostiene che, dopo 10 giorni di bombardamenti volti a neutralizzare la struttura militare di Hamas, siamo entrati nella fase "pericolosa" della guerra. Israele accusa l'organizzazione islamista di aver collocato le proprie postazioni sotto gli ospedali e di utilizzare le ambulanze (che vengono puntualmente bersagliate) per gli spostamenti. Gaza City è isolata dal resto della Striscia, che è stata divisa in due; gruppi di incursori israeliani sono penetrati all'interno della città compiendo operazioni mirate. Hamas non ha la forza di ingaggiare uno scontro aperto con le Forze di difesa israeliane (IDF) e quindi ha adottato come tattica la guerriglia urbana, basandosi sulla rete di tunnel che ha costruito negli anni. Come fanno notare gli stessi analisti militari, più andrà avanti l'offensiva e più moriranno civili palestinesi (si parla già di oltre dieci mila morti) e soldati israeliani.
Durante la teleriunione di martedì sera, connessi 19 compagni, abbiamo fatto il punto sulla guerra israelo-palestinese.
The Economist ha pubblicato un paio di articoli sulla situazione nell'area: "Why urban warfare in Gaza will be bloodier than in Iraq", nel quale si elencano le problematiche cui dovrà far fronte Israele qualora decidesse di intraprendere una guerra urbana a Gaza; e "American power: indispensable or ineffective?", dove si fa un parallelo tra il potere di deterrenza di Israele nel Medio Oriente e quello globale degli USA. In questi giorni la Marina americana ha inviato due portaerei in supporto ad Israele per lanciare un segnale chiaro agli attori ostili (a cominciare dall'Iran); il destino dei due paesi è strettamente connesso, dato che questa guerra definirà non solo il ruolo di Israele in Medio Oriente, ma anche quello dell'America nel resto del mondo. Secondo il settimanale inglese, sono tre le minacce per gli USA: i fronti mediorientali (gli Iraniani sono presenti in Siria, Libano, Iraq e Yemen) e ucraino, che consumano risorse politiche, finanziarie e militari; il fatto che una serie di paesi comincia a muoversi autonomamente per ricavare spazi di manovra (India, Arabia Saudita, ecc.); la questione Taiwan, ovvero il controllo dell'Indo-Pacifico.
Gli Houthi, al potere in una parte dello Yemen e sostenuti dall'Iran, hanno lanciato droni e missili contro Israele (intercettati e abbattuti dalle navi americane); l'Iran esporta petrolio in Cina e fornisce droni alla Russia che, a sua volta, ha accolto un alto rappresentante di Hamas dopo il 7 ottobre. L'apertura di un nuovo fronte di guerra per gli americani non è di certo cosa sgradita a Putin, che ha colto l'occasione per sottolineare la perdita di energia da parte del gendarme mondiale e la fine della "pax americana".
Durante la teleriunione di martedì sera, presenti 21 compagni, abbiamo discusso della situazione politica internazionale con particolare attenzione a Stati Uniti e Stato di Israele.
Secondo le rivelazioni dell'Huffington Post, negli USA sarebbe in corso un ammutinamento a tutti i livelli: alcuni diplomatici starebbero preparando ciò che viene definito un "dissent cable", un documento di critica verso la politica americana consegnato ai leader del Dipartimento di Stato tramite un canale riservato. Sembra che il conflitto all'interno dell'agenzia governativa verta sulle scelte di politica estera riguardanti la questione ucraina e quella israelo-palestinese. Riguardo quest'ultima, sembrano esserci problemi anche in casa del Partito Democratico per la posizione smaccatamente filoisraeliana di Joe Biden.
Anche in Israele ci sono conflitti interni. Tre ministri hanno minacciato di dare le dimissioni perché contrari alla condotta politica di Netanyahu, e dal punto di vista sociale, dopo l'iniziale compattamento seguito all'attacco di Hamas dello scorso 7 ottobre, sono riemerse le critiche della stampa verso il governo. In un discorso pubblico il presidente Biden ha ammesso che l'America ha sbagliato dopo l'11 settembre e perciò ha consigliato ad Israele di non fare gli stessi errori con Gaza, ignorando il dopo invasione. Gli USA cercano di frenare l'annunciato ingresso nella Striscia delle forze di difesa israeliane, anche perché l'Iran ha dichiarato che la situazione rischia di andare fuori controllo. Se continua il massacro di civili palestinesi, Hezbollah sarà costretto ad intervenire e potrebbe scattare un effetto domino in Medioriente e oltre. A tutti è ben chiaro che superata una certa soglia nessuno riuscirà più a controllare nulla. Si sa quando una guerra inizia, ma è difficile prevedere quando finirà.
La teleriunione di martedì, presenti 19 compagni, è iniziata commentando l'attacco di Hamas ad Israele il 7 ottobre scorso, a ridosso dell'anniversario della guerra dello Yom Kippur.
Quanto sta accadendo in quella tormentata aerea del mondo non è slegato dal quadro geopolitico mondiale, contraddistinto da un disordine crescente. Il Papa l'ha chiamata "terza guerra mondiale a pezzi", noi l'abbiamo definita sia "Guerra civile diffusa" che "Quarta Guerra Mondiale".
La corrente a cui facciamo riferimento, la Sinistra Comunista "italiana", ha lasciato del materiale utile per capire il retroterra storico degli avvenimenti in corso, a partire da articoli come "Le Alsazie-Lorene del Medio Oriente" (1955), "La crisi del Medio Oriente" (1955), "Il terremotato Medio Oriente" (1956). I confini del Medio Oriente sono stati tracciati a tavolino dopo la Prima Guerra Mondiale da Francia e Gran Bretagna, e il conflitto israelo-palestinese nasce proprio in quel periodo. Non si può capire l'oggi e, soprattutto, il domani senza aver individuato una traiettoria storica. La Sinistra valutò positivamente l'impianto di un capitalismo modernissimo, tramite la creazione artificiosa dello stato di Israele, in un'area geostorica fino ad allora (1948) abitata da popolazioni nomadi, piccolo contadiname e artigiani.
Nel 2015 la popolazione palestinese era composta da circa 12 milioni di persone. Di questi, 5 abitavano in Palestina (3 milioni in Cisgiordania e 2 nella Striscia di Gaza), 1,5 in Israele (cittadini arabi di Israele), 5,5 nei paesi arabi (soprattutto nei vicini Egitto, Giordania, Siria e Libano), e 685.000 nel resto del mondo. Vivono più palestinesi al di fuori dalla Palestina che al suo interno, e per la maggior parte si tratta di proletari sfruttati nelle fabbriche del mondo e quindi con gli stessi interessi degli altri salariati (Manifesto: "Proletari di tutti i Paesi, unitevi!"). Non esiste, di conseguenza, una questione nazionale palestinese specifica, tanto più che è finita da tempo l'epoca delle guerre di liberazione nazionale.
Durante la teleconferenza di martedì sera, a cui si sono collegati 15 compagni, abbiamo ripreso l'argomento trattato nella scorsa riunione, ovvero l'aggravarsi della situazione economica cinese.
Il Corriere della Sera ha pubblicato una serie di dati sulla Cina da cui risulta che le amministrazioni locali delle province del paese hanno accumulato debiti per finanziarie il settore immobiliare e la costruzione di nuove infrastrutture ("Cina, il debito 'nascosto' che minaccia l'economia: le province esposte per 8.000 miliardi", Francesco Bertolino). Se alla cifra raggiunta dall'indebitamento pubblico (che ammonta a circa il 300% del PIL, circa 4700 miliardi di euro), si aggiunge quella relativa al governo delle province, vengono superati gli 8000 miliardi di euro. Ad essere in difficoltà non sono solo le amministrazioni locali e le famiglie, ma anche le banche, dato che sono state proprio queste a finanziarie il boom del mattone. Alcuni esperti fanno notare che il sistema finanziario cinese è chiuso e perciò ritengono che le conseguenze dello scoppio di una bolla immobiliare rimarrebbero circoscritte all'interno dei confini nazionali. Sappiamo, invece, che i legami e le interconnessioni economiche e finanziarie della Cina hanno un respiro globale. I conglomerati immobiliari cinesi sono indebitati con Wall Street, e la Cina, dopo il Giappone, è il maggior acquirente di titoli di stato USA; una crisi finanziaria cinese avrebbe ripercussioni sul debito americano e su tutti i suoi rapporti commerciali (ad esempio quelli con la Germania che esporta molto verso il gigante asiatico). Come dice l'economista Larry Summers, il "superciclo del debito", che ha colpito gli Stati Uniti nel 2008 e qualche anno dopo l'Europa, sta ora sferrando un duro colpo alla Cina.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 18 compagni, è iniziata commentando la situazione economico-finanziaria della Cina, a partire dal possibile scoppio della bolla immobiliare.
Quanto successo nelle ultime settimane, tra cui le difficoltà del colosso Country Garden ma non solo, conferma quanto andiamo sostenendo da anni circa la raggiunta senilità della Cina. Ora se ne accorgono anche i borghesi, in particolar modo l'Economist che nell'edizione del 26 agosto ipotizza una "giapponificazione" (bassa crescita e deflazione) della economia cinese ("China's economy is in desperate need of rescue"). L'immobiliare è diventato un settore strategico, rappresentando il 30% del PIL cinese; l'enorme bolla speculativa è dovuta al fatto che il capitale ha cercato di valorizzarsi nella costruzione ex novo di decine di città, rimaste poi abbandonate. Secondo la banca Morgan Stanley, dal 2010 al 2020 il gigante asiatico ha costruito più di 140 milioni di unità abitative, e in soli tre anni ha prodotto una quantità di cemento che potrebbe trasformare la superficie della Gran Bretagna in un parcheggio; non pago, ha costruito città fantasma anche in Africa.
Secondo il Wall Street Journal il boom cinese è finito da tempo. La domanda di nuove abitazioni nelle città ha raggiunto il suo picco e i problemi di natura economica si assommano a quelli derivanti dalla disoccupazione giovanile, dall'invecchiamento della popolazione e dal calo degli investimenti esteri. Al pari dei paesi a vecchio capitalismo, la Cina installa robot nelle fabbriche e investe in intelligenza artificiale, e quindi si trova di fronte alla diminuzione relativa della produzione di plusvalore. Il gigante asiatico ha bruciato rapidamente le tappe capitalistiche passando in pochi anni da una crescita impetuosa a un altrettanto veloce declino.
La teleconferenza di martedì sera, a cui hanno partecipato 18 compagni, è iniziata parlando degli scioperi negli Stati Uniti.
A fine luglio scade il contratto dei teamsters della UPS. Le trattive per il rinnovo si sono rotte e c'è la possibilità che dal primo agosto incrocino le braccia i 340mila lavoratori del gigante della logistica. Lo sciopero verrebbe organizzato dall'International Brotherhood of Teamsters (IBT), lo storico sindacato dei camionisti che, pur avendo avuto in passato dirigenze colluse con la mafia (Jimmy Hoffa), ha espresso in più occasioni una base militante pronta allo scontro con i datori di lavoro ("I sedici giorni più belli"). Il 97% degli iscritti all'IBT ha votato a favore dello "strike" qualora le loro richieste non vengano accettate (aumenti salariali, sicurezza, ecc.), e ciò potrebbe portare a una interruzione della catena di approvvigionamento con un effetto domino sull'intera economia del paese. Come nota USA Today, l'ultima volta che i lavoratori della UPS hanno scioperato, nel 1997, meno dell'1% delle vendite totali del commercio al dettaglio proveniva dagli acquisti online. Si stima che negli USA siano più di un milione i lavoratori impiegati nel settore della logistica, più del doppio rispetto ad allora.
La teleriunione di martedì 23 maggio, presenti 15 compagni, è iniziata prendendo spunto da un video di Limes intitolato "La campagna di Trump, l'anniversario di Waco e l'apocalisse americana. Trent'anni fa e oggi".
Nell'articolo "Teoria e prassi della nuova politiguerra americana" abbiamo analizzato quanto avvenuto nel 1993 a Waco, in Texas. Una comunità-setta di millenaristi davidiani era stata presa di mira dall'FBI, che infine decise di perquisirla. Durante l'operazione nacque un conflitto a fuoco fra gli agenti e i membri della comune che portò all'assedio del ranch; dopo 51 giorni, vennero inviati i carrarmati e si giunse ad ad una conclusione violenta del blocco con l'uccisione di decine di davidiani, compresi dei bambini. Il milionario ex presidente degli USA Donald Trump ha deciso di iniziare la sua campagna elettorale per le elezioni presidenziali del 2024 proprio da Waco, nel trentesimo anniversario della strage, dichiarando ai suoi sostenitori: "Rimettetemi alla Casa Bianca e l'America sarà nuovamente un Paese libero e voi sarete vendicati."
La teleriunione di martedì sera, connessi 14 compagni, è iniziata con alcune considerazioni riguardanti quanto discusso negli incontri precedenti in merito alla competizione sino-americana nel contesto della guerra globale.
Partendo dalla visione del video "USA contro Cina. La sfida del secolo vista da Pechino" (Giorgio Cuscito, analista di Limes), possiamo approfondire alcuni aspetti inerenti a ciò che i borghesi chiamano "geopolitica". Di questa nuova scienza, nata dalla constatazione che particolari aree geostoriche determinano i comportamenti dei vari attori statali e politici, se ne parla nel filo del tempo "Il pianeta è piccolo" (1950): "Essa [la geopolitica] vuole studiare la geografia del pianeta nei suoi incessanti mutamenti per effetto del soggiorno e dell'opera dell'uomo. È un ramo di scienza che ha capito che le leggi dei fatti storici non si scoprono nelle tracce che hanno lasciato nel cervello dell'individuo ma nella fisica reale degli oggetti ponderabili."
Riguardo il rapporto USA/Cina abbiamo ripreso alcune mappe di Limes che schematizzano la strategia di contenimento americana. Lo stretto di Malacca, che separa l'isola indonesiana di Sumatra dalla costa occidentale della penisola malese e mette in collegamento l'Oceano Pacifico con l'Oceano Indiano, è da secoli un hub strategico per le rotte commerciali. Il canale è sotto il controllo degli Americani, che hanno schierato armi e attrezzature a Singapore. In caso di aumento della tensione nell'area, la sua chiusura potrebbe avere importanti ripercussioni a livello commerciale (di lì passa il 40% del commercio mondiale), soprattutto per la Cina. Un altro aspetto a cui prestare attenzione è il programma cinese noto come "Obiettivo 2049": per i cento anni della nascita della Repubblica Popolare Cinese, Pechino si è posta l'obiettivo di annettere Taiwan. Durante l'ultimo congresso del PCC, il presidente Xi Jinping ha dichiarato che non è da escludere in assoluto l'uso della forza per riprendersi l'isola.
La teleconferenza di martedì, presenti 16 compagni, è iniziata riprendendo il tema affrontato la scorsa settimana, ovvero il confronto tra Cina e Stati Uniti. Come abbiamo scritto nell'articolo "Accumulazione e serie storica", la Cina è allo stesso tempo rivale e partner fondamentale degli USA. Si fa dunque sempre più evidente un modello globale assolutamente schizofrenico.
La proiezione di potenza cinese vede nel Pacifico il suo sbocco naturale. Hanno suscitato parecchio rumore sui media i tre giorni di esercitazioni compiuti da mezzi navali ed aerei cinesi intorno a Taiwan. Dopo la proclamazione della Repubblica Popolare Cinese nel 1949, il Kuomintang si rifugiò sull'isola trasformandola in uno stato indipendente, mai riconosciuto dalla Cina (e anche dai quattro membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell'ONU), che continua tuttora a considerare il territorio taiwanese come una propria estensione.
Alle esercitazioni cinesi, meno intense rispetto a quelle dell'anno scorso quando la Speaker della Camera degli Stati Uniti, Nancy Pelosi, si recò in visita a Taiwan, sono seguite le manovre americane: mobilitazioni congiunte con le forze armate filippine che hanno visto lo schieramento di migliaia di uomini e di un cacciatorpediniere che, secondo la Cina, "è entrato illegalmente nelle acque vicino alla barriera corallina cinese di Meiji nelle Nansha (isole contese note anche come Spratly). Queste isole sono disputate da Vietnam, Filippine, Cina, Malaysia, Taiwan e Brunei. Sono un gruppo di atolli naturali e artificiali, alcuni dei quali costruiti da Pechino per piazzare basi militari in mezzo al Mare Cinese Meridionale.
La teleriunione di martedì sera, a cui si sono collegati 16 compagni, è cominciata con il commento dell'ultimo numero dell'Economist, che rappresenta in copertina i due pesi massimi USA e Cina intenti a combattere un match di pugilato ("Why the China-US contest is entering a new and more dangerous phase"). La preoccupazione del settimanale inglese riguarda il fatto che la ricerca del dominio militare intorno ad alcuni punti critici, come ad esempio Taiwan, provochi incidenti o scontri che possano sfuggire al controllo innescando processi catastrofici.
È notizia di questi giorni l'accordo tra le banche centrali di Brasile e Cina che consentirà ai due paesi di utilizzare le loro valute per gli scambi commerciali, bypassando l'uso del dollaro. In Rete circolano articoli di elementi di sinistra che valutano tale intesa come epocale, dato che aprirebbe la possibilità di una biforcazione storica: "di fronte alla crisi del ruolo dominante degli Usa dobbiamo scatenare la terza guerra mondiale o dobbiamo ricercare una nuova cooperazione tra i popoli e i paesi?" ("Brasile e Cina, perché l'accordo monetario che estromette il dollaro può sconvolgere il mondo", Paolo Ferrero)
In realtà, in regime capitalistico una cooperazione tra tutti gli stati è impossibile, così com'è impossibile la cooperazione tra tutte le aziende: la concorrenza non lo permette. Restando all'interno della presente forma sociale, non c'è soluzione alle contraddizioni che essa genera: "A causa della proprietà e dei confini nazionali ci sarà sempre la corsa al maggior accaparramento, la concorrenza sui mercati, l'utilizzo di eserciti regolari e irregolari, insomma la guerra fra capitalisti con qualunque aspetto essa si manifesti." ("Super-imperialismo?")
La teleriunione di martedì 28 sera, presenti 18 compagni, è iniziata riprendendo il tema della guerra in corso in Europa, fatto che per gli attori statali coinvolti e le forze in campo presenti non si verificava dalla Seconda Guerra Mondiale.
Gli analisti militari non sanno bene come inquadrare ciò che sta accadendo in Ucraina e quanto possa durare il conflitto. L'obiettivo della "operazione militare speciale", come l'ha definita Putin, era la sostituzione del governo di Kiev per mezzo di un colpo di mano dell'esercito ucraino con l'annessione definitiva da parte della Federazione Russa delle regioni dell'est del paese e della Crimea.
Ad un anno dall'inizio della guerra, le maggiori potenze hanno svuotato gli arsenali (NATO e Russia denunciano la carenza di scorte di armi e munizioni) e si trovano a doverne fabbricare di diversa qualità, visto che nel frattempo si sta verificando un cambiamento dei mezzi e dei fini della guerra. Uno dei problemi maggiori di questo conflitto riguarda i costi: un drone Bayraktar Tb2 turco costa da uno a 5 milioni di dollari, e un carro armato moderno come il Leopard 2 costa tra i 4 e i 6 milioni di euro. La produzione di Leopard e il trasferimento dei modelli più vecchi che giacevano nei magazzini rappresentano una scommessa soprattutto per la NATO, che deve decidere se in futuro avrà ancora senso continuare a produrne. Il drone, nato per recepire informazioni dal campo tramite filmati e foto dall'alto, si è trasformato in un vero e proprio aereo da guerra. La Russia ha ordinato alle proprie industrie la produzione di migliaia di missili ipersonici Zircon, ma resta da capire come saranno utilizzati dato che viaggiano a circa 10mila km l'ora e possono colpire un bersaglio a una distanza di mille chilometri.
La teleriunione di martedì sera, presenti 19 compagni, è iniziata commentando il numero 11/2022 di Limes, interamente dedicato alla situazione negli Stati Uniti d'America.
La tesi principale sostenuta dalla rivista di geopolitica è che gli USA sono un paese pericolosamente disunito, specialmente senza un nemico esterno riconoscibile che faccia da collante sociale. La guerra civile del 1861-1865 ha sì sancito l'unione degli stati federali, ma la nazione è rimasta fortemente divisa e perciò adesso rischia di spaccarsi. Questa divisione interna agisce profondamente e può essere riscontrata persino nei contrasti tra i vari servizi di sicurezza (FBI, CIA, ecc.). Milioni di americani vedono Washington come lontana sede della burocrazia, lo stato federale è percepito come un alieno e, secondo alcune frange della destra alternativa (ma non solo), come un nemico da combattere.
La parte interessante dell'editoriale della rivista ("Lezione di Yoda") è quella dedicata al ruolo delle forze armate statunitensi: non esiste alcun esercito che possa essere paragonato a quello americano e questo potrebbe diventare l'ago della bilancia in caso di una pesante crisi sociale. Secondo Limes, la tattica delle rivoluzioni arancioni, utilizzata dagli USA in giro per il mondo per rovesciare governi non graditi, potrebbe funzionare come un boomerang, e l'assalto a Capitol Hill ne è una prima dimostrazione. Il 40% degli americani, rilevano alcuni sondaggi, approverebbe un colpo di stato militare per stroncare la corruzione diffusa (il 54% sono elettori repubblicani e il 31% democratici). L'intelligence lavora costantemente con i wargame, le simulazioni di guerra al computer: chi opera per sventare colpi di stato o insurrezioni deve avere il polso della situazione. Lo Stato profondo, quello degli apparati, impegnato a mantenere la stabilità, proprio a causa della crisi di sistema in corso potrebbe diventare un elemento di instabilità. D'altronde, giunte ad un certo punto, le società sono costrette a rivoluzionarsi per non perdere ciò che hanno conquistato.
La teleriunione di martedì sera, presenti 17 compagni, è iniziata con alcune considerazioni riguardo la ripresa dei contagi in Cina.
La linea "zero Covid", ribadita all'ultimo congresso del PCC tenutosi ad ottobre, pare essere stata cancellata a favore di un più o meno esplicito "liberi tutti". Il presidente Xi Jinping, nel suo discorso introduttivo, aveva confermato gli sforzi del partito per la guerra popolare contro la Covid, ma le proteste scoppiate nel giro di poco tempo in tutto il paese, a partire dalla fabbrica della Foxconn a Shenzhen (un polo industriale dove sono concentrati circa 200mila operai) le cui immagini hanno fatto il giro del mondo, hanno portato ad una retromarcia. Di fronte alla crisi il governo cinese ha infatti deciso di ridurre le restrizioni e i controlli, favorendo però l'impennata dei casi e delle ospedalizzazioni, in particolare a Pechino, metropoli con oltre 20 milioni di abitanti: secondo alcune stime, la metà dei cittadini della capitale risulta positiva al virus. Varie simulazioni dimostrano che la nuova ondata di contagi potrebbe portare nei prossimi mesi a oltre un milione e mezzo di morti ("Our model shows that China's covid death toll could be massive", The Economist, 15.12.22). Il Dipartimento di Stato USA osserva con apprensione la situazione cinese, temendo una possibile catastrofe sanitaria e sociale. "Il numero di vittime del virus è motivo di preoccupazione per il resto del mondo, considerati le dimensioni del Pil della Cina e quelle della sua economia. Avere una situazione di maggiore forza rispetto al Covid non è solo una cosa positiva per la Cina ma anche per il resto del mondo", ha sottolineato Ned Price, portavoce del Dipartimento. La nuova gestione della pandemia colpisce nell'immediato la Cina, ma date le dimensioni del paese, se la situazione dovesse sfuggire di mano, le conseguenze sarebbero senza dubbio globali: il pianeta è piccolo, come diceva la nostra corrente. Dietro l'allentamento così repentino delle misure antivirus in Cina, c'è la paura di rivolte ma anche l'insostenibilità a livello economico dei continui lockdown; si sarebbero dunque messi in conto un paio di milioni di morti per salvare l'economia. D'altronde, il Capitale fa ballare tutti alla sua musica, compresa la Cina cosiddetta comunista.
La teleriunione di martedì 8 novembre, a cui hanno partecipato 16 compagni, è iniziata con alcune considerazioni riguardo la situazione politica e sociale negli USA.
Con le elezioni di midterm si rinnovano le due Camere del Congresso, il Senato e la Camera dei Rappresentanti. Si rinnovano quindi i 435 deputati e 35 dei 100 senatori, oltre a 36 governatori su 51. Diversi analisti politici descrivono una condizione di caos montante a causa della polarizzazione della società americana. La corrente a cui facciamo riferimento, nell'articolo "Raddrizzare la gambe ai cani" del 1952, diceva che il mondo borghese "cadrà in crisi se vi cade il formidabile sistema capitalistico con centro a Washington, che controlla i cinque sesti dell'economia matura al socialismo, e dei territori ove vi è proletariato salariato puro. La rivoluzione non potrà passare che da una lotta civile nell'interno degli Stati Uniti, che una vittoria nella guerra mondiale prorogherebbe di un tempo misurabile a mezzi secoli."
Dopo la Seconda guerra mondiale, nel piccolo raggruppamento di internazionalisti con base in Italia esistevano pruriti attivistici e alcuni pensavano di riproporre, tale e quale, la dinamica vista dopo il primo conflitto mondiale con la formazione del PCd'I. Bordiga sosteneva che alla data del 1920-1921 la Russia e l'Internazionale avevano dato tutto quello che potevano dare, e che quindi già all'epoca la situazione in Occidente era tutto fuorché rivoluzionaria; era perciò impossibile che nel secondo dopoguerra si ripresentasse qualcosa di simile agli anni '20, anche perché, nel frattempo, sistemi capitalistici come quello americano avevano impiantato basi militari ovunque (in primis in Italia e Germania), rinsaldando il loro dominio sul globo terracqueo. La rivoluzione, si diceva, era possibile solo quando sarebbe collassato quel sistema di potere, era quindi prioritario per i comunisti un "laborioso bilancio del disastro controrivoluzionario da esaminare, intendere ed utilizzare ad un totale riordinamento".
La teleconferenza di martedì sera, presenti 17 compagni, è iniziata commentando le ultime notizie riguardo alla guerra in Ucraina.
Trenta deputati del partito democratico americano hanno inviato una lettera al presidente Joe Biden con la richiesta di "raddoppiare gli sforzi per cercare un quadro realistico per un cessate il fuoco". I dem invitano l'amministrazione in carica a cambiare radicalmente la strategia sulla guerra in Ucraina, e sollecitano negoziati diretti con la Russia. I redattori della missiva sono una minoranza, ma questa iniziativa potrebbe determinare una spaccatura all'interno del partito proprio a ridosso delle delicate elezioni di midterm, quando è probabile che la maggioranza del Congresso passi ai repubblicani e che perciò l'approccio americano verso il conflitto in corso cambi. Una settimana fa il leader del Grand Old Party alla Camera, Kevin McCarthy, ha detto che in caso di vittoria del suo partito alle elezioni di medio termine "non ci saranno più assegni in bianco per Kiev".
Il fronte esterno di guerra influenza quello interno, e viceversa. Tutto va inquadrato alla luce della tensione sociale crescente negli Stati Uniti, anche per l'affare Trump. Sono infatti passate in sordina le perquisizioni dell'FBI nella casa dell'ex presidente, accusato di aver "volontariamente sottratto carte relative alla sicurezza nazionale Usa... nascosto o sottratto documenti pubblici" e "ostruito un'indagine federale". Gli apparati statali americani, che non sono così unitari come sembra, temono probabilmente che un'eventuale incriminazione di Trump per i fatti del 6 gennaio a Capitol Hill potrebbe scatenare movimenti di piazza da parte dei suoi sostenitori, i quali il più delle volte sono armati. Sui media americani si registra una certa apprensione verso certi eventi, come appunto le elezioni di midterm, che possono fare da catalizzatori per una resa dei conti tra gli opposti schieramenti.
La teleriunione di martedì sera, a cui hanno partecipato 18 compagni, è iniziata con alcune considerazioni in merito alla situazione in Iran, con particolare riferimento alla rivolta per l'uccisione da parte della polizia di una giovane donna rea di non indossare correttamente il velo.
La protesta scoppiata in questi giorni in molte piazze e università iraniane è solo l'ultima in ordine di tempo, da anni nel paese si susseguono ondate di sollevazione popolare a testimonianza di una situazione generalizzata di malessere sociale. L'Iran è un paese capitalistico, ma ha una sovrastruttura politica che potremmo definire semi-medievale. Anche il Movimento Verde, nato nel 2009 contro i brogli elettorali, mise in luce le contraddizioni in cui si dibatte il paese, che puntualmente provocano questo genere di mobilitazioni. Le motivazioni che spingono le persone a scendere in strada possono essere di vario tipo, ma alla base della protesta premono forze sociali che non lottano semplicemente per i "diritti" e che potrebbero imprimere un indirizzo anticapitalistico ("Quale rivoluzione in Iran?").
La teleriunione di martedì sera, connessi 16 compagni, è iniziata commentando gli ultimi sviluppi del conflitto in Ucraina.
La propaganda, da sempre un'arma fondamentale nella guerra, nell'epoca dell'informazione diviene ancor più importante. Le notizie che abbiamo a disposizione per capire quanto accade in Ucraina sono quelle prodotte dagli apparati di imbonimento ideologico, i quali spiegano poco o nulla di quanto sta succedendo sul campo. Esistono siti militari, come Analisi Difesa o Rivista Italiana Difesa, oppure riviste di geopolitica, come Limes, ma bisogna prendere con le pinze quanto scrivono. L'offensiva delle forze ucraine nella provincia nordorientale di Kharkiv sembra essere vittoriosa e secondo l'Economist ha portato alla riconquista di 1000 kmq quadrati di territorio e di decine di insediamenti. I media mainstream occidentali esultano per quella che sarebbe la prima vittoria significativa dell'Ucraina contro la Russia, perchè dimostra che l'esito del conflitto potrebbe cambiare di segno.
Durante la teleriunione di martedì sera, presenti 15 compagni, abbiamo discusso della condizione di crescente instabilità in cui versa il mondo.
Dal 31 agosto scorso il gasdotto Nord Stream 1, il più importante canale europeo per il rifornimento di gas naturale, è chiuso per un guasto ad una turbina; il portavoce del governo russo ha dichiarato che la riapertura, inizialmente prevista per il 2 settembre, non avverrà fino a quando non saranno revocate le sanzioni imposte al suo paese per la guerra in Ucraina, poiché esse impediscono che le operazioni di manutenzione delle unità si svolgano in sicurezza. Il blocco dei flussi di gas a tempo indefinito ha causato un'ulteriore impennata del prezzo della materia prima, la chiusura in forte calo delle borse europee, l'indebolimento dell'euro sul dollaro; e appare come una chiara risposta del Cremlino alla decisione dei paesi del G7 di introdurre un tetto massimo al costo del petrolio russo, e dell'Unione Europea di fare lo stesso per il prezzo del gas.
La crisi europea dell'approvvigionamento di gas sta provocando significative ripercussioni anche a livello sociale, e ha portato alla nascita di movimenti contro il caro energia e il carovita in diversi paesi dell'Unione. Il Civil Unrest Index (CUI), l'indice dei disordini civili stilato dalla società britannica di consulenza strategica Verisk Maplecroft, ha rilevato un aumento inedito del rischio di proteste e rivolte nel secondo e terzo trimestre dell'anno in corso. I dati, raccolti negli ultimi sette anni, individuano più della metà dei paesi presenti nella CUI, 101 su 198, come ad alto o estremo rischio, indicando per i prossimi sei mesi un ulteriore deterioramento dovuto all'impatto dell'inflazione, superiore al 6% nell'80% dei paesi di tutto il mondo, sul prezzo degli alimenti di base e dell'energia. I fari sono puntati sull'Algeria, dove inflazione e siccità hanno colpito duramente la popolazione, ma nell'elenco vengono associati anche paesi che a prima vista hanno poco in comune: Bosnia ed Erzegovina, Svizzera, Paesi Bassi, Germania e Ucraina sono tra gli stati con il maggiore aumento di rischio previsto. Inoltre, tra gli stati maggiormente esposti ad un'ondata di proteste ci sono quelli a reddito medio, che durante la pandemia sono riusciti ad approntare misure di protezione sociale e ora stanno tentando di mantenere alti i livelli di spesa: Bolivia, Egitto, Filippine, Suriname, Serbia, Georgia, Zimbabwe e Bosnia ed Erzegovina.
Durante la teleriunione di martedì sera abbiamo discusso della situazione interna degli Stati Uniti.
Come già accennato negli incontri precedenti, il fronte interno americano appare estremamente polarizzato. Diversi osservatori borghesi ritengono che il rischio di una guerra civile sia molto elevato e temono che le elezioni presidenziali del 2024 possano rappresentare un'ulteriore spinta in questa direzione. Ultimamente The Economist ha pubblicato un'indagine sulla riorganizzazione della destra "alternativa" americana dopo l'assalto a Capitol Hill ("The insurrection failed. What now for America's far right?"). L'articolo è incentrato sulla figura di Ammond Bundy, candidato alla carica di governatore dell'Idaho, fondatore di People's Right, una rete di persone in difesa delle libertà individuali, noto soprattutto per aver guidato degli scontri armati contro il governo federale nel 2014 e nel 2016 raccogliendo intorno a sé numerosi sostenitori. Secondo il settimanale inglese, l'evoluzione di Bundy è paradigmatica e riflette quanto sta accadendo a buona parte dei gruppi e delle milizie di destra dopo il 6 gennaio 2021, e cioè la fusione con la politica ufficiale, in parte incentivata dalle centinaia di richieste di carcerazione per l'assalto al Campidoglio.
La perquisizione da parte dell'FBI presso la tenuta di Donald Trump in Florida dimostra che la profonda spaccatura che attraversa la società americana giunge fino agli apparati statali, in scontro fra loro. Il confine tra le aggregazioni antigovernative ed estremiste di destra e il partito repubblicano è sempre più sfumato. In una recente indagine i ricercatori di Ihrer hanno analizzato i profili Facebook dei 7.383 legislatori statali in carica nel 2021 e nel 2022, e hanno scoperto che il 12% di essi e il 22% di quelli repubblicani appartenevano ad almeno un gruppo social di estrema destra. Ma l'Alt Right americana non è un insieme omogeneo, assembra invece formazioni eterogenee, anche in contrasto: gli Oath Keepers annoverano tra i loro ranghi ufficiali di polizia e militari, i Boogaloo Bois sono ostili alle forze dell'ordine, i Proud Boys sono combattenti di strada, il gruppo di People's Right giustifica le proprie azioni con la Costituzione o la Bibbia. Uno dei principali punti di forza di quest'ultima è la disponibilità a muoversi e a radunarsi "su chiamata" in sostegno ai propri membri contro quelli che ritengono soprusi dello stato federale.
Abbiamo iniziato la teleriunione di martedì 10 maggio, a cui si sono collegati 24 compagni, prendendo spunto da una e-mail circolata nella nostra rete di lavoro in merito al mercato mondiale e alle problematiche che stanno emergendo.
Quando è iniziata la guerra in Ucraina, comprendere le motivazioni reali che stavano dietro all'esplosione del conflitto poneva delle difficoltà. Avevamo detto che col tempo si sarebbe chiarito tutto e, in effetti, a distanza di due mesi e mezzo risulta più facile inquadrare i fatti. Elenchiamone alcuni: 1) non si tratta tanto di una guerra tra Russia e Ucraina ma tra Usa e Russia e, presa di mezzo, Europa; 2) come nota Limes, la pace è finita, e questo dipende da una serie di fattori concatenati che indicano un sobbollimento generale dovuto alla crisi del capitalismo senile; 3) il controllo del mondo da parte degli Usa mostra segni di debolezza. Gli Stati Uniti vivono grazie ai flussi di valore che arrivano dal resto del pianeta e, data questa struttura materiale del capitalismo, la loro guerra è, per forza di cose, contro il mondo intero.
I processi di autonomizzazione monetaria sono la diretta conseguenza dell'indebolimento della dittatura del dollaro sul mercato mondiale. L'India ha annunciato di aver iniziato ad acquistare petrolio russo pagandolo in rubli; alla dichiarazione è seguita quella, piuttosto minacciosa, dell'amministrazione Usa che ha ricordato al governo indiano le ripercussioni a cui vanno incontro ignorando le sanzioni contro il paese nemico. Voci sempre più insistenti parlano di una nuova moneta commerciale con cui Russia e Cina intendono sostituire il dollaro ("L'economia e la guerra. Il mondo rischia di spaccarsi anche sul fronte della moneta", L'Avvenire).
La teleriunione di martedì sera, presenti 20 compagni, è iniziata prendendo spunto da un articolo del Il Fatto Quotidiano a firma del generale Fabio Mini: "Salvare la dittatura del dollaro: la vera guerra di resistenza USA" (16 aprile 2022). Nel testo viene citato l'ultimo libro del generale cinese Qiao Liang, L'arco dell'impero, con la Cina e gli Stati Uniti alle estremità, che tratta, tra le altre cose, della "invenzione della finanza Usa che riesce a staccare la moneta dalla realtà economica e da qualsiasi valore oggettivo di riferimento e convertibilità".
Per spiegare le origini del conflitto in Ucraina Mini ricorda alcuni fatti salienti che hanno segnato il corso del capitalismo, in primis la strabiliante capacità degli Usa di colonizzare finanziariamente il mondo. Nel 1944, con gli accordi di Bretton Woods, il dollaro diventa la moneta utilizzata per i maggiori scambi commerciali mondiali, nel 1971 si sgancia dall'oro e successivamente, con Nixon, si lega al petrolio (Petrodollaro). Nel 2000 Saddam Hussein annunciò di voler vendere petrolio iracheno in euro, qualcosa di simile dichiarò anche Gheddafi; sappiamo che fine hanno fatto i due leader. Oggi, dice Mini, si stanno formando unioni economico-commerciali (Eaeu, Bri) che mettono a repentaglio il dominio del dollaro; il conflitto in Ucraina è quindi l'ultimo episodio della politiguerra americana al mondo, tesa a mantenere l'egemonia del capitale a stelle e strisce. Le "guerre senza fine" del Pentagono, scrive il generale Qiao, sono progettate per garantire "che non solo i dollari fluiscano senza problemi fuori dal Paese (sotto forma di cessioni finanziarie e di crediti), ma anche che il capitale in movimento nel mondo torni negli Stati Uniti".
Da segnalare anche l'interessante intervista di Giulio Chinappi a Gal Luft, consulente senior del Consiglio per la sicurezza energetica degli Stati Uniti ("Gli USA, la guerra nucleare finanziaria contro la Russia e il nuovo ordine finanziario globale").
La teleriunione di martedì sera, a cui si sono collegati 20 compagni, è iniziata dal commento della video-presentazione del nuovo numero di Limes intitolato "La fine della pace" (3/22).
Nel corso dell'analisi, il direttore Lucio Caracciolo afferma che la guerra in Ucraina chiude irreversibilmente la fase cosiddetta pacifica che si è avuta in Occidente dopo la Seconda guerra mondiale, e apre allo scontro tra due grandi paesi: la Russia, che combatte sul terreno ucraino, e l'America, che utilizza forze altrui sul campo di battaglia. Tra le conseguenze del conflitto la possibile disgregazione della Federazione Russa, che porterebbe ad uno scenario pericolosissimo per l'intera area centro-asiatica data la presenza sul territorio russo di migliaia di testate nucleari.
A nessuno conviene una balcanizzazione della Russia, anche perché essa potrebbe scatenare il caos all'interno del paese e non solo. Va ricordato che, nonostante gli ultimi eventi, Russia e Usa continuano la collaborazione bellica in Siria e i negoziati sull'Iran. I due paesi non sono diretti concorrenti e, dal punto di vista della possibile interruzione dell'importazione del gas, a soffrirne sarebbero maggiormente gli stati europei. Questa è una guerra al cuore dell'Europa, non dell'Ucraina, e chi la sta combattendo sono in primis gli Usa.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 25 compagni, è iniziata riprendendo l'argomento toccato in chiusura della scorsa riunione, ovvero la teoria della rendita agraria e immobiliare nel moderno capitalismo in relazione al conflitto in Ucraina, che ormai coinvolge, a diversi livelli, tutto il mondo.
Gli attori che giocano a questo wargame sono tanti, ma in testa ci sono le potenze maggiori. Abbiamo parlato della rendita partendo dal problema della fornitura del gas russo, dato che Mosca ha paventato la possibilità di interrompere i flussi verso l'Europa, evento che innescherebbe conseguenze dal punto di vista politico, economico e sociale. La Russia ha comunicato ai paesi ritenuti ostili, quelli che hanno messo in atto delle sanzioni, che se vogliono continuare ad acquistare gas russo dovranno pagarlo in rubli; e a quelli ritenuti amici, che sta valutando se accettare pagamenti in bitcoin.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 20 compagni, è stata dedicata nuovamente a quanto sta accadendo sul territorio ucraino.
Almeno dalla Comune di Parigi, i comunisti in Europa sanno che non si deve parteggiare per questa o quell'altra fazione borghese, per questo o quell'altro governo, ma che bisogna contare solo sulle proprie forze, sulle forze della propria classe. E in caso di guerra la consegna per i militanti è quella di praticare il disfattismo rivoluzionario (con scioperi, manifestazioni, ecc.), cioè l'opposizione attiva e operante ad ogni sforzo bellico del proprio paese.
La borghesia è la classe che detiene il potere ed essa deve difenderlo. Il proletariato per sua natura non ha nulla da difendere (Manifesto) e qualsiasi movimento intraprenda è sempre all'attacco: in quanto classe "oppressa", può solo pretendere di più rispetto a ciò che ha, e di fronte alla guerra deve rigettare le ideologie pacifiste e difesiste. Nel filo del tempo "Onta e menzogna del "difesismo"" (1951) si afferma:
"Ininterrottamente, coerentemente, da Marx a Lenin, i rivoluzionari socialisti non hanno mai ricalcata la balorda figura borghese dello 'scongiuratore di guerre', scemo quanto impotente, ma si sono preparati ad essere, nel senso rivoluzionario, opposto a quello del superimperialismo, i 'profittatori di guerra'. Lenin eresse la dottrina del disfattismo e la condusse ad una clamorosa vittoria storica... Quando i partiti proletari sono stati, ad opera del tradimento, messi a 'desiderare' la vittoria di alcuni governi, e a combattere per essi, le forze della rivoluzione mondiale sono andate in rovina."
Durante la teleconferenza di martedì sera, connessi 20 compagni, abbiamo discusso di quanto sta accadendo in Ucraina.
Un compagno ha segnalato un video su Youtube nel quale viene proposta un'analisi di natura sia tecnica che strategica dei gasdotti sottomarini che dalla Russia, attraverso il Mar Baltico, pompano gas in Germania, in relazione al fatto che gli Stati Uniti non vedono favorevolmente un avvicinamento tra Berlino e Mosca.
Subito dopo il riconoscimento da parte della Russia degli stati separatisti del Donbass (Lugansk e Doneck), il neocancelliere tedesco Scholz ha dovuto annunciare lo stop al progetto del gasdotto Nord Stream 2. Nel discorso alla nazione Putin ha affermato che "l'Ucraina non è un Paese confinante, ma parte integrante della nostra storia, cultura, spazio spirituale". E ha aggiunto: "Sono nostri compagni, spesso gli ucraini stessi si considerano parte della Russia, siamo uniti da sempre".
Il generale Von Klausewitz diceva che "la guerra è un atto di forza per costringere l'avversario a sottomettersi alla nostra volontà". Ovviamente, non viene precisato come si debba concretizzare l'atto di forza, ma soltanto che la forza è il mezzo e la sottomissione dell'avversario è lo scopo. Nel testo della nostra corrente "Forza, violenza, dittatura nella lotta di classe" (1946-48) si afferma che non c'è bisogno di veder scorrere il sangue perché ci sia violenza, poiché essa nella maggior parte dei casi raggiunge il suo scopo rimanendo allo stato potenziale.
La teleriunione di martedì sera, presenti 20 compagni, è iniziata commentando gli sviluppi della situazione di tensione determinatesi in Ucraina.
La Russia non può perdere la sua influenza sull'Ucraina. Se ai confini occidentali essa vede crescere l'ascendente dei paesi della Nato, a oriente assiste al grandeggiare della Cina, mentre a sud, verso l'Hearthland, registra una situazione di crescente instabilità (vedi Kazakistan). Almeno dal 2013, dalla rivolta di Euromaidan, l'Ucraina è al centro di uno braccio di ferro tra Occidente e Oriente; allora fu la sospensione da parte del governo ucraino dell'accordo di libero scambio con l'Unione europea a sollecitare lo scontro sociale nel paese, che portò prima manifestazioni pro-europee e poi all'intervento della Russia nella regione del Donbass e all'annessione della Crimea. L'entrata dell'importante paese dell'Europa orientale nella NATO, con i suoi 600 mila kmq e con oltre 40 milioni di abitanti (è l'ottavo paese per numero di abitanti in Europa), sarebbe considerata da Mosca come un atto ostile da parte degli Stati Uniti.
Diversi osservatori di geopolitica hanno dato una lettura dei fatti ucraini utilizzando come paradigma lo scenario della Jugoslavia degli anni '90, ma ampliato al mondo intero, cioè ipotizzando una balcanizzazione del pianeta. Durante quel conflitto il vero obiettivo degli Stati Uniti era contenere la Germania che si stava espandendo commercialmente e politicamente verso l'area balcanica. In Slovenia, in Croazia, e persino in Serbia, prima del collasso jugoslavo circolava da tempo il marco tedesco come moneta parallela al dinaro. Va poi ricordato che durante la guerra le forze della NATO lanciarono numerosi attacchi aerei, uno dei quali colpì "incidentalmente" l'ambasciata cinese di Belgrado. Secondo gli osservatori, l'Ucraina è il classico vaso di coccio tra vasi di acciaio, e l'obiettivo degli Usa è impedire un avvicinamento tra la Germania, paese esportatore netto di merci e capitali, e la Russia, che esporta gas e materie prime ma non possiede una struttura produttiva e finanziaria in grado di impensierire seriamente gli Stati Uniti. Cresce la pressione a stelle e strisce sulla Germania per fermare il progetto del gasdotto Nord Stream 2, che mira a raddoppiare la portata del gasdotto Nord Stream 1, in funzione dal 2011. Entrambi i gasdotti sono offshore e collegano direttamente il paese con la Russia passando sotto al Mar Baltico. Se Nord Stream 2 (la cui costruzione è iniziata nel 2018 ed è terminata nel settembre del 2021) diventerà operativo, consentirà alla Germania una maggiore indipendenza sul mercato energetico europeo.
La teleconferenza di martedì sera, connessi 17 compagni, è iniziata con la segnalazione di alcuni articoli di giornale in merito alla pagina del social network Reddit "Antiwork: Unemployment for all, not just the rich!" (Antilavoro: disoccupazione per tutti, non solo per i ricchi!).
Qualche settimana fa abbiamo affrontato il tema delle grandi dimissioni negli Stati Uniti e in Europa, un fenomeno acutizzatosi con la pandemia e che riguarda milioni di persone; sui media mainstream si individua la causa di quest'ondata di rifiuto del lavoro nei sussidi o nei redditi di cittadinanza troppo generosi, elargiti dagli stati. Ma quando è la stessa società capitalistica a liberare forza lavoro in modo irreversibile, offrendo lavoretti malpagati e precari, c'è poco da dire: lavorare diventa una dannazione. Il gruppo R/Antiwork è nato nel 2013, contando per alcuni anni su circa 100mila iscritti, ma poi nel settembre-ottobre del 2021, proprio in parallelo alla grande ondata di scioperi negli Usa, il numero dei sostenitori è schizzato in alto, arrivando a 1,3 milioni. La pagina raccoglie storie di disoccupati, di lavoratori provati da turni massacranti, di lavoro precario e di vita senza senso; ma non si tratta solo di uno sfogatoio, è anche un luogo di incontro e di coordinamento (vedi campagna #BlackoutBlackFriday). Fino a pochi anni fa parlare di lotta contro il lavoro era appannaggio di qualche sparuta minoranza di anarchici o marxisti, oggi sta diventando un fenomeno di massa.
La teleconferenza di martedì sera, connessi 17 compagni, è iniziata commentando gli ultimi sviluppi del conflitto in Afghanistan.
La condizione in cui versa il paese asiatico non è importante in sè, ovvero per la delicata situazione interna, ma per i risvolti internazionali. L'Heartland è un'importante crocevia, è il cuore del mondo, così come lo definiva il geografo Mackinder.
Prima l'Inghilterra, poi la Russia, ed infine gli Usa si sono impantanati in questo territorio difficile da controllare soprattutto per la sua conformazione: appostati all'imboccatura delle valli, bastano pochi uomini per fermare una colonna corazzata (come ha potuto verificare l'esercito russo). Durante la loro permanenza, gli Stati Uniti hanno provato a stanare i guerriglieri dalle grotte utilizzando Daisy Cutter (in italiano taglia margherite), una tipologia di ordigno noto per la sua capacità di radere al suolo una sezione di bosco di circa 1500 m.
La teleconferenza di martedì sera, a cui si sono collegati 22 compagni, è iniziata con alcune considerazioni riguardo i recenti avvenimenti negli USA, con particolare riferimento all'assalto al Campidoglio a Washington il 6 gennaio scorso.
Nel secondo dopoguerra la nostra corrente ha scritto molto sugli Stati Uniti e sul loro ruolo di gendarme del capitalismo (materiale raccolto nel quaderno America). Vinta la seconda guerra mondiale, hanno annientato l'influenza delle vecchie nazioni imperialiste europee cacciando i colonialismi francese e soprattutto inglese dal nord Africa e dal Medioriente, e posizionando le loro portaerei ovunque. Produttori per lungo tempo di oltre metà del PIL globale, oggi invece ne rappresentano il 20%. La potenza egemone, e sappiamo che non si può parlare dello stato americano e del suo divenire senza parlare della salute del capitalismo intero, sta perdendo energia e vede mutato il suo rapporto con il resto del mondo a livello economico e militare. In Afghanistan si è ritirata accordandosi con i talebani, e in Iraq, dopo il disfacimento dello stato centrale, ha dovuto fare i conti con lo Stato Islamico. Insomma, la crisi degli USA è una delle varie tappe della più generale crisi sistemica del modo di produzione attuale.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 22 compagni, è iniziata con alcune considerazioni riguardo la pandemia, con particolare riferimento ad un articolo del Corriere della Sera, "Covid, 7 principi razionali per un cambio di passo" (2.11.20), di Alessandro Vespignani e Paolo Giordano.
Nello scritto vengono individuati sette principi per affrontare in modo razionale la pandemia in corso: 1) la centralizzazione dell'informazione e delle decisioni; 2) la granularità, ovvero l'esigenza di flessibilità del sistema sanitario; 3) la presenza di automatismi per il contrasto alla circolazione del virus, "senza lo stillicidio dei veti incrociati e delle consultazioni, che ritardano e depotenziano gli interventi"; 4) un coordinamento nazionale per la raccolta delle informazioni, "perché nei dati ci sono verità importanti da estrarre, istruzioni su come procedere"; 5) la trasparenza sui dati, sulle proiezioni e sulle decisioni, "altrimenti ogni opinione è dettata dal pregiudizio personale, i dibattiti girano a vuoto"; 6) una comunicazione lontana dai talk show, una voce unica "che sappia opporsi autorevolmente alla disinformazione"; 7) il coinvolgimento dei cittadini in un percorso di contenimento della pandemia ben definito, in modo che essi non siano considerati "soggetti passivi che mettono o no la mascherina, che si comportano bene o male o così così, e poi subiscono le conseguenze delle loro mancanze".
La teleconferenza di martedì sera, presenti 17 compagni, è iniziata con il commento di alcune notizie di carattere finanziario.
Apple "vale" in Borsa circa 2mila miliardi di dollari, quanto il PIL italiano. Insieme a Facebook, Amazon, Microsoft e Google, è giunta a totalizzare il 20% del valore dell'intero indice Standard & Poor's 500, stabilendo un record assoluto. Le cosiddette Big Five valgono ormai oltre 5 mila miliardi di dollari, più dei PIL di Italia e Francia messi insieme. A differenza delle acciaierie del XVIII e XIX secolo, dove migliaia e migliaia di operai lavoravano gomito a gomito, le aziende moderne, e soprattutto quelle che hanno saputo cavalcare la trasformazione digitale dell'economia, hanno pochi dipendenti e fanno profitti muovendo merci virtuali e smaterializzate. Queste corporation hi-tech sono diventate dei centri di attrazione per il capitale fittizio, anonimo e internazionale, accrescendo la loro potenza e arrivando ad influenzare le scelte dei governi. Alcuni economisti lanciano l'allarme evidenziando la pericolosa contraddizione tra la frenetica attività della finanza e l'asfittica situazione in cui versa l'industria ("Parmalat, tentata fuga dalla legge del valore").
Gli stati non hanno alcuna possibilità di invertire la tendenza alla centralizzazione: il capitale domina sulla politica e sui governi, e non viceversa. A fare la differenza è il volume di denaro messo in campo dalle mega-aziende. Negli Usa l'insider trading, ovvero lo sfruttamento di informazioni non di dominio pubblico la cui divulgazione provoca effetti nelle quotazioni di titoli, è punito per legge. Il visionario imprenditore Elon Musk, a capo di un impero economico, è famoso per provocare con i suoi tweet confusione in borsa, in barba alle regole. Le cifre in ballo sono talmente alte che qualsiasi multa della SEC (Securities and Exchange Commission) non preoccupa più di tanto questi colossi aziendali, che continuano a fare il bello e il brutto tempo.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 20 compagni, è iniziata con l'analisi degli ultimi dati macroeconomici, a cominciare da quelli degli Usa.
Secondo un recente articolo del Sole 24 Ore ("Stati Uniti, il Pil crolla del 32,9% nel secondo trimestre, record dal Dopoguerra"), "l'economia americana nel secondo trimestre ha sofferto una contrazione record del 32,9% su base annuale, paralizzata dallo shock della pandemia da coronavirus e dei lockdown delle attività per cercare di arrestarla. Anche considerando la contrazione dell'output tra aprile-giugno rispetto al primo trimestre dell'anno, anziché la tradizionale misura che proietta i dati nel corso di un intero anno, il crollo è stato ugualmente di dimensioni storiche, pari al 9,5 per cento."
L'andamento trimestrale dell'economia viene calcolato al fine di fare una previsione sul PIL annuale, considerando anche la possibilità di recupero in base alla capacità produttiva del sistema-paese. Il calo del 32,9%, anche solo per un trimestre, è un dato spaventoso, soprattutto se confrontato con il -8% raggiunto nel quarto trimestre del 2008, l'anno del grande crack economico scatenato dalla crisi dei mutui subprime. Va ricordato che oggi l'ammontare dei titoli subprime è quasi nullo rispetto alla liquidità immessa nel sistema dalle banche centrali negli ultimi anni.
Durante la teleconferenza di martedì sera, a cui si sono connessi 16 compagni, abbiamo parlato delle manifestazioni in corso negli Stati Uniti.
Dopo Washington, Seattle, Atlanta e New York, oggi è Portland il cuore delle mobilitazioni, giunte alla 59esima giornata consecutiva. In città la tensione è cresciuta in seguito all'arrivo di squadre di agenti federali, sotto il controllo diretto del governo nazionale, che stanno reprimendo le proteste e fermando i manifestanti con modalità, secondo molti osservatori, al limite della legalità.
Nell'articolo "Teoria e prassi della nuova politiguerra americana" avevamo scritto del processo di militarizzazione della polizia teso a contenere le rivolte nel "ventre della balena". Il moto storico vede l'esercito americano svolgere sempre più un ruolo di gendarme mondiale, mentre la polizia interna assume caratteristiche militari ed individua come nemico la popolazione. I contractor, agenti pagati da società private, vengono utilizzati in scenari di guerra come l'Iraq o l'Afghanistan, ma ormai anche nelle metropoli occidentali. Il fronte interno della collaborazione di classe diventa sempre più problematico per la borghesia americana, e non solo.
La teleconferenza di martedì sera, a cui si sono collegati 23 compagni, è iniziata con alcune considerazioni riguardo i nuovi focolai di Covid-19.
In Germania, nel Nord-Reno Westfalia, è stato messo in lockdown il distretto di Guetersloh in seguito alla scoperta di centinaia di contagiati tra i dipendenti del mattatoio dell'azienda Tönnies. Nei luoghi in cui si macella la carne le temperature sono sempre molto basse e costituiscono l'ambiente ideale per la proliferazione dei virus. Inoltre, i lavoratori dell'azienda tedesca, per lo più immigrati, lavorano e vivono in condizioni bestiali, ammassati a decine in appartamenti con un solo bagno (Corriere della Sera , 23 giugno 2020, "Coronavirus, in Germania riscatta il lockdown per 560.000 persone dopo il focolaio nel mattatoio Tönnies")
Anche in Portogallo l'aumento del numero dei malati ha portato il governo a chiudere nuovamente la regione di Lisbona, la più piccola ma la più popolosa del Paese, che negli ultimi giorni ha registrato picchi di contagio. La pandemia è tutt'altro che sotto controllo, soprattutto negli Stati Uniti e in America Latina dove i numeri continuano a salire: in Brasile sono stati superati il milione di casi e i morti sono 50mila. Si aggiungono poi le nuove ondate di contagi in Corea del Sud e Cina. A Pechino è stato scoperto un focolaio in un mercato e diversi distretti della capitale sono stati messi in lockdown.
La teleconferenza di martedì sera, a cui si sono collegati 26 compagni, è iniziata commentando le recenti manifestazioni negli Usa.
L'omicidio di George Floyd da parte della polizia a Minneapolis, filmato in diretta e circolato sui social network, ha dato il via a tumulti in decine di metropoli americane. Evidentemente, l'uccisione dell'afroamericano non basta a spiegare il fatto che da una settimana gli Stati Uniti sono alle prese con saccheggi e disordini, che hanno portato al coprifuoco in diverse città, alla mobilitazione della Guardia Nazionale, e all'ipotesi, ventilata dal presidente Trump, di far intervenire l'esercito. Durante la scorsa teleriunione avevamo parlato delle proteste in Cile e in Ecuador, a distanza di pochi giorni, tocca al gigante a stelle e strisce fare i conti con il marasma sociale (gli arresti dall'inizio dei tumulti sono stati quasi 10.000). A non funzionare più è il capitalismo, e l'accumulo continuo di contraddizioni trova una soluzione di tipo discontinuo. Nei cortei che in questi giorni hanno riempito le strade di Minneapolis, Washington, New York, Los Angeles, Atlanta, Chicago, ecc., non c'erano solo afroamericani, ma anche ispanici e bianchi; sull'onda di queste rivolte sono poi scattate partecipate manifestazioni di solidarietà in Canada, Nuova Zelanda, Germania, Inghilterra, e in molti altri paesi ancora. Il mondo intero è attraversato da un malessere che ha cause ben più profonde di quelle che appaiono sui cartelli dei manifestanti o sui titoli dei giornali. Quello in corso è un fenomeno globale.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 15 compagni, è iniziata con alcune considerazioni riguardo l'attacco missilistico americano vicino all'aeroporto di Baghdad, che è costato la vita al generale iraniano Qassam Soleimani e alla sua scorta.
Contrariamente a quanto affermato dal settimanale l'Internazionale, gli Stati Uniti non hanno iniziato con questa azione una guerra contro l'Iran, dato che un conflitto è già in corso da tempo: nel mondo globalizzato d'oggi la guerra esiste sempre, anche quando tacciono i cannoni. Nell'articolo "Dall'equilibrio del terrore al terrore dell'equilibrio", analizzando le trasformazioni avvenute negli ultimi cinquant'anni, abbiamo scritto che "la guerra all'ultimo sangue tra concorrenti non avviene più per conquistare aree di sbocco alle proprie merci e capitali ma per ripartire il plusvalore prodotto in un mondo ormai interamente conquistato dal Capitale."
Soleimani rappresentava un importante hub nella rete di rapporti che l'Iran ha costruito negli anni in Libano, Yemen, Siria e Iraq, ottenendo risultati militari e politici non indifferenti. Il missile che ha colpito il suo generale nella capitale irachena è quindi un avvertimento, al quale potrà rispondere solo con azioni simboliche, o al massimo creando fastidi intorno all'importante stretto di Hormutz. Ma in ogni caso non potrà pestare troppo i piedi agli Stati Uniti, per il semplice motivo che non ne ha la forza.
La teleconferenza di martedì sera, a cui hanno partecipato 16 compagni, è iniziata riprendendo alcune considerazioni fatte durante la scorsa teleconferenza in merito alla formula del saggio di plusvalore.
Pv/v: il saggio di sfruttamento si stabilisce dividendo il plusvalore (Pv) per il capitale variabile (v, i salari). Ne deriva che quando il salario è pari a zero, ad esempio nel caso di stage gratuiti, volontariato mascherato, o corsi di formazione non retribuiti, la quantità di plusvalore prodotta è teoricamente infinita.
Ciò ha a che fare con la parabola storica del plusvalore. Seguendo lo schema di Marx, la legge del valore può essere dedotta da un modello elementare: 1) che vi sia all'inizio una società in cui gli uomini producono con il solo intervento delle loro mani e consumano tutto ciò che producono (le classi sono ancora inutili); 2) che vi sia alla fine una società che non produce nulla tramite uomini, dove però essi consumano lo stesso tutto ciò che producono (le classi sono diventate inutili). In entrambi i casi abbiamo zero plusvalore. La prima società non è ancora capitalistica, la seconda non lo è più.
Nell'epoca schiavistica non si realizzava sistematicamente plusvalore, ma veniva messo in atto una specie di accantonamento da parte del proprietario degli schiavi. Nel Capitale e nei Grundrisse Marx spiega che, maturando il capitalismo, viene negata la legge del valore, perché la scienza e la tecnica tendono a sovrastare il lavoro vivo mettendo in seria crisi il Sistema.
La teleriunione di martedì scorso è cominciata con la segnalazione da parte di uno dei compagni collegati (12 in totale) della proliferazione su YouTube di filmati tesi a dimostrare che il crollo del ponte Morandi di Genova non è avvenuto accidentalmente ma sarebbe invece un fatto voluto. Questo genere di video, visualizzati in breve tempo da decine di migliaia di persone, rientra nel fenomeno, già visto in passato in occasione dell'attentato alle Torri Gemelle o, ancor prima, dello sbarco sulla Luna, della diffusione di teorie strampalate solitamente a sostegno di una visione più o meno complottista dell'ordine delle cose.
Il Web è lo specchio della società e quindi in esso non possiamo che trovare tutto quello che esiste nel mondo, compresa la vita senza senso alimentata dal capitalismo. Questa sorta di grande magazzino globale contrasta con l'idea, propria di molti intellettuali, della profondità della cultura accademica. Secondo tale schiera di pensatori, solo esperti o specialisti dovrebbero potersi esprimere su determinati argomenti, mentre il resto dell'umanità dovrebbe limitarsi ad esternare le proprie "opinioni" al bar. Tra questi spicca Umberto Eco che, contraddittoriamente, nel suo "Ur-fascismo" non riesce ad approfondire il tema preso in esame, ma si limita a fornire una lista di caratteristiche estetiche e morali del fascismo (la camicia nera, l'autoritarismo, il culto della tradizione, il culto dell'azione, ecc.), tralasciando l'analisi della società e dei rapporti di produzione che produsse quel tipo di governo. Evidentemente, all'esimio professore era sfuggito che negli anni '20 del '900 tutto il mondo volgeva lo sguardo, avvicinandosi, al fascismo, un movimento internazionale - così come lo definisce la nostra corrente - capace di dar vita a numerose correnti nazionali che discutevano e dibattevano tra loro. Solo per citare alcuni tra i nomi più conosciuti, ricordiamo il tedesco Werner Sombart e il belga Henri de Man, a cui si aggiungono i collegamenti con alcuni esponenti russi sviluppati durante l'importante congresso di Amsterdam del 1931 e i progetti di programmazione economica.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 13 compagni, è iniziata commentando due articoli pubblicati sull'edizione del 28 luglio di The Economist dedicata alla nuova via della Seta cinese: la Belt and road initiative (BRI).
Nel primo articolo, "China's belt-and-road plans are to be welcomed-and worried about", viene evidenziato il fatto che il progetto si configura come qualcosa di più rispetto ad una rete stradale e navale da e verso Pechino. Anche se per ora non sono chiare le strategie di investimento sia in termini di cifre sia per quanto riguarda le rotte commerciali e i relativi accordi bilaterali, la Cina descrive la BRI come un piano globale, programmando la costruzione di una "Pacific Silk Road" verso l'Oceano Pacifico, di una "Via della seta sul ghiaccio" attraverso l'Oceano Artico, e di una "Via della seta digitale" nel cyberspazio. "I paesi desiderosi dei finanziamenti cinesi", scrive The Economist, "accolgono il progetto come fonte di investimenti nelle infrastrutture tra Cina ed Europa, passando per Medio Oriente ed Africa. Quelli che temono la Cina lo vedono invece come un sinistro piano teso a creare un nuovo ordine mondiale in cui il Dragone è il potere preminente." "La BRI rappresenta", conclude l'articolo, "un motivo in più per l'America per rimanere in Asia". La Cina tenta di espandere maggiormente la sua sfera d'influenza e lo fa a partire proprio da quell'heartland (il cuore del mondo) che, secondo la teoria del geografo e diplomatico inglese H. Mackinder, è essenziale per chiunque voglia prendere il controllo del pianeta.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 13 compagni, è iniziata dal commento di alcune notizie provenienti dagli Stati Uniti.
Nei giorni scorsi un'ondata di indignazione internazionale si è sollevata in seguito alla diffusione di un audio con le voci dei bambini imprigionati nei campi di detenzione al confine tra Messico e Usa, dove vengono separati dai genitori migranti. Va detto che la politica contro gli immigrati non riguarda specificatamente l'amministrazione Trump, in quanto questi centri, gestiti dall'agenzia federale statunitense United States Immigration and Customs Enforcement (ICE), sono attivi almeno dal 2003. Nei primi mesi in cui è entrato in carica il nuovo esecutivo, però, si è registrato un boom di arresti dei migranti non in regola con i documenti:
"A dirlo sono i dati ufficiali diffusi mercoledì dalla Immigration and Custom Enforcement (ICE), l'agenzia federale responsabile del controllo della sicurezza delle frontiere e dell'immigrazione negli Stati Uniti. Secondo quanto riporta Usa Today, citando i dati diffusi dall'agenzia, nel periodo compreso tra il 22 gennaio e il 29 aprile, sono finiti in manette 41.318 immigrati, per una media di 400 arresti al giorno. Un numero che è aumentato del 38% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente." ("La stretta di Trump sui clandestini: boom di immigrati irregolari arrestati", il Giornale.it del 18.5.17)
La teleconferenza di martedì sera, presenti 13 compagni, è iniziata dalla segnalazione di alcune notizie di stampa sul ruolo non proprio umanitario svolto dalle Organizzazioni Non Governative.
Nell'epoca dell'imperialismo qualsiasi attività è sussunta al capitale e trasformata in valore. Questo vale anche per le ONG che sono presenti negli scenari di guerra e in tutte quelle situazioni al limite, dove gli Stati non ci sono o non riescono ad affermarsi.
La sigla ONG è stata stabilita a livello internazionale per definire tutte quelle organizzazioni private e "no profit" il cui statuto le identifica come enti di sussistenza e beneficenza. Tali enti dovrebbero intervenire quando le popolazioni soffrono la fame o la guerra, ma nella maggior parte dei casi raccolgono fondi per la sopravvivenza delle loro stesse strutture. Nelle situazioni in cui gli stati sono collassati, come in Siria, Yemen e Iraq, i finanziamenti internazionali passano direttamente dal Fondo Monetario alle ONG, bypassando le autorità statali. Con il diffondersi dell'attuale guerra civile globale, questo tipo di organizzazioni, che gestiscono anche gli immensi campi profughi sparsi per il pianeta, non potrà che aumentare.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 14 compagni, è iniziata commentando le difficoltà che si trova a dover affrontare la borghesia italiana nella formazione del nuovo governo.
Negli ultimi giorni il Movimento 5 Stelle ha inviato segnali distensivi sia alla Lega che al PD. Ma a differenza di quanto vorrebbero i suoi rappresentanti, difficilmente sarà il partito pentastellato l'ago della bilancia di questa tornata elettorale. Subito dopo le elezioni del 4 marzo, Il Sole 24 Ore aveva prospettato la possibilità di un cambio di casacca di circa 70 deputati per consentire al centro destra di ottenere la maggioranza. Non sarebbe nulla di nuovo: la passata legislatura è stata la più instabile della storia della Repubblica: in 57 mesi 207 deputati e 140 senatori hanno cambiato partito almeno una volta, alcuni anche più volte, per una cifra record di 566 passaggi. Lo shopping politico potrebbe essere una soluzione, alla faccia della democrazia e della consultazione dei liberi elettori. D'altra parte, il trasformismo è stato inventato in Italia e nei prossimi mesi vedremo all'opera pesanti determinazioni a favore di un esecutivo forte, senza che però esista la materia prima per fabbricarlo. Dovrebbe in tal caso maturare al di fuori dell'ambiente parlamentare la forma tecnica cui porteranno queste determinazioni.
La teleconferenza di martedì, presenti 7 compagni, si è aperta con la segnalazione dell'inizio del lavoro di ristampa del nostro catalogo libri che conta circa 80 titoli. I testi verranno pubblicati utilizzando piattaforme on line che consentono la produzione anche di poche copie per libro. La riunione è poi proseguita con il commento delle ultime notizie sull'intelligenza artificiale.
Tutte le maggiori riviste e quotidiani, dall'Espresso a Repubblica, dal Sole 24 Ore all'Economist, non possono fare a meno di scrivere, con cadenza sempre più frequente, articoli sull'AI, ovviamente in chiave sensazionalistica e/o allarmistica. Il primo a mettere in guardia dai pericoli dell'automazione era stato il fisico Stephen Hawking: le macchine intelligenti, affermava, si sviluppano troppo velocemente in confronto all'evoluzione umana e prenderanno il potere mettendo a rischio la sopravvivenza della nostra specie; perciò i governi dovrebbero applicare qualche forma di controllo o di limitazione allo sviluppo tecnologico. Quindi è stata la volta di Elon Musk, che nei suoi tweet ha definito l'AI "più pericolosa delle armi nucleari, una vera minaccia per tutta la razza umana", arrivando a sostenere che "un nuovo conflitto internazionale potrebbe essere avviato non dai leader dei vari Paesi ma da uno dei loro sistemi di intelligenza artificiale, se questo dovesse decidere che un attacco preventivo costituisce il percorso ideale per la vittoria."
La teleconferenza di martedì sera, presenti 11 compagni, è iniziata commentando l'articolo "The Era of Urban Warfare is Already Here" pubblicato su Foreign Policy Research Institute, il sito di un istituto di ricerca americano che tratta di questioni geopolitiche e di strategie militari.
Nel testo si afferma che Aleppo, Mosul, San'à, Mogadiscio e Gaza, tutte città devastate dalla guerra, non sono che alcuni esempi della tendenza al conflitto globale metropolitano. Secondo il think tank americano, l'urbanizzazione della popolazione mondiale e la crescita dell'instabilità politica nei paesi in via di sviluppo sono le cause scatenanti delle guerre in corso: "Nel 1990, la popolazione mondiale era per il 43% (2,3 miliardi) urbana. Entro il 2015, era cresciuta fino al 54% (4 miliardi). Entro il 2050, quasi i due terzi della popolazione globale vivranno nelle città." Questo processo, insieme a tutto ciò che esso comporta (flussi migratori, collasso delle infrastrutture, malattie e carestie diffuse), rende sempre più difficile la governance, sia globale che locale. Anche l'Economist, nel report speciale sulla guerra uscito qualche settimana fa, ha dedicato un articolo al tema ("Preparing for more urban warfare - House to house.").
La teleconferenza di martedì sera, presenti 14 compagni, si è aperta con alcuni commenti riguardo l'imposizione, da parte del governo degli Stati Uniti, di nuovi dazi sull'importazione di acciaio e alluminio.
Nell'edizione dello scorso 10 marzo, l'Economist riportava in copertina una caricatura del volto di Donald Trump a forma di bomba a mano. L'intento era quello di evidenziare la pericolosità della politica intrapresa dal Presidente, ritenuta una "minaccia al commercio mondiale" poiché potrebbe portare allo sgretolamento di quel sistema di accordi tra paesi che ha sorretto il mondo capitalistico a partire dal secondo dopoguerra:
"Quali che siano i problemi dell'Organizzazione Mondiale del Commercio, sarebbe una tragedia minarla. Se l'America persegue una politica commerciale mercantilista sfidando il sistema commerciale globale, altri paesi sono tenuti a seguirla. Ciò potrebbe non portare a un immediato collasso dell'OMC, ma gradualmente eroderebbe uno dei fondamenti dell'economia globalizzata."
La teleconferenza di martedì sera, presenti 15 compagni, è iniziata commentando gli sviluppi dell'intervento turco in Siria con l'operazione denominata "Ramoscello d'ulivo".
La Turchia vede come il fumo negli occhi la presenza, a ridosso del suo confine meridionale, dello YPG, la forza armata a difesa della regione a maggioranza curda a nord della Siria, formata da 30.000 uomini e definita da Erdogan quale organizzazione terroristica. Da settimane l'esercito turco ha avviato l'offensiva nelle zone controllate dai miliziani curdi, che si sono asserragliati nel cantone di Afrin e hanno invocato l'intervento dell'esercito di Assad in difesa del territorio siriano. In seguito all'operazione militare la situazione interna turca si è surriscaldata, e, secondo le dichiarazioni del ministero dell'interno, sarebbero circa un migliaio le persone arrestate per aver postato sui social network commenti negativi riguardo l'azione bellica o per aver partecipato a manifestazioni contro la guerra.
Al caos si aggiunge ulteriore caos. In Medioriente - ma non solo - si sono messi in moto degli automatismi per cui nessuno stato ha il controllo di quanto succede e non si capisce più chi è contro chi. Lo nota anche il Sole 24 Ore che nell'articolo "Tutti contro tutti in Siria (per il petrolio)" scrive: "Col passare del tempo la guerra civile siriana sta assomigliando sempre di più al feroce conflitto che ha dilaniato il Libano dal 1975 al 1990. Le alleanze sono cangianti, difficili da classificare. Perché si forgiano e si disfano nel volgere di pochi mesi. E assumono connotazioni differenti a seconda della regione."
La teleconferenza di martedì sera, presenti 14 compagni, è iniziata commentando il report speciale dell'Economist sulla guerra ("The Next War", "Why nuclear stability is under threat"), uscito lo scorso 27 gennaio. Il settimanale inglese analizza l'argomento con ben 10 articoli che spaziano dall'uso dei robot alle nuove tattiche contro-insurrezionali. Quella di domani sarà una guerra che verrà combattuta in ambienti metropolitani e che vedrà i soldati combattere casa per casa.
"Sempre più spesso [i conflitti bellici] saranno combattuti in ambienti urbani, se non altro perché entro il 2040 i due terzi della popolazione mondiale vivranno nelle città. Il numero di megalopoli con una popolazione di oltre 10 milioni è raddoppiato a 29 negli ultimi 20 anni e ogni anno circa 80 milioni di persone si spostano dalle aree rurali a quelle urbane. L'intensa guerra urbana, come dimostrano le recenti battaglie per Aleppo e Mosul, continua a essere dura e indiscriminata e continuerà a presentare problemi difficili per le forze di intervento occidentali. La tecnologia cambierà la guerra nelle città tanto quanto altri tipi di guerra, ma dovrà ancora essere combattuta da vicino, un isolato alla volta".
La teleconferenza di martedì sera (presenti 14 compagni), dopo un breve accenno allo scandalo che ha coinvolto alcuni colossi del settore automobilistico sull'utilizzo di cavie umane e animali per testare la nocività dei gas di emissione, ha preso le mosse dalla vertenza che l'IG Metall, il più grosso sindacato dei metalmeccanici della Germania, ha aperto per ottenere l'aumento dei salari e la riduzione della giornata lavorativa.
Le trattative con gli industriali tedeschi si sono presto interrotte, dato che quest'ultimi hanno respinto la richiesta di una settimana lavorativa a 28 ore settimanali, su richiesta del lavoratore, anche perché la compensazione della decurtazione del salario graverebbe sulle loro tasche. La dirigenza del sindacato ha annunciato un blocco generale della produzione di 24 ore nei prossimi giorni, minacciando lo sciopero illimitato nel caso in cui gli imprenditori non accettassero di sedersi ad un tavolo di trattativa. IG Metall, con i suoi 2,3 milioni di iscritti, dispone di un fondo di più di 560 milioni di euro per sostenere gli scioperanti e sembra che anche i sindacati dei servizi e del settore pubblico siano in agitazione. Curiosamente, sul sito della Cisl Conquiste del Lavoro, si saluta questa mobilitazione come giusta e non ideologica "perché la battaglia dell'IG Metall su orario e salario ci riguarda". Nell'epoca del corporativismo, che vede legati governo, sindacati e padroni, è molto probabile che il grande sindacato tedesco si sia già accordato con la controparte, la quale si muove come da copione, prima rifiutando l'accordo e poi facendo finta di cedere alle pressioni. Da notare che il tutto avviene mentre è in ballo l'appoggio dell'SPD al nuovo governo di Grosse Koalition.
La teleconferenza di martedì, presenti 6 compagni, è iniziata accennando allo sviluppo dell'intelligenza artificiale.
The Economist ha pubblicato un curioso articolo, "How soon will computers replace The Economist's writers?" in cui si chiede entro quanto tempo un computer potrà sostituire un giornalista del settimanale inglese. A tale scopo ha formato un programma di intelligenza artificiale per gli articoli della sezione "Scienza e Tecnologia", e lo ha invitato a presentare un suo pezzo. Risultato: per adesso il computer ha imitato benissimo lo stile del giornale, individuando argomenti validi, tuttavia le frasi pur essendo grammaticalmente corrette mancano di significato. La marcia nella sostituzione di forza lavoro è però inesorabile, scrive lo stesso The Economist:
"Le macchine stanno arrivando. Uno studio molto citato nel 2013 ha concluso che metà dei posti di lavoro americani erano a rischio nei prossimi decenni. Gli scrittori non sono immuni. Un altro articolo, che ha esaminato le ricerche sull'intelligenza artificiale (AI), ha concluso che i computer avrebbero scritto saggi scolastici entro la metà del 2020 e sforneranno i libri più venduti entro il 2040."
Durante la teleconferenza di martedì sera, presenti 15 compagni, abbiamo affrontato il tema del reddito di base.
Sono molte le città e gli stati che stanno sperimentando misure di questo tipo: Scozia, Finlandia, Barcellona in Spagna, alcune località dell'Olanda, la provincia dell'Ontario (Canada), Oakland e Stockton negli Stati Uniti (dove per il 2018 un campione casuale dei 300.000 residenti otterrà 500 dollari al mese), e per ultima la città di Zurigo, che nel 2018 introdurrà un reddito universale di 2500 franchi mensili (quasi 2200 euro) per gli adulti, e 625 franchi (circa 550 euro) per i bambini. Anche l'Italia sta cercando di porre rimedio alla miseria crescente con il Rei, il reddito di inclusione. Solo che nel Belpaese l'esperimento è partito nel caos assoluto, con Inps, Comuni e CAF, impreparati ad accogliere le richieste, presi d'assalto dai cittadini. Da segnalare il sito Basic Income Network (Bin) che raccoglie notizie sulle iniziative in materia di reddito di base, come la manifestazione prevista per il prossimo 16 dicembre a Roma (#FightRight).
Tempo fa il M5S ha organizzato una marcia da Perugia ad Assisi per chiedere il reddito di cittadinanza, uno dei punti programmatici (una delle cinque stelle) che caratterizza il movimento dalla sua nascita. Sul tema sorprendente il silenzio dei confederali, che lasciano ai grillini e ad altri soggetti il monopolio su un argomento di questa portata.
La teleconferenza di martedì, a cui si sono collegati 14 compagni, si è aperta con le notizie sugli uragani che si sono abbattuti sugli Stati Uniti.
I dati a disposizione mostrano un crescendo dei fenomeni atmosferici capaci di provocare ingenti danni e di mettere in pericolo la vita umana. Sarà anche colpa del cambiamento climatico in atto, ma la crescente antropizzazione del pianeta non può che peggiorarne gli effetti. Gli uragani, le "bombe d'acqua", e tutti gli altri eventi "naturali" che si verificano sul pianeta, si trasformano in "drammi gialli e sinistri" non appena coinvolgono territori ad alta concentrazione di manufatti.
Recentemente è accaduto negli Stati Uniti con il passaggio dell'uragano Harvey in Texas e di Irma in Florida. Scenari del genere ricordano quanto successo nel 2005, quando Katrina devastò New Orleans. Allora, mentre i soccorsi non arrivavano e i sopravvissuti erano lasciati in balia di sé stessi, si scatenò una sorta di guerra civile con l'occupazione della città da parte dell'esercito, sostenuto dall'intervento degli uomini delle famigerate aziende militari private. L'episodio ha rappresentato un giro di boa per gli Stati Uniti in termini di controllo in ambito metropolitano, anche per l'utilizzo di mezzi corazzati, droni e mercenari.
Sul tema un compagno ha segnalato l'articolo "I signori dei disastri" di Naomi Klein. In continuità con le tesi presentate nel saggio Shock economy. L'ascesa del capitalismo dei disastri, la giornalista canadese sostiene che nel capitalismo i disastri diventano motivo di accumulazione, e quindi di profitto, per una parte ristretta della popolazione (l'1%), e di spoliazione per la restante (il 99%). Per dimostrarlo, parte da ciò che accade a Baghdad nel 2003, quando per l'Iraq viene decisa dall'alto una terapia economica d'urto, basata su una deregolamentazione selvaggia intrisa di corruzione e favorita dal clima di emergenza sociale. In quel caso il disastro sociale che colpisce il territorio non origina da uragani o inondazioni, bensì dall'invasione militare da parte delle truppe a stelle e strisce. Se nel 2003 questo succedeva nell'estrema periferia dell'impero, sostiene la Klein, le stesse dinamiche si vedono successivamente nel cuore del capitalismo, e cioè a New Orleans nel 2005, dove tra l'altro operano quegli stessi mercenari (Blackwater) che difendevano l'1% asserragliato nella zona verde di Baghdad.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 10 compagni, è iniziata commentando le ultime news sui Bitcoin.
La moneta digitale nata nel 2009 torna in questi giorni a far parlare di sé. Lo scorso 29 luglio l'Economist ha pubblicato un articolo "Making Bitcoin work better" con il curioso sottotitolo, "a crypto-currency civil war". Alla base del conflitto nella community ci sarebbe la crisi di crescita del bitcoin, che ha registrato un successo superiore alle attese, passando da qualche centinaio di dollari, al suo esordio, a circa 3 mila euro. Secondo i critici la catena di certificazione decentralizzata delle transazioni e il limite della capacità dei blocchi (un megabyte per blocco) ha portato, con l'incremento delle operazioni, a tempi lunghi per la gestione delle stesse e ad un aumento delle commissioni. Difronte alla crescita del volume di affari e di transazioni si sono distinte quindi due "scuole di pensiero": gli sviluppatori tradizionali denominati "core" che si oppongono ad un aumento della capacità dei blocchi, hanno proposto una specie di compromesso, una piattaforma denominata SegWit che prevede uno spostamento parziale della gestione delle transazioni su una rete esterna alla blokchain, mentre il nucleo di "liberalizzatori" non ha accettato il compromesso e ha lanciato una nuova bit moneta chiamata bitcoin cash. Tutto il sistema è assolutamente senza controllo, alla dissipazione del modo di produzione capitalistico si aggiunge quella delle immense farmers dove centinaia di processori in parallelo lavorano per ottenere criptomonete.
Le monete virtuali ormai hanno un loro mercato che gira intorno a 120 miliardi di dollari, cifre per ora irrisorie. Quanto accade nei circuiti delle monete virtuali non è altro che il portato dell'impossibilità di valorizzazione del capitale nella sfera della produzione, effetto della paludosa situazione economica. Un compagno ha letto un passaggio tratto da "Teoria della moneta" (Il programma comunista, 1968):
La teleconferenza di martedì sera (presenti 11 compagni) è cominciata con un riferimento all'ultima newsletter, in particolare al trafiletto sulla struttura del debito americano.
Il dollaro è ancora la principale moneta di riserva e di scambio internazionale, ma non è più sostenuto dalla potenza economica di una volta. Se gli Stati Uniti consumassero di meno avrebbero meno debito, ma comprerebbero anche meno merci dalla Cina che, ricordiamolo, possiede buona parte del debito pubblico americano. Quest'ultima intanto vede aumentare la sua presenza nel mondo: dal porto del Pireo in Grecia alla nuova base militare in Gibuti, passando per il progetto della Nuova Via della Seta, il Dragone è costretto a espandersi per dare sfogo alla sua esuberanza produttiva. Anche l'India, che per numero di abitanti è salita in prima posizione, sarà costretta a fare altrettanto. Però il pianeta è piccolo e la crescita di un paese va a scapito dell'altro. A tal proposito, abbiamo ricordato l'articolo "Il fiato sul collo" (n+1, n. 4):
Durante la teleconferenza di martedì sera, a cui si sono collegati 12 compagni, abbiamo affrontato i seguenti temi:
- l'insanabile contraddizione delle mezze classi (e delle non-classi);
- approfondimento sugli Stati Uniti d'America: gli stati federali al collasso;
- notizie da un mondo instabile;
- intelligenza artificiale e autonomizzazione del Capitale;
- lo sciopero ai tempi della "gig economy".
Capita oramai sovente di ascoltare interventi o dichiarazioni, da parte di politici, professori od esperti vari, in cui ci si richiama alla necessità di cambiare lo stato delle cose per fare spazio al futuro e alle opportunità che esso ci offre, poichè questo mondo, così com'è, non funziona più. Non potremmo essere più d'accordo, peccato però che molto spesso queste argomentazioni nascondano l'ennesimo tentativo di salvare proprio ciò che si è rotto: il capitalismo.
La teleconferenza di martedì, presenti 15 compagni, è iniziata commentando la riunione del Primo maggio a Cadoneghe (Pd).
Alcuni elementi di un'associazione culturale ci hanno contattato per presentare la rivista. Secondo gli organizzatori erano presenti alla giornata circa 300 persone di cui una sessantina hanno partecipato alla riunione. In un ambiente distante dai soliti ambiti "politici" il nostro intervento ha suscitato parecchio interesse. Di sicuro, dato lo sfascio generale dei gruppetti, è in atto un cambiamento: i vecchi paradigmi stanno scomparendo ma non sono ancora stati sostituiti e nel frattempo si cerca di superare l'isolamento da vita senza senso. Il bisogno di fare musica, di stare insieme, sembra essere inizialmente lo scopo dopodiché si scopre il bisogno di comunità come scritto in "Origine e funzione della forma partito".
Si è passati poi ad alcune news dalle aziende di Elon Musk.
Tesla ha presentato le nuove immagini del suo Tir elettrico e il progetto di creare una rete sotterranea per lo spostamento veloce di autoveicoli: una specie di ascensore stradale dotato di apposita piattaforma che guida l'autovettura su binari a velocità sostenuta. L'esigenza di costruire cose "folli" è data dal fatto che il Capitale ha bisogno di sfogo e non può attendere. Da questo punto di vista Hyperloop, il progetto di lanciare auto a 1000 km all'ora da Los Angeles a San Francisco, è un altro dei tentativi di investire parti di capitale fittizio. Anche l'ipotesi di colonizzare Marte è significativa perché tutto quello che si poteva fare sulla crosta terrestre evidentemente non basta più, ci vuole un nuovo pianeta.
La teleconferenza di martedì sera, connessi 15 compagni, è stata incentrata sul rapporto tra sindacati e lotte di classe.
Partendo dalla battaglia della Sinistra Comunista all'interno del PSI durante il Biennio Rosso, abbiamo innanzitutto rimarcato la differenza tra sindacati e soviet. Se i primi nascono e si sviluppano per difendere le condizioni economiche dei lavoratori, i secondi possono diventare espressione di un contropotere; in un periodo post-rivoluzionario, afferma Bordiga in Per la costituzione dei consigli operai in Italia, i soviet possono diventare organismi esecutivi capillari:
"Ciò che importa stabilire è che la rivoluzione comunista viene condotta e diretta da una rappresentanza politica della classe operaia, la quale, prima dell'abbattimento del potere borghese è un partito politico; dopo, è la rete del sistema dei Soviet politici, eletti direttamente dalle masse col proposito di designare rappresentanti che abbiano un dato programma generale politico, e non siano già esponenti degli interessi limitati di una categoria o di una azienda."
La teleconferenza di martedì sera, a cui hanno partecipato 12 compagni, è iniziata con alcune considerazioni sulle guerre in corso.
Per affrontare il tema è necessario considerare non solo i conflitti in essere fra le nazioni, ma anche tutte quelle situazioni di scontro armato interne agli stati, che coinvolgono i civili, prevedono operazioni di polizia con mezzi da guerra e spesso mostrano strutture di sicurezza fuori controllo. Aggiungendo tutti i pezzi, il quadro che si compone è quello di una guerra civile diffusa con un impiego intensivo delle partigianerie (vedi Ucraina, Siria, Libia, Yemen). Non a caso la Chiesa, che alle spalle ha una lunga tradizione, ha più volte definito questo momento storico come una guerra mondiale combattuta a pezzi.
La teleconferenza di martedì sera, connessi 14 compagni, è iniziata con alcune considerazioni sull'Unione Europea.
L'uscita del Regno Unito dall'organizzazione è solo l'ultimo tassello del più generale processo di disfacimento della UE. La Brexit, scrive l'Economist, mina la già fragilissima stabilità europea e la "perdita di un grande membro del genere è anche un durissimo colpo per l'influenza e la credibilità dell'Unione". Insomma, l'Europa Unita non è altro che un'espressione geografica, la cui coesione politica non può essere "creata" dalla buona volontà dei primi ministri e dei loro tirapiedi. Tanto più che questa volontà i governi non ce l'hanno: ciò che davvero conta è la difesa degli interessi borghesi nazionali e la concorrenza con gli stati vicini.
Il 25 marzo scorso, in occasione delle celebrazioni per l'anniversario dei Trattati di Roma (nascita della CEE), diversi gruppi antagonisti hanno organizzato una manifestazione di protesta per le vie della Capitale. Lo stesso giorno la polizia, con un'estesa azione preventiva, ha compiuto centinaia di fermi ed ha messo in atto dei restringimenti delle cosiddette libertà di movimento. Il questore di Roma ha spiegato alla stampa che "complessivamente tra giovedì e sabato, sono state identificate circa 2000 persone, di queste 200 sono state fermate".
La teleconferenza di martedì sera, connessi 11 compagni, è iniziata commentando la notizia della diffusione di documenti riservati della Cia da parte di Wikileaks. Secondo il comunicato pubblicato sul sito, l'Agenzia d'informazioni americana disporrebbe di un vasto arsenale informatico, fatto di malware ed altri codici malevoli, tramite cui sarebbe in grado di accedere ai dispositivi venduti dalle maggiori aziende americane ed europee, come ad esempio l'iPhone della Apple, gli smarthphone con sistema operativo Android (Google) e Windows (Microsoft), e le smart Tv prodotte da Samsung. La Cia sarebbe inoltre equipaggiata per penetrare nei sistemi che formano l'Internet delle cose (IoT).
Niente di cui stupirsi dato che tutto era già stato anticipato dal sistema di sorveglianza Echelon, una sorta di preistoria dell'utilizzo dei Big Data. Oggi i dati vengono prelevati direttamente in Rete, quindi immessi in potentissimi computer ed elaborati. Ma non bisogna farsi impressionare: nessun sistema di spionaggio, per quanto complesso, è in grado di fermare una rivoluzione. Come si è visto durante la Primavera araba, quando milioni di persone scendono in piazza lo spionaggio può fare ben poco.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 11 compagni, è iniziata commentando la strana proposta circolata in questi giorni di tassare i robot. Il primo a parlarne è stato Bill Gates: i governi dovrebbero istituire nuove imposte per l'uso degli automi nelle aziende al fine di rallentarne, almeno temporaneamente, la diffusione e per finanziare, con gli introiti derivati, altri tipi di occupazione. L'uscita del co-fondatore di Microsoft, azienda impegnata nello sviluppo dell'intelligenza artificiale, appare un po' come una provocazione, dato che l'utilizzo di macchine intelligenti conosce già oggi un'ampia diffusione. Si pensi agli aerei, che per la maggior parte decollano, volano e atterrano grazie ad un pilota automatico, o alle navi, ai treni, alle fabbriche ecc., che funzionano grazie all'automazione.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 14 compagni, è iniziata con alcune considerazioni riguardo le manifestazioni dei tassisti contro le misure contenute nel decreto legge Milleproroghe. La corporazione dei conducenti di taxi, la cui protesta si è sviluppata su scala nazionale, si è mobilitata per difendere i propri interessi, minacciati dal giganteggiare di Uber, la multinazionale americana che col suo servizio di trasporto su auto a portata di click sta guadagnando terreno nel settore. Da Marx in poi sappiamo che le mezze classi rovinate sono le prime a muoversi: avendo ancora qualcosa da perdere, si illudono di salvare il salvabile.
In questo caso la "colpa" è della tecnologia: le macchine, rimpicciolite (ognuno di noi ha uno smartphone in tasca) e capaci di costruire sé stesse, stanno eliminando gli uomini dal processo produttivo, diretto o indiretto che sia. Si tratta di un cambiamento qualitativo importantissimo. Uber, AirB&B e tante altre piattaforme basate su applicazioni online, sfruttando la capacità di comunicazione tra oggetti e sistemi, riescono a ridurre al minimo il numero di lavoratori necessari alla gestione del sistema, mentre i vecchi rapporti giuridici, atti a normare il confronto tra dipendenti e datori di lavoro, ne escono stravolti. Basti pensare a Foodora, Deliveroo e alle altre startup della gig economy impegnate nella consegna dei pasti a domicilio di cui abbiamo parlato recentemente: "Il nuovo precario lavora secondo lo schema on-demand cioè quando serve, con un rapporto diretto consentito da applicazioni e piattaforme digitali sviluppate appositamente. Domanda e offerta si incontrano on-line, ma ovviamente con una assoluta asimmetria, dato che il lavoratore non ha nessun mezzo per intervenire nel sistema." (Gig economy, n+1 n. 40)
La teleconferenza di martedì sera, presenti 14 compagni, è iniziata commentando gli sviluppi della situazione americana dopo l'insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca.
Gli Usa, pur essendo ancora in grado di far vedere i sorci verdi al resto del mondo, non sono i controllori del Capitale, piuttosto è quest'ultimo a dominare loro e gli altri stati. Il rientro delle produzioni industriali, dice l'Economist, è in corso da tempo, da ben prima dell'elezione dell'odiato presidente bianco e razzista.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 13 compagni, è iniziata commentando la situazione economica negli Usa.
Appena insediatosi, Donald Trump ha annunciato che gli Stati Uniti usciranno dal Tpp, il progetto di accordo commerciale Trans-Pacifico a cui aderiscono altri 11 paesi, ed ha proposto, con tanto di apologia di quei capitalisti che investono nel proprio paese, incontri su cadenza trimestrale con i vertici delle maggiori industrie americane: "Tutto quello che dovrete fare è stare qui, non andar via. Non licenziare la vostra gente negli Usa".
Sappiamo da un pezzo che la storia, pur essendo fatta da uomini e da esecutivi che gli uomini formano per governare la società, non si svolge come essi vorrebbero, bensì secondo determinazioni materiali più forti di ogni volontà. In questo contesto ha avuto una certo eco la notizia di un possibile investimento della Foxconn per circa 7 miliardi che, per mezzo della controllata Sharp, dovrebbe assemblare display su suolo americano. 50 mila i posti di lavoro annunciati, ma bisognerà proprio vedere a cosa serviranno dato che i piccoli componenti vengono prodotti in modo automatico. Comunque il fatto che siano i cinesi a investire e produrre negli Stati Uniti, e non il contrario, significa che l'imperialismo a stelle e strisce è davvero messo male.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 13 compagni, è iniziata commentando il Rapporto Oxfam del 2016.
Secondo lo studio, intitolato significativamente Un'economia per il 99%, gli 8 più ricchi del pianeta (e non più 62 come l'anno precedente) detengono la stessa ricchezza della metà della popolazione mondiale, circa 3,6 miliardi di esseri umani. "La novità di quest'anno è che la diseguaglianza non accenna a diminuire, anzi continua a crescere, sia in termini di ricchezza che di reddito", ha spiegato la direttrice della campagna di Oxfam Italia.
Al rapporto Oxfam è da affiancare un altro studio, quello dell'istituto McKinsey, in cui si afferma che fra pochi anni il 49% della produzione potrà essere sostenuto dai robot. E' al passo coi tempi Adidas che ha annunciato di voler tornare in Germania: se le scarpe le fanno gli automi, abbattendo le spese per la manodopera, tenere gli impianti in Cina genera solo inutili costi di trasporto. Insomma, l'automazione restringe sempre più i margini di profitto mentre le delocalizzazioni non sono più un toccasana per il Capitale.
La teleconferenza di martedì, connessi 12 compagni, è iniziata con alcune considerazioni su quanto accade in queste settimane ad Aleppo e nel resto della Siria.
Dall'inizio del conflitto i morti sono centinaia di migliaia, ormai si fatica a tenerne il conto. E migliaia sono i civili intrappolati nelle metropoli, sotto i bombardamenti delle diverse fazioni in campo. Nel numero monografico sulla politiguerra americana ci eravamo soffermati sul fatto che, dall'11 settembre 2001 in poi, la guerra diventava un evento senza soluzione di continuità. Gli attacchi americani a Iraq e Afghanistan sono stati a tutti gli effetti un'azione difensiva contro un nemico senza volto, diffuso e inafferrabile; e negli anni successivi la dura realtà ha dimostrato che gli Stati Uniti non solo non trainavano l'economia mondiale ma ne dipendevano. I piani di nation-building non funzionavano più e al loro posto rimanevano paesi distrutti e fuori controllo, vivai di "terrorismo". Palmira ne è l'esempio più eclatante: priva di difesa, la città è stata riconquistata, per mano di poche centinaia di miliziani, da Daesh.
Il contesto in cui oggi si svolgono i conflitti è completamente cambiato e comprendere la differenza tra la guerra moderna (civile e diffusa) e quella legata ai vecchi blocchi imperialisti (Guerra fredda) è fondamentale. La Sinistra Comunista "italiana" è stata molto precisa nell'analisi delle lotte di liberazione nazionale in Congo, Angola e Algeria, rifiutando qualsiasi forma di indifferentismo. Ribattere i chiodi "sul filo del tempo" significava soprattutto rompere con tutti coloro che ragionavano ancora con le categorie delle vecchie rivoluzioni (l'ultima delle quali, è bene ricordarlo, fu quella borghese, dato che l'Ottobre rosso fu sconfitto). Oggi non ha valore rivoluzionario la lotta di un popolo sponsorizzata da un altro: la fase delle rivoluzioni democratiche nazionali si è conclusa. Alla fine della II guerra mondiale, dovunque si sono costituiti Stati nazionali più o meno "indipendenti", più o meno "popolari", che promuovono in modo più o meno "radicale" l'accumulazione del Capitale.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 11 compagni, è iniziata commentando la situazione politica italiana.
Il premier Matteo Renzi, interrogato in merito alle sorti del governo dopo il referendum del 4 dicembre, ha dichiarato: "Il governo tecnico non lo posso scongiurare io, lo dovete scongiurare voi con il Sì. Il rischio c'è, è evidente". Gli ha fatto eco Eugenio Scalfari su Repubblica con un attacco al Movimento 5 Stelle in cui paragonava la galassia grillina al Fronte dell'Uomo Qualunque di Guglielmo Giannini. In momenti particolari della Storia anche passaggi ordinari, come l'elezione di un presidente o l'esito di un referendum, possono diventare fattori di polarizzazione sociale, elementi che sconquassano una forma già instabile. Alcuni affermano che la vittoria del del No in Italia porterebbe al collasso del sistema bancario del Paese e poi dell'intero sistema basato sull'Euro, mentre altri temono, sul versante statunitense, che l'insediamento di Trump alla Casa Bianca inneschi una guerra civile generalizzata. Previsioni azzardate? Certo, ma non campate in aria.
Nel disperato tentativo di salvarsi il capitalismo mette in moto forze che aggravano la crisi. Gli Usa, pur essendo ancora al centro del sistema capitalistico, non riescono più a mantenere il proprio ruolo di super-imperialisti e si barcamenano in un intricato quadro di alleanze e contro-alleanze. Ma indietro non si torna e la ripetizione del "condominio russo-americano" è impossibile.
La teleconferenza di martedì, presenti 15 compagni, è iniziata commentando l'esito delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti.
In molti hanno affrontato la vittoria di Donald Trump dal punto di vista puramente politico-giornalistico: la costruzione del muro al confine con il Messico, la politica sugli immigrati, la rinegoziazione dei trattati economici internazionali (Tpp e Nafta). L'Economist ha invece analizzato quanto accaduto in termini sistemici e ha delineato per il futuro del mondo scenari allarmanti, non solo a causa dell'elezione dell'impresentabile miliardario quanto per il fatto che gli Usa hanno ormai perso la leadership mondiale.
La teleconferenza di martedì scorso, a cui hanno partecipato 14 compagni collegati da diverse località, si è soffermata sulle elezioni presidenziali negli Stati Uniti d'America.
Le grandi testate giornalistiche ci raccontano di un Paese spaccato in due. Da un lato ci sono i sostenitori di Hillary Clinton, l'attuale segretario di Stato appoggiato dall'establishment e da Hollywood, e dall'altro quelli di Donald Trump, candidato dal linguaggio diretto ("Make America great again") che sa andare alla pancia degli elettori e che rappresenta l'unica vera novità.
In un paese in declino, che sta perdendo il ruolo di potenza di traino del capitalismo, dove la disoccupazione è a livelli record, l'industria arranca e il bisogno di un cambio di rotta si fa sempre più forte, anche l'esito di un'elezione potrebbe essere la famosa goccia che fa traboccare il vaso. Chiunque sarà il vincitore - o la vincitrice, dato che tutti i sondaggi danno come favorita la candidata democratica - dovrà infatti misurarsi con sfide gigantesche. Gli attori politici che si agitano sul palcoscenico della storia sono secondari rispetto alla dinamica in atto: la crisi di valorizzazione, la guerra di tutti contro tutti, i fatti del Medioriente, ecc., sono tutti questi elementi a influenzare le scelte degli elettori.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 12 compagni, è iniziata analizzando la situazione sociale interna agli Stati Uniti, il paese capitalisticamente più maturo per nuovi esperimenti politici.
Da tempo riscontriamo segnali di interesse da parte di giovani americani che, stanchi dell'omologazione imperante, stanno scoprendo testi della Sinistra Comunista "italiana" e in particolare gli scritti di Amadeo Bordiga.
Occupy Wall Street si è rifatto vivo contestando Hillary Clinton durante la convention democratica di Philadelphia, dove ha piantato le tende (Franklin Delano Roosevelt Park). In questa vigilia di elezioni presidenziali si manifesta uno scontro latente: Wikileaks ha pubblicato 20 mila email scambiate durante la campagna elettorale dai funzionari del partito democratico. Dai messaggi emerge una chiara volontà di penalizzare Bernard Sanders, il quale si è comunque schierato con la Clinton beccando i fischi dei suoi elettori. Da tutto questo ribollire, Donald Trump potrebbe uscirne avvantaggiato.
Anche il Movimento Black Lives Matter (BLM), nato nel 2013, si fa sentire con continue manifestazioni. Ha mandato una delegazione in Brasile ed è inoltre sbarcato a Londra (#BLMLondon) e recentemente anche a Parigi (#BLMFrance e #BLMParis). BLM non rivendica qualcosa in particolare, più che altro si scaglia contro la violenza della polizia e contro il sistema carcerario, una vera e propria industria che foraggia il sistema dell'1%.
Per noi la "razza" non esiste, è un fattore ideologico. Esistono però delle differenze biologiche all'interno della nostra specie che l'attuale società utilizza per motivi politici e per seminare divisione tra i senza riserve. Ne I fattori di razza e nazione nella teoria marxista si affronta il tema in modo chiaro e da un punto di vista materialistico:
Durante la teleconferenza di martedì sera, a cui si sono collegati 13 compagni, abbiamo discusso dei numerosi avvenimenti della settimana - la strage di Nizza, il golpe in Turchia, i fatti di Armenia, gli omicidi di Baton Rouge, gli attacchi all'arma bianca in Germania, ecc.– che, per quanto diversi o peculiari di ogni paese, vanno riferiti ad un contesto mondiale che si sta configurando come guerra civile diffusa. Con le dovute differenze, in molte aree del pianeta si fa sempre più marcata la contrapposizione armata tra parti della stessa società.
Riguardo al tentato e fallito colpo di Stato in territorio turco, conviene riprendere alcuni degli aspetti messi in luce nell'articolo L'Europa virtuale e i nuovi attrattori d'Eurasia: la Turchia come fulcro dinamico. Potenza proiettata sull'Eurasia (si appoggia su una fascia turcofona che arriva fino in Cina), aderente alla NATO (coinvolgimento di tutti gli schieramenti in loco), con una crescita del Pil di tutto rispetto e un forte proletariato, la Turchia ricopre un ruolo importantissimo nel contesto generale. Il processo di islamizzazione avviato da Recep Tayyip Erdogan non solo ha spiazzato molti ma sta scombinando gli equilibri e i sistemi di alleanze nell'area.
La teleconferenza di martedì, presenti 16 compagni, è iniziata con alcune considerazioni riguardo la manifestazione del 14 giugno contro la Loi Travail.
Secondo gli organizzatori, a Parigi sono scesi in strada circa 1 milione di persone; nettamente inferiori i numeri diffusi dalle forze dell'ordine che hanno contato tra i 75.000 e gli 80.000 partecipanti. Violenti scontri si sono verificati fin dall'inizio, con la polizia che a più riprese ha cercato di dividere il lungo corteo. Decine i feriti, anche tra le fila dei tutori dell'ordine.
I sindacati francesi stanno cavalcando il malcontento dei lavoratori ma hanno tutto l'interesse a spegnere la lotta e perciò spingono in tale direzione. Potrebbe darsi che l'uccisione dei due poliziotti, a cui si aggiungono gli scontri con gli hooligans arrivati in occasione degli Europei di calcio, favorisca il tentativo di riportare il tutto sul piano della responsabilità nazionale.
La teleconferenza di martedì, presenti 15 compagni, è iniziata con alcune considerazioni sul tema della guerra.
Possiamo leggere l'abbattimento del bombardiere russo da parte dell'aviazione turca come un messaggio della NATO (di cui la Turchia fa parte) alla Russia e al suo attivismo militare in Medioriente. L'attacco al Sukhoi si configura come un tassello della guerra di tutti contro tutti nell'area mediorientale e più in generale nel mondo intero.
In seguito all'attacco, Mosca ha accusato Ankara di complicità con l'IS e ha promesso risposte adeguate a questa "pugnalata alla schiena". Da quanto si apprende da alcuni siti militari, i russi stanno compiendo attacchi mirati su milizie turcomanne al soldo di Ankara. Circolano inoltre notizie circa l'impiego di mezzi corazzati russi sul suolo siriano e di nuove unità navali che avrebbero attraversato lo stretto dei Dardanelli per portarsi vicino all'area del conflitto. Turchia e Russia sono nemici storici nella corsa alla conquista dell'Heartland (il cuore del mondo), zona in cui hanno entrambe interessi vitali da difendere. Dato che i russi stanno sfacciatamente approfittando del vuoto lasciato nell'area dagli americani per occupare spazio, potrebbe esser valida l'ipotesi che Ankara, dietro il pretesto dello sconfinamento, abbia voluto mettere in atto una strategia di contenimento dell'avanzata russa in Siria.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 12 compagni, si è aperta con la segnalazione di un video sul flusso di migranti che arrivano in Slovenia.
Alimentato dal marasma sociale, prosegue inesorabile l'esodo dei senza riserve che si ammassano alle porte delle metropoli occidentali in cerca di cibo e riparo. Gli stati coinvolti, già in crisi per conto loro, corrono ai ripari come possono, allestendo campi di concentramento e muri improvvisati o puntando, come la Turchia, a inserire milioni di immigrati-schiavi nel mercato del lavoro.
Sul fronte dei rapporti tra paesi imperialisti è scattato, in concomitanza con il Plenum del Partito-Stato cinese, il pattugliamento delle isole artificiali Spratly da parte della marina militare statunitense. Il contenzioso all'origine di queste operazioni riguarda formalmente la sovranità sull'arcipelago, rivendicata dalla Cina; ma appare del tutto evidente il tentativo degli americani di limitare l'espansionismo cinese. Forti della loro tradizione militare aereo-navale, gli Usa non vogliono perdere la loro supremazia, anche perché nella guerra di tutti contro tutti il controllo degli oceani è fondamentale (si veda ad esempio dove è posizionata la Base militare americana Diego Garcia).
La teleconferenza di martedì, presenti nove compagni, si è focalizzata sulla situazione economica mondiale e sugli effetti che essa produce sulle sovrastrutture politiche.
Siamo partiti da un significativo articolo di Paul Krugman apparso sul New York Times, Quella sovrabbondanza infinita che destabilizza l'economia globale, in cui si fa il punto sullo stato della crisi e si mette in evidenza come nei mercati finanziari troppo denaro sia alla caccia di troppe poche opportunità di investimento:
"Da sette anni (e chissà per quanti altri ancora) stiamo vivendo in un'economia globale che procede barcollando da una crisi all'altra: ogni qualvolta una regione del mondo sembra finalmente rimettersi in sesto, ecco che subito un'altra inizia a traballare. E l'America non può certo isolarsi del tutto da queste calamità globali. Ma perché l'economia continua a incespicare?"
Gli appuntamenti di piazza previsti per i prossimi giorni sono stati il tema d'apertura della teleriunione di martedì sera, a cui si sono collegati 17 compagni.
Si partirà il 18 ottobre con lo sciopero nazionale proclamato dai sindacati di base: la protesta coinvolgerà il settore pubblico e privato e prevede una manifestazione a Roma "contro ogni forma di precarietà". Seguirà la giornata di lotta #19O contro l'austerità, data organizzata da movimenti, comitati e centri sociali sempre a Roma, dove si attendono migliaia di persone per dare "l'assedio ai palazzi del potere". Gli organizzatori dell'evento hanno intenzione di piantare le tende sullo stile delle acampadas spagnole e hanno lanciato lo slogan Yes we camp! Da giorni i social network riverberano la notizia e in particolare su Twitter sono stati creati dei canali dedicati, tramite cui si può partecipare in prima persona alla produzione e alla circolazione delle informazioni.
La teleriunione di martedì sera, collegati 16 compagni, è iniziata dal commento dell'ennesima tragedia del mare in cui hanno perso la vita centinaia di uomini e donne. I flussi migratori, aumentati dal marasma sociale in corso in Nordafrica e Medioriente, dalle guerre e dalla miseria crescente, rappresentano per il Capitale un enorme massa di forza-lavoro disponibile a tutto. L'immigrazione verso i mezzi di produzione stimola la concorrenza fra i salari e quindi il loro ribasso, e si traduce nella generalizzazione del lavoro precario e nell'introduzione di nuove forme di schiavitù. Inoltre, essendo la forza-lavoro una merce liberamente circolante sul mercato interno dei singoli paesi ma ancora poco liberamente su quello estero, l'attività di farla arrivare a destinazione diventa ovunque molto lucrativa, come in tutti i casi di "contrabbando". Il traffico di esseri umani produce complessivamente, a seconda delle stime, un fatturato che va dai cinque ai sette miliardi di dollari l'anno.
La teleriunione di martedì sera, presenti 13 compagni, è iniziata dal commento di alcuni articoli sullo shutdown del governo americano. I membri del congresso non hanno raggiunto, come alcuni prevedevano, l'accordo sul budget federale. Questo significa che le casse dello stato chiudono, bloccando fondi e mettendo in crisi il funzionamento di servizi di pubblica utilità. Commentatori e giornalisti parlano di scelta ideologica da parte dei repubblicani (nel novembre 2014 ci sono le elezioni di metà mandato e il partito cerca di mobilitare la propria base), ma la spaccatura nel congresso è un prodotto della situazione economica generale. Ha poco senso incolpare una parte politica per una crisi di natura non congiunturale. Barack Obama ha dichiarato che garantirà gli stipendi ai militari in missione, si è dimenticato però di dire che circa 800mila lavoratori statali sono senza stipendio. In prospettiva il rischio è il default degli Usa e i dirigenti delle maggiori banche di Wall Street chiedono che si trovi al più presto un accordo. La borghesia non può arrivare a suicidarsi, ma è impossibilitata a comportarsi diversamente.
Devo dire che la vostra riunione sulla guerra irachena come "capitolo di una guerra generale" mi ha lasciato un po' perplesso. Se ho capito bene, questa guerra universale "deve" essere condotta dagli Stati Uniti contro chiunque non si assoggetti alla loro visione del mondo, che cioè tenda a diventare un concorrente anche sul piano militare. Alla maggior parte degli altri paesi imperialistici converrebbe sottostare a questo predominio pur di salvaguardare la continuità del capitalismo, che avrebbe negli USA l'unica forza planetaria in grado di mantenere l'ordine. Vedo che qualcuno vi ha già accusati di teorizzare una sorta di superimperialismo. Da parte mia lo so bene che la forza economica, finanziaria e militare degli USA è davvero "super" per un semplice fatto materiale e non alla Kautsky, ma chiedo ugualmente: non è esagerato credere che gli USA abbiano davvero la facoltà di imporre il proprio dominio mondiale attraverso una guerra continua generalizzata, per cui ogni pretesto sarebbe buono allo scopo di aprire nuovi capitoli, utili a perpetuare l'imperialismo? Per scatenare la guerra irachena si sono imbastiti pretesti ridicoli senza riguardo alle remore di altri paesi, e bisogna riconoscere che l'avevate detto già al tempo della guerra afghana.
La guerra è un grosso problema e capire quella d'oggi non è facile. È vero, come dite, che si deve cercar di capire non solo le manifestazioni guerresche ma soprattutto il travaglio economico sociale e politico del capitalismo per cercare di scorgerne in anticipo le tendenze generali. Solo in esse si possono individuare le future strade della ripresa dei fermenti sociali e dei moti classisti. È un compito arduo, che ha impegnato la nostra corrente, la quale però all'incirca verso la meta' degli anni sessanta si era fermata. Purtroppo non si possono trovare delle risposte pre-confezionate semplicemente rileggendo quanto in proposito ha scritto fino a quella data. E mi sembra effettivamente fuori dalla realtà il ripetere, come fa qualcuno, formulette tipo "guerra alla guerra", o "trasformazione della guerra imperialista in guerra civile", o "Fuori l'Italia dalla NATO" (o "Fuori la Nato dall'Italia"), che di per sé non significano nulla. Lo sforzo che va fatto è quello per giungere a una sintesi teoria-prassi, cogliendo le particolarità delle trasformazioni del mondo capitalistico almeno in questi ultimi trent'anni. Quello pubblicato sulla rivista n. 11, dedicata alla "politiguerra americana", mi sembra un buon passo, anche se ho difficoltà a immaginare un'azione conseguente.
Editoriale: Non potete fermarvi
Articoli: Evoluzione extra biologica - Transizione di fase. Prove generali di guerra
Rassegna: Presa d'atto - Il capitalismo è morto
Recensione: Dallo sciopero, alla rivolta, alla Comune - Guerra civile negli USA, ma non quella vera
Doppia direzione: Il programma immediato non ammette mediazioni
Libertà
Viviamo in una società che scoppia. I suoi membri, divisi o raggruppati secondo criteri il più delle volte arbitrari e casuali, non riescono più a darsi un'identità plausibile. La pandemia, invece di compattare gli individui intorno a provvedimenti utili alla salvaguardia della specie, ha aggravato la situazione facendo emergere ataviche tendenze all'irrazionale.
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