La teleconferenza di martedì sera, presenti 21 compagni, è iniziata prendendo spunto da un articolo pubblicato sul sito Difesa Online intitolato "Hamas e Houthi e la guerriglia modernizzata a lunga distanza".
Secondo la testata giornalistica, che diffonde informazioni sulle Forze Armate italiane e straniere, l'attacco del 7 ottobre condotto da Hamas in territorio israeliano è da classificare come "guerriglia modernizzata a lunga distanza". Nella guerra ibrida "non esistono più fronti chiari e definiti", perché si è abbandonata la logica centrata sul controllo del territorio nemico. La guerriglia del passato si svolgeva in uno spazio circoscritto, mentre adesso le forze irregolari hanno la capacità di colpire a decine se non centinaia di km di distanza (come nel caso degli Houthi). In Medioriente ci sono diverse organizzazioni armate non statali: Hamas, gli Houthi, Hezbollah, e tutti gli altri gruppi meno conosciuti che si scontrano con Stati come Israele e USA. I gruppi armati non statali sono collegati sia economicamente che militarmente a forze statali (nel caso di Hamas, con Iran ma anche Qatar) e non si limitano ad utilizzare armamenti leggeri o ordigni costruiti artigianalmente, ma impiegano anche armi tecnologiche avanzate e di una certa potenza. All'escalation verticale della guerra ibrida data dalla potenza di fuoco acquisita da soggetti non statali (Hamas ha sparato oltre tremila razzi contro Israele in poche ore), si accompagna la possibilità di una escalation orizzontale, che si allarga coinvolgendo sempre più soggetti, statali e non.
Durante la teleconferenza di martedì sera, a cui hanno partecipato 16 compagni, abbiamo affrontato i grandi fatti della settimana appena trascorsa, ovvero le manifestazioni e le rivolte scoppiate in Sri Lanka, Albania, Kenya, Panama, Corea del Sud, Ghana, Bosnia, Argentina e India, sull'onda degli aumenti dei prezzi dei generi di prima necessità e del carburante.
Le conferme alle nostre previsioni arrivano sia dalla prassi, con la diffusione a livello globale di quello che qualche anno fa abbiamo definito "marasma sociale e guerra", sia a livello teorico, e qui ci riferiamo all'editoriale dell'ultimo numero di Limes ("La guerra russo-americana", 6/22) in cui si afferma che comunque vada a finire questa guerra, il mondo non sarà più quello di prima:
"Da questo conflitto nascerà un nuovo disordine mondiale. Non un ordine, perché chiunque vinca, o sopravviva, non sarà in grado di riprodurre la Pax Americana. Nemmeno l'America. Washington resterà il Numero Uno per carenza di alternative. Ma il capoclassifica non potrà ostentarsi egemone globale, né forse lo vorrà. Ridurre ad unum questa Babele d'otto miliardi di anime e diverse centinaia di attori o comparse geopolitiche è affare di Dio, non di Cesare. Per quanto intuiamo, Dio non è interessato all'impresa. Preghiamo."
Gli esperti di geopolitica si affidano al buon Dio per uscire dal caos, noi invece riteniamo che siano i processi di auto-organizzazione sociale a rompere gli equilibri precedenti facendo fare un balzo in avanti all'umanità. Superata una certa soglia, si determina una "polarizzazione" o "ionizzazione" delle molecole sociali, che precede all'esplosione del grande antagonismo di classe.
La teleconferenza di martedì sera, a cui si sono collegati 16 compagni, ha preso le mosse dalla lettura di un passaggio dall'articolo "Nel 1972 è stato previsto il collasso della società nel 2040", pubblicato sul sito italiano della rivista Vice:
"Nel 1972, un gruppo di scienziati del MIT ha studiato i rischi relativi all'eventuale collasso della civiltà. Il loro modello di dinamica dei sistemi, pubblicato dal Club di Roma, ha identificato i 'limiti dello sviluppo' che porterebbero la nostra civiltà industriale sulla strada verso il collasso proprio nel ventunesimo secolo, a causa dello sfruttamento incontrollato delle risorse planetarie".
Il collasso sistemico è in atto e le prove sono sotto gli occhi di tutti. Lo scorso 31 luglio l'Economist ha pubblicato una rassegna di tutte le manifestazioni e i tumulti scoppiati sul pianeta negli ultimi due anni ("The pandemic has exacerbated existing political discontent"). Già prima della pandemia, a partire almeno dal 2011, gli episodi di rivolta si contavano nell'ordine delle migliaia (vedi i nostri articoli "Marasma sociale e guerra" e "Occupy the World togheter"). Secondo l'Institute for Economics and Peace (IEP), un think tank di Sydney, tra il 2011 e il 2019 i grandi movimenti di protesta sono cresciuti di 2,5 volte; nel 2020 i disordini civili sono aumentati del 10% e le manifestazioni generalizzate hanno coinvolto 158 paesi. Le epidemie hanno conseguenze sociali, sottolinea nell'articolo il settimanale inglese citando il FMI: dal momento in cui erompono allo sviluppo di disordini sociali di massa passano solitamente 12-14 mesi. L'ultimo caso in ordine di tempo è quello di Cuba, paese che nel tempo ha sviluppato un'ampia rete di intelligence in grado di schiacciare possibili rivolte e movimenti anti-governativi, ma che ora, in seguito al malessere e al disagio causati dal peggioramento della condizione sanitaria ed economica, si ritrova incapace di arginare quanto accade nella società (l'11 luglio scorso migliaia di persone hanno marciato in più di 50 località al grido di "libertà").
Durante la teleriunione di martedì sera, a cui hanno partecipato 16 compagni, abbiamo affrontato il tema "informazione e wargame", partendo da un articolo de Il Post dedicato allo studio condotto da un gruppo di ricercatori di diversi ambiti scientifici sull'impatto dei social network sui comportamenti collettivi e, di conseguenza, sulla società intera.
Secondo gli studiosi, l'avvento di Internet e del digitale ha accelerato i cambiamenti nei sistemi sociali. In particolare, i social network e le attuali tecnologie di telecomunicazione hanno permesso un repentino quanto esteso ampliamento (otto ordini di grandezza) delle modalità di interazione fra le persone e di condivisione delle informazioni, condizionandone i meccanismi. Tutto ciò può essere pericoloso per la tenuta del sistema, sostengono gli autori dello studio, perché avviene senza una teoria, e cioè senza sapere come tali cambiamenti influiscano sul modo in cui gli utenti di queste piattaforme formano le loro convinzioni e opinioni; le dinamiche soggiacenti, soprattutto a tale scala, potrebbero avere conseguenze indesiderate e "favorire lo sviluppo di fenomeni come manomissioni elettorali, malattie, estremismo violento, carestie, razzismo e conflitti".
Alla teleconferenza di martedì sera hanno partecipato 15 compagni. La discussione è iniziata prendendo spunto dall'articolo dell'Economist "Broadbandits: The surging cyberthreat from spies and crooks", un'indagine sui recenti attacchi informatici ad aziende, scuole, eserciti e infrastrutture, ad opera di gruppi criminali e altri soggetti non meglio definiti, anche a carattere statale.
Lo scorso maggio un gruppo hacker ha bloccato per cinque giorni l'oleodotto che fornisce quasi la metà del petrolio destinato alla costa orientale degli Stati Uniti; per riprendere l'attività, gli aggressori hanno chiesto alla proprietà, la Colonial Pipeline Company, un riscatto di 4,3 milioni di dollari. Pochi giorni dopo, un altro attacco "ransomware" ha paralizzato la maggior parte degli ospedali dell'Irlanda.
Il rischio informatico è più che quadruplicato dal 2002 e triplicato dal 2013. Gli attacchi si sono estesi globalmente e hanno interessato una gamma sempre più ampia di settori. L'aumento del numero di lavoratori in smart-working durante la pandemia ha fatto lievitare il rischio per la sicurezza delle aziende, che l'anno scorso sono state colpite ad un livello mai visto prima. Di fronte a questo quadro inquietante, le agenzie di intelligence private e statali sono in allarme. Tutti i paesi hanno hub fisici vulnerabili, come oleodotti, centrali elettriche e porti, il cui sabotaggio potrebbe bloccare molte attività economiche. Il settore finanziario è un obiettivo del cosiddetto crimine informatico: come dice The Economist, di questi tempi i rapinatori di banche preferiscono i laptop ai passamontagna. Chi di dovere è preoccupato della possibilità che un attacco hacker provochi il collasso di una banca.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 18 compagni, è iniziata con le notizie riguardo gli ultimi sviluppi della situazione libanese, a cominciare dall'esplosione avvenuta nella zona del porto di Beirut.
Da giorni le piazze del paese mediorientale si riempiono di migliaia di manifestanti che si scontrano violentemente con la polizia e lanciano slogan contro il governo e contro Hezbollah. A Beirut, sabato 8 agosto, sono stati presi d'assalto i ministeri dell'Energia, degli Esteri e dell'Economia, mentre decine di manifestanti sono riusciti ad entrare nella sede dell'Associazione delle Banche del Libano. L'esercito è intervenuto per sgomberare il ministero degli Esteri, dove gli occupanti avevano issato uno striscione con la scritta "Beirut capitale della rivoluzione".
A Chicago, negli Stati Uniti, è stato imposto il coprifuoco e i quartieri del centro, dopo una notte di scontri e saccheggi, sono stati isolati dal resto della città. Da mesi le principali città americane sono in fibrillazione; a Portland gli incendi e gli scontri con le forze dell'ordine continuano tutte le notti da oltre 60 giorni. Anche in Bielorussia, a Minsk, ci sono state decine di manifestazioni, che hanno visto la partecipazione del mondo del lavoro: hanno scioperato i metallurgici, i minatori, i lavoratori dell'azienda del gas e quelli degli zuccherifici. Durante le assemblee si è sentito parlare di "sciopero fino alla vittoria".
La teleconferenza di martedì, a cui hanno partecipato 18 compagni, è iniziata con la segnalazione della scoperta in Cina di un nuovo virus potenzialmente pandemico. Discendente dal ceppo dell'influenza suina, che nel 2009 causò migliaia di morti e centinaia di migliaia di contagi soprattutto in America, la nuova variante è stata individuata da un gruppo di ricercatori cinesi impegnati nel programma di sorveglianza per l'emergenza e il contrasto di nuove minacce virali. Dalle analisi effettuate è emerso che il virus ha già fatto il salto di specie (dai maiali all'uomo), mentre non sarebbe ancora in grado di trasmettersi da uomo a uomo. La notizia è rimbalzata sulle pagine dei giornali, ma in un altro periodo probabilmente se ne sarebbe trovata traccia solamente sulle riviste specializzate. Eppure è dal 2018 che l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha inserito nell'elenco delle malattie con un significativo potenziale epidemico la malattia X, ad indicare non una patologia esistente ma "la consapevolezza che una grave epidemia internazionale possa essere causata da un patogeno attualmente sconosciuto che causa malattie nell'uomo". Il modello è stato elaborato affinchè la comunità sanitaria globale sappia costruire per tempo sistemi adeguati e possa adottare tutte le misure necessarie per prevenire e limitarne la diffusione.
La teleconferenza di martedì sera, connessi 20 compagni, è iniziata riprendendo il tema dell'estinzione dello stato nel passaggio rivoluzionario tra capitalismo e comunismo.
Un apparato coercitivo che consente ad una parte della società di dominare sull'altra ha senso solo in una società classista, mentre in una post-classista ciò che serve è un organismo di coordinamento atto alla soddisfazione dei bisogni della specie. Lo stato non è neutrale: se le macchine o le armi possono essere usate sia dalla borghesia che dal proletariato, lo stato è uno specifico organo di classe e, nella "nostra" dottrina dei modi di produzione, il futuro di specie è descritto come negazione di tutte le categorie esistenti (stato, classi, valore, ecc.).
Nella prima grande rivoluzione dalle società senza stato a quelle statali, abbiamo visto come alcuni strumenti, che servivano a quantificare il prodotto sociale, hanno dato il via a quel processo che successivamente ha portato alla nascita del denaro. L'organismo predisposto alla produzione e distribuzione del prodotto passa da elemento di contabilità ad elemento di coercizione di una classe su di un'altra. In maniera del tutto speculare, il denaro smaterializzato d'oggi si trasformerà in buoni-lavoro non accumulabili. L'amministrazione di specie abbandonerà il segno di valore astratto e si riapproprierà di una registrazione di movimento empirico.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 26 compagni, è iniziata con alcune considerazioni riguardo le manifestazioni in corso in tutto il pianeta, notando come esse mostrino con sempre maggior evidenza caratteri e dinamiche simili.
Negli Usa proseguono le mobilitazioni che vanno genericamente sotto il nome di Black Lives Matter, alimentate dalle uccisioni quasi quotidiane di afroamericani da parte della polizia. Il movimento ha iniziato a demolire le statue di colonizzatori o razzisti, provocando la reazione dei suprematisti bianchi che in alcuni casi si sono schierati armati a difesa dei monumenti. Ad Albuquerque, in New Mexico, durante l'abbattimento della statua di un "conquistador" da parte di un gruppo di antirazzisti, un "vigilantes" ha ferito a colpi di armi da fuoco un manifestante. Anche in Inghilterra, a Londra, nello scorso week end si sono verificati scontri di piazza tra nazionalisti, polizia e attivisti di Black Lives Matter.
Negli stati federati crescono intanto le zone autonome, come quella di Seattle. Nuove aree "liberate" sono nate a Nashville, Ashville, Chicago e Philadelphia. Per ora non si sa molto di quanto accade in queste autonomous zone, anche se dalle informazioni che circolano in rete sembra si tratti di esperimenti che si inseriscono nel solco tracciato da Occupy Wall Street. La Capitol Hill Autonomous Zone (#Chaz) di Seattle si autogestisce e si ritiene altra cosa rispetto allo stato, avvisando chiunque entri nell'area che sta lasciando il territorio degli Stati Uniti d'America. Su Twitter si trovano immagini di membri del servizio d'ordine della Chaz armati, una forma di radicalizzazione rispetto a OWS, che è stata un'esperienza tutto sommato pacifica. Anche alcune manifestazioni antirazziste sono state aperte da cordoni di manifestanti armati, come nel caso di Atlanta, dove un corteo ha visto in prima linea militanti delle Black Panthers.
La teleconferenza di martedì sera, connessi 27 compagni, è iniziata con alcune considerazioni riguardo la situazione negli Usa ed in particolare le manifestazioni in corso, partendo dal nostro volantino "Portaerei agli ormeggi?".
Il contesto che si è venuto storicamente a determinare negli Stati Uniti vede la popolazione americana affrontare una sorta di colonizzazione interna, dato che in milioni si ritengono prigionieri di uno Stato che percepiscono come nemico. Almeno dall'epoca della deregulation di Reagan, è iniziato un progressivo assottigliamento della middle class (che è costituita anche da elementi della working class, dato che lì la posizione sociale è calcolata sulla base del reddito), e ciò ha rappresentato un duro colpo alle basi economiche e sociali della società statunitense, mettendone a repentaglio l'equilibrio interno. Nel filo del tempo, "Imperialismo vecchio e nuovo" del 1950, si afferma che:
"Il capitalismo deve cedere a forme di più alta resa economica oltre che per le sue infinite conseguenze di oppressione, distruzione e di strage, per la sua impossibilità ad 'avvicinare gli estremi delle medie' non solo tra metropoli e paesi coloniali e vassalli, tra zone progredite industriali e zone arretrate agrarie o di agricoltura primordiale, ma soprattutto fra strato e strato sociale dello stesso paese, compreso quello dove leva la sua bandiera negriera il capitalismo più possente ed imperiale."
La teleconferenza di martedì sera, presenti 27 compagni, è iniziata dalla segnalazione di alcune news di carattere economico.
A causa del lockdown sono tante le aziende fallite o prossime al fallimento. In Italia, l'associazione di categoria dei commercianti, Fipe-Confcommercio, ha previsto la chiusura di 50.000 attività e la perdita di circa 300 mila posti di lavoro, soprattutto nei settori della ristorazione e dell'intrattenimento: bar, ristoranti, pizzerie, discoteche. L'americana Hertz, che si occupa di noleggio di auto, ha dichiarato la bancarotta, mentre in Francia il colosso automobilistico Renault ha chiesto aiuto allo stato per salvarsi dalle ingenti difficoltà economiche in cui versa. Ma anche gli stati non navigano in buone acque. L'Argentina sta contrattando il suo nono fallimento, il terzo dall'inizio del nuovo millennio, e il Libano è alle prese con un default in un contesto sanitario, sociale ed economico gravissimo.
La crisi determinata dalla pandemia si aggiunge alla crisi storica del capitalismo senile. La robotizzazione della produzione porta alla riduzione del numero di operai impiegati e ciò nega il funzionamento della legge del valore-lavoro. Una singola fabbrica può automatizzarsi sfruttando il differenziale con le altre, ma da una generale robotizzazione della produzione non si ricaverebbe più plusvalore , perché non esisterebbe più una forza-lavoro da sfruttare, diventata del tutto superflua. Una società è tanto più moderna quanto più libera forza lavoro. Per noi, la "dottrina dell'automatismo nella produzione si riduce a tutta la nostra deduzione della necessità del comunismo, fondata sui fenomeni del capitalismo" ("Traiettoria e catastrofe…", 1957).
La teleconferenza di martedì sera, a cui si sono collegati 28 compagni, è iniziata con la lettura di un passo del Manifesto del 1848 particolarmente significativo rispetto alle crisi del sistema capitalistico:
"I rapporti borghesi sono divenuti troppo angusti per poter contenere la ricchezza da essi stessi prodotta. Con quale mezzo la borghesia supera le crisi? Da un lato, con la distruzione coatta di una massa di forze produttive; dall'altro, con la conquista di nuovi mercati e con lo sfruttamento più intenso dei vecchi. Dunque, con quali mezzi? Mediante la preparazione di crisi più generali e più violente e la diminuzione dei mezzi per prevenire le crisi stesse."
La teleconferenza di martedì sera, presenti 11 compagni, è iniziata con la segnalazione di un articolo pubblicato sul Corriere della Sera, sulla relazione tra cambiamenti climatici e crisi finanziarie.
Proprio in questi giorni si sta svolgendo a Davos il World Economic Forum per discutere delle questioni in materia di salute e di ambiente, ma soprattutto di business. L'ecologismo nasce con le prime organizzazioni di nobili inglesi che erano costretti a respirare i veleni della Londra dei primi dell'800. Essendo un argomento interclassista per eccellenza mette d'accordo tutti, nessuno può negare che l'impronta ecologica è data; mentre si nega invece, per principio, l'incapacità del capitalismo ad affrontare questa situazione. Nell'articolo "Un modello dinamico di crisi" del 2008 avevamo visto come già nel 1961 l'umanità consumava il 50% della biocapacità media del pianeta, mentre nel 2003 ne consumava già il 125%. L'impronta ecologica offre la misura di quanto s'è allargato il divario fra l'equilibrio termodinamico e la dissipazione di energia, cioè di risorse che, perdurando il sistema capitalistico, andranno irreversibilmente perdute, come la foresta primaria o l'acqua di molti fiumi a causa del prelievo per l'agricoltura e per le metropoli. La massa biologica sulla terra è una piccola parte rispetto alla massa del pianeta intero. L'uomo intacca la prima, logorando le possibilità per la sua stessa riproduzione. Tuttavia, la Natura ha prodotto l'uomo il quale si dovrà adeguare alla condizione della biosfera: una delle conseguenze della distruzione di massa biologica innescata dall'attività umana è la perdita di biodiversità sul nostro pianeta per cui si sta andando verso la sesta estinzione di massa, peggiore di quella del Cretaceo quando il 95% delle specie esistenti è scomparso dalla faccia del Pianeta.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 15 compagni, è iniziata con alcune considerazioni riguardo l'attacco missilistico americano vicino all'aeroporto di Baghdad, che è costato la vita al generale iraniano Qassam Soleimani e alla sua scorta.
Contrariamente a quanto affermato dal settimanale l'Internazionale, gli Stati Uniti non hanno iniziato con questa azione una guerra contro l'Iran, dato che un conflitto è già in corso da tempo: nel mondo globalizzato d'oggi la guerra esiste sempre, anche quando tacciono i cannoni. Nell'articolo "Dall'equilibrio del terrore al terrore dell'equilibrio", analizzando le trasformazioni avvenute negli ultimi cinquant'anni, abbiamo scritto che "la guerra all'ultimo sangue tra concorrenti non avviene più per conquistare aree di sbocco alle proprie merci e capitali ma per ripartire il plusvalore prodotto in un mondo ormai interamente conquistato dal Capitale."
Soleimani rappresentava un importante hub nella rete di rapporti che l'Iran ha costruito negli anni in Libano, Yemen, Siria e Iraq, ottenendo risultati militari e politici non indifferenti. Il missile che ha colpito il suo generale nella capitale irachena è quindi un avvertimento, al quale potrà rispondere solo con azioni simboliche, o al massimo creando fastidi intorno all'importante stretto di Hormutz. Ma in ogni caso non potrà pestare troppo i piedi agli Stati Uniti, per il semplice motivo che non ne ha la forza.
La teleconferenza di martedì sera, a cui hanno partecipato 16 compagni, è iniziata riprendendo il tema della parabola storica del plusvalore, nell'ottica di analizzare le profonde determinazioni che stanno alla base delle proteste e delle rivolte attualmente in corso in diversi paesi.
Prendiamo il caso di FCA (ex Fiat). L'azienda impiega circa 200mila dipendenti in tutto il mondo, produce circa 5 milioni di autovetture all'anno, e per il 2018 ha dichiarato un fatturato di 110 miliardi di dollari. Pur esistendo un unico marchio che ne identifica le merci, la maggior parte dei componenti che vengono poi assemblati negli stabilimenti è prodotta da una rete di imprese in outsourcing. Da un pezzo la fabbrica è uscita dalle mura aziendali, distribuendosi sul territorio grazie al sistema della logistica; oggi non esiste più la grossa fabbrica verticale di novecentesca memoria che produceva tutto da sé, ma le lavorazioni sono state in prevalenza esternalizzate ("Sull'uscita di Fiat da Confindustria e alcuni temi collegati"). Se in Italia agli inizi del 2000 la Fiat contava 112mila addetti, oggi Fca ne impiega 29mila, comprese Maserati e Ferrari.
La teleconferenza di martedì sera, connessi 13 compagni, è iniziata con alcune considerazioni sul testo Salario, prezzo e profitto di Marx, ed in particolare sul capitolo "La forza lavoro".
Il lavoratore moderno non vende sé stesso ma la sua particolare forza lavoro, secondo un processo storico di dissociazione tra l'operaio e i suoi mezzi di lavoro: "La separazione del lavoratore e degli strumenti di lavoro, una volta compiutasi, si conserva e si rinnova costantemente a un grado sempre più elevato, finché una nuova e radicale rivoluzione del sistema di produzione la distrugge e ristabilisce l'unità primitiva in una forma storica nuova".
Oggi la produttività del lavoro è altissima: pochissimo lavoro vivo mette in moto una grande quantità di lavoro morto, sottoponendo la legge del valore a dura prova. Troppo capitale, troppe merci e troppa produzione sociale rispetto all'appropriazione privata spingono il sistema al limite. Naturalmente esiste un nesso tra questo insieme di fenomeni e le rivolte che stanno scoppiando nel mondo.
La teleconferenza di martedì sera, a cui si sono collegati 13 compagni, è iniziata prendendo spunto da alcune notizie provenienti da Hong Kong.
Secondo il New York Times, la vera miccia che ha innescato le proteste in corso è la questione delle abitazioni: in una città di 7,4 milioni di abitanti, diverse centinaia di migliaia di persone con bassi salari vivono in appartamenti piccolissimi. Il motore delle proteste sarebbe quindi da ricercare nella miseria crescente: da una parte l'élite finanziaria che detiene tutta la ricchezza, al polo opposto milioni di senza riserve che con il loro lavoro permettono il funzionamento della metropoli. Dello stesso avviso è Wired, secondo il quale alla narrazione di eroici giovani pro-democrazia, teleguidati dagli Usa contro il totalitarismo cinese, bisogna opporre la condizione in cui vivono milioni di precari, disoccupati e lavoratori impoveriti. Hong Kong detiene il record della metropoli dove i lavoratori hanno la settimana lavorativa più lunga del mondo.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 12 compagni, ha preso spunto da tre temi apparentemente diversi tra loro: la situazione politica italiana con le dimissioni del premier Conte, le continue manifestazioni ad Hong Kong, la prospettiva, data per certa da molti economisti, di una recessione globale in arrivo.
Dagli interventi al Senato dello scorso 20 agosto, sia del presidente del consiglio dimissionario, che del capo della Lega Salvini, di Renzi, nonché di tutti gli altri colleghi, non emergeva uno straccio di programma oltre alle reciproche accuse. Il personale politico e le relative proposte sono scadenti perché il sistema nel suo insieme ha sempre meno energia per andare avanti. Il presidente della CEI, il cardinale Bassetti, presente al Meeting di Rimini di Comunione e Liberazione e sollecitato dai giornalisti in sala a prendere la parola, ha affermato: "Ancora di crisi volete farmi parlare? Ma la crisi è di sistema, è di visione, prima che del governo".
La sovrastruttura politica borghese, del tutto impotente rispetto ai cambiamenti epocali in corso, arranca cercando di restare al passo con i tempi. Sono all'ordine del giorno improvvisi rimescolamenti politici, vischiose alleanze fra partiti fino a pochi giorni fa "nemici", faide fra correnti interne agli stessi, autodistruzione di raggruppamenti e leaders, situazioni precarie passibili di rovesciamenti repentini.
Durante la teleconferenza di martedì 6 agosto, a cui si sono connessi 10 compagni, abbiamo commentato le ultime notizie provenienti da Hong Kong e da altri luoghi del mondo, traendo alcune considerazioni generali sui movimenti che negli ultimi tempi si stanno manifestando.
Lunedì 5 agosto a Hong Kong c'è stato lo sciopero generale. Il venerdì precedente, in preparazione alla mobilitazione successiva, hanno incrociato le braccia gli impiegati statali; ne ha parlato Asia News nell'articolo "Legge sull'estradizione: manifestano anche gli impiegati statali e delle banche", in cui si preannunciava il coinvolgimento dei lavoratori di 34 istituti bancari, ma non solo, nella giornata dello sciopero generale: "Fra essi vi sono persone che lavorano nelle banche locali, in quelle internazionali e perfino nelle banche statali cinesi. I sindacati del mondo finanziario vanno ad aggiungersi ai sindacati di altri 95 gruppi sociali dei settori pubblico e privato. Fra essi vi sono insegnanti, piloti di aerei, hostess e stewards, avvocati, artisti."
Lo sciopero di lunedì ha bloccato il traffico ferroviario e aeroportuale, causando la cancellazione di più di 100 voli. La situazione di forte tensione sociale ha spinto la governatrice Carrie Lam ad affermare che la città si trova sull'orlo del caos e che il governo sarà risoluto nell'assicurare l'ordine pubblico. Le manifestazioni, nate per protesta contro la legge sull'estradizione in Cina, si sono allargate all'intera società, e il governo di Pechino ha lanciato il suo monito: attenzione a non confondere la prudenza con la debolezza.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 11 compagni, è iniziata commentando le manifestazioni in corso ad Hong Kong.
Sono più di un milione, secondo gli organizzatori, le persone scese in strada nell'ex colonia britannica per contestare il progetto di legge che prevede l'estradizione in Cina dei cittadini sospettati di un crimine con pena superiore ai sette anni di detenzione. Il timore che l'indipendenza giudiziaria venga meno a causa dell'ingerenza cinese sarebbe stata la scintilla che ha fatto scattare la rivolta, ma al di là dei problemi specifici quando scende in strada un numero così ampio di persone vuol dire che c'è qualcosa che va oltre l'immediato. Hong Kong non è nuova a queste vampate di collera sociale: nel 2014 il movimento Umbrella Revolution aveva riempito le piazze per giorni e giorni.
Nella regione amministrativa speciale vivono circa 7,5 milioni di persone con una densità di 6500 abitanti per kmq; questo significa che uno su sette ha partecipato alle proteste. Insieme alla vicina Shenzhen, che conta 12,5 milioni di abitanti, o ad altre città cinesi, che raggiungono i 30, la città-stato di Hong Kong fa parte della schiera delle metropoli monster: immensi insediamenti umani sempre più difficili da controllare.
La teleconferenza di martedì sera, a cui si sono connessi 14 compagni, è iniziata dal commento di alcune parti del libro M. Il figlio del secolo di Antonio Scurati. Il romanzo tratta della vita di Mussolini, dall'incandescente situazione sociale del primo dopoguerra in Italia alla fondazione del Partito Fascista.
Lo scorso 22 marzo, in occasione del centenario della fondazione dei fasci di combattimento, Scurati ha scritto un articolo per Repubblica, "Il fascismo è ancora vivo dentro di noi", in cui afferma: "Il genus italico ha generato il fascismo. Di più: il fascismo è stato una delle potenti invenzioni (o innovazioni, se preferite) italiane del Ventesimo secolo, che dall'Italia si è propagata in Europa e nel mondo."
In effetti in quel frangente storico l'Italia fu laboratorio politico: la forma fascista si impose prima nella Penisola e poi si diffuse in tutto il mondo, poiché adatta a risollevare le sorti di un capitalismo a rischio collasso. Il più delle volte si confonde il fascismo con la sua sovrastruttura ideologica (la violenza squadrista, la camicia nera, ecc.), quando invece è da intendere quale fenomeno di autoregolazione del sistema, che si è affermato attraverso il potenziamento dello strumento statale. Esso non è sparito - come sostiene Scurati -, bensì ha vinto sul piano politico ed economico.
Durante la teleconferenza di martedì scorso, a cui hanno partecipato 15 compagni, abbiamo fatto alcune considerazioni riguardo i vari movimenti sociali che sempre più frequentemente riempiono le strade e le piazze del pianeta.
Non di rado ci è capitato, in seguito ad una nostra riunione o conferenza, che qualcuno dei convenuti si avvicinasse e ci dicesse che finalmente aveva trovato le parole per esprimere ciò che aveva in testa. Questo semplice e gradito commento rivela un aspetto importante della situazione in cui si trovano prime fra tutte le nuove generazioni e in generale chi si pone controcorrente: il vecchio linguaggio, quello legato al riformismo, allo stalinismo o anche alla Terza Internazionale, è assente o, se presente, non riesce più a funzionare da attrattore, risultando inadatto, e viene quindi ignorato. Allo stesso tempo i movimenti che in questi ultimi tempi hanno fatto parlare di sé, come quello francese dei gilets jaunes, ancora non sono riusciti a formularne uno nuovo. Quando un nuovo linguaggio prende piede, non importa se in ambienti di dimensioni contenute o in ampi strati della popolazione, è sempre segno di cambiamento perché significa che nuove forme risultano maggiormente valide rispetto a quelle tradizionali.
Abbiamo quindi letto alcuni passi dell'articolo "Poscritto al Grande Ponte", tratto dall'ultimo numero della rivista:
La teleconferenza di martedì sera, presenti 13 compagni, è iniziata con la segnalazione di alcuni articoli di stampa sulla situazione economica tedesca.
Abbiamo cominciato commentando l'articolo "Germania, i colossi industriali taglieranno 100mila posti di lavoro" del Sole 24 Ore, per poi passare a quello dell'Huffington Post intitolato "Gli ordini industriali tedeschi crollano ancora con il maggior ribasso da due anni. Più che dimezzate le stime del Pil della Germania". In effetti, a febbraio gli ordini industriali tedeschi hanno segnato una flessione del 4,2% e su base annua dell'8,4%, la più pesante in dieci anni; ciò ha portato i maggiori istituti economici a ridimensionare anche le previsioni di crescita dall'1,9 allo 0,8% per l'anno in corso. La Germania ha una struttura produttiva orientata all'esportazione e, evidentemente, risente della contrazione del commercio mondiale, proprio come l'Italia, tanto che il ministro dell'economia Giovanni Tria, intervistato da Repubblica, ha affermato che la situazione tedesca è sempre più simile a quella nostrana:
"I Paesi più colpiti in Europa, sono le due principali potenze manifatturiere, ossia Germania e Italia. La Germania parte da livelli di crescita del Pil più alti dei nostri e quindi anche il rallentamento non la porta a livelli di crescita vicini allo zero; ma la differenza tra il nostro Paese e loro si mantiene costante, mentre anche secondo stime di organismi internazionali già nel 2020 il gap di crescita tra l'Italia da una parte e la Germania e l'Eurozona dall'altra, si ridurrà."
La teleconferenza di martedì sera, presenti 13 compagni, è iniziata prendendo spunto dall'articolo "Le rivolte anti elité nate dalla rabbia più che dai conti", pubblicato sul Corriere della Sera (4.12.18) a firma di Pierluigi Battista. Secondo il giornalista in vari paesi, tra i quali Francia, Usa, Italia, Germania e Inghilterra, il ceto medio sta facendo i conti con il peggioramento dei livelli di vita:
"Sono i condannati all'esclusione culturale, alla marginalità, all'irrilevanza sociale che si sentono più poveri anche se possono mantenere un Suv. Ed è la paura dell'impoverimento più dell'impoverimento in quanto tale che agita e scuote un ceto medio declassato, assediato dai nuovi dannati della terra che marciano rumorosi a distruggere un'identità sempre più incapace di difendersi: il ceto medio, non solo i diseredati orfani delle protezioni fornite da un robusto Welfare State in declino."
Sulla stessa linea Stefano Folli che sulle pagine di Repubblica, nell'articolo "Roma, Parigi e l'Europa delle debolezze", osserva che "se l'incendio francese continuasse a divampare, Macron avrebbe bisogno della solidarietà europea per placare il malessere dei ceti impoveriti. In quel caso non sarebbe possibile negare all'Italia ciò che viene concesso alla Francia." Il fenomeno francese dei gilet jaune è dunque un prodotto e al tempo stesso un fattore di instabilità politica e sociale. A seguito delle rivolte, il capo dell'Eliseo ha fatto un passo indietro sulla tassa del carburante, anche perché, secondo Le Monde, si rischiava di arrivare ad una situazione pre-insurrezionale. Ma la sua mossa potrebbe convincere le piazze a non fermarsi e ad alzare la posta in gioco, mettendo sul tavolo una nuova serie di richieste.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 13 compagni, ha preso le mosse dalla notizia del raid della coalizione a guida Usa in territorio siriano.
Ufficialmente l'azione bellica è stata la risposta al presunto attacco chimico su Douma da parte del regime di Assad. Gli Usa, coadiuvati da Inghilterra e Francia, hanno bombardato una serie di obiettivi tra cui uno stabilimento di ricerche a Damasco, alcuni centri di stoccaggio di armi vicino Homs, e alcune postazioni di comando, lanciando oltre 100 missili da navi e sottomarini presenti nel Mediterraneo Orientale e da aerei da caccia. Secondo fonti occidentali l'antiaerea siriana avrebbe abbattuto una quindicina di missili, mentre il Ministero della Difesa di Damasco ha parlato di oltre 60 abbattimenti.
La guerra di tutti contro tutti si manifesta con una serie di conflitti sempre più concatenati. L'intervento della coalizione occidentale si configura in funzione anti-Russia e anti-Iran e lancia un messaggio di sostegno alle monarchie del Golfo, in un momento in cui l'espansione sciita nell'area mediorientale è diventata preoccupante. I sauditi sono alle prese con la guerra nello Yemen, ormai fuori controllo, mentre Israele guarda con apprensione la presenza di Hezbollah e degli iraniani ai propri confini. Il conflitto in Siria ha prodotto negli ultimi sette anni 500mila morti, milioni di feriti e un esodo all'interno del paese (circa 2 milioni) e verso l'Europa (4 milioni), riducendo la popolazione del paese di circa 1/3.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 16 compagni, è iniziata dal commento dell'articolo "Il lato oscuro dei mercati: cosa può mandare le Borse in tilt", del Sole 24 Ore, in cui si analizzano le cause non direttamente economiche del crollo dei mercati avvenuto nei giorni scorsi, ovvero l'insieme di espedienti automatici, scambi ad alta frequenza e algoritmi che ormai governano il mondo finanziario.
Secondo il giornale di Confindustria, uno dei pericoli più grandi che minacciano le piazze economiche di tutto il mondo è rappresentato dalla finanza automatizzata: "Ormai il 66% degli scambi azionari in Borsa è fatto da algoritmi. Cioè da computer che vendono e comprano azioni in autonomia, seguendo complessi calcoli matematici. Il 'flash-crash' ha però mostrato che anche queste macchine, apparentemente perfette, possono prendere cantonate. E far scattare vendite automatiche molto velocemente."
Se l'intero mercato azionario è controllato per il 66% da programmi che lavorano autonomamente (ma l'automazione non riguarda solo il mondo delle finanza, tutto ormai è in mano agli algoritmi, dall'industria alla complessa gestione di aeroporti e treni, dalla logistica civile e militare alla grande distribuzione organizzata), allora possiamo affermare che non è più l'uomo a subordinare l'economia ma il contrario. Ciò è la dimostrazione pratica dell'incapacità della classe borghese che, sprovvista di una teoria economica, non riesce ad anticipare i processi sociali ma è costretta a subirli. Dacché esiste il capitalismo, non una crisi è stata prevista, mentre le spiegazioni sono sempre arrivate dopo.
Durante la teleconferenza di martedì, presenti 16 compagni, abbiamo ripreso il tema del funzionamento dei magazzini della logistica, e in particolare quelli di Amazon.
Nell'articolo "Amazon, il successo nasce dal caos: viaggio nel super magazzino italiano" l'ingegnere Tarek Rajjal, general manager della sede italiana dell'azienda, dichiara: "Seguendo i principi dell'algoritmo di Gauss, il nostro software fornisce sempre il percorso più breve". Preso in carico l'ordine, la pistola, lo strumento utilizzato dagli addetti per leggere i codici a barre delle merci, fa da navigatore guidando l'operatore nel minor tempo possibile fino allo scaffale dove si trova il prodotto.
L'ottimizzazione del lavoro, in questo caso basata su un sistema gaussiano, è finalizzata alla riduzione dei tempi per ogni singolo ordine e all'aumento della produttività. Nel magazzino Amazon di Piacenza, così come in quelli di Germania o Stati Uniti, lo sfruttamento è bestiale; diverse inchieste giornalistiche rivelano che i lavoratori arrivano a far uso di psicofarmaci pur di sopportare ritmi e turni di lavoro massacranti. La gigantesca fabbrica della logistica (TNT, SDA, Bartolini, ecc.) e dello shopping in rete (Amazon, Zalando, ecc.) funziona grazie a una massa di facchini e drivers precari e super-sfruttati che hanno sempre meno da perdere, e infatti fanno scioperi, picchetti e blocchi della produzione.
La teleconferenza di martedì sera, connessi 15 compagni, si è aperta con un breve accenno a quanto sta accadendo negli Stati Uniti riguardo l'indagine sull'interferenza della Russia nelle scorse elezioni presidenziali. Mentre parlavamo, le agenzie di stampa battevano le prime notizie sull'attentato a New York.
Pur sembrando eventi scollegati, il Russiagate e l'attacco a Manhattan sono entrambi segnali di una stessa difficoltà, e cioè della grande instabilità che stanno attraversando non solo gli USA ma tutti gli stati in generale. In questi giorni è anche la Spagna a far parlare di sé con le vicende legate alla pretesa indipendenza della regione della Catalogna. Sul tema, interessante l'articolo "Catalan independence drive falters as its wealth fails to provide political leverage" che tenta di individuare le basi materiali che hanno portato alla crisi.
Secondo quanto riportato nel testo, una delle maggiori spinte all'indipendentismo viene dalla giovane e rampante imprenditoria catalana, convinta, per la maggior parte, che la regione sia abbastanza forte per potersi reggere autonomamente e per liberarsi dal peso di un'economia nazionale più debole. "La Catalogna produce 314 miliardi di dollari di beni all'anno e la sua economia è la 34a più forte del mondo, davanti a Hong Kong. Il suo GDP è di $35.000, e supera Corea del Sud, Israele e Italia. I separatisti non vedono alcuna ragione per condividere la loro ricchezza con la Spagna" (DEBKAfile). Ma per ora i governanti catalani, volati in Belgio quando l'aria si è fatta un po' più pesante, non hanno ricevuto riconoscimenti ufficiali, e il neo stato, se dovesse nascere, seguirebbe sicuramente la stessa sorte. Gli unici ad aver teso una mano agli esuli belgi sono stati i nazionalisti fiamminghi, che non possono però offrir loro alcun sostegno formale. L'indipendenza della Catalogna è lontana, almeno dal punto di vista della praticabilità.
La teleconferenza di martedì, a cui si sono collegati 14 compagni, si è aperta con le notizie sugli uragani che si sono abbattuti sugli Stati Uniti.
I dati a disposizione mostrano un crescendo dei fenomeni atmosferici capaci di provocare ingenti danni e di mettere in pericolo la vita umana. Sarà anche colpa del cambiamento climatico in atto, ma la crescente antropizzazione del pianeta non può che peggiorarne gli effetti. Gli uragani, le "bombe d'acqua", e tutti gli altri eventi "naturali" che si verificano sul pianeta, si trasformano in "drammi gialli e sinistri" non appena coinvolgono territori ad alta concentrazione di manufatti.
Recentemente è accaduto negli Stati Uniti con il passaggio dell'uragano Harvey in Texas e di Irma in Florida. Scenari del genere ricordano quanto successo nel 2005, quando Katrina devastò New Orleans. Allora, mentre i soccorsi non arrivavano e i sopravvissuti erano lasciati in balia di sé stessi, si scatenò una sorta di guerra civile con l'occupazione della città da parte dell'esercito, sostenuto dall'intervento degli uomini delle famigerate aziende militari private. L'episodio ha rappresentato un giro di boa per gli Stati Uniti in termini di controllo in ambito metropolitano, anche per l'utilizzo di mezzi corazzati, droni e mercenari.
Sul tema un compagno ha segnalato l'articolo "I signori dei disastri" di Naomi Klein. In continuità con le tesi presentate nel saggio Shock economy. L'ascesa del capitalismo dei disastri, la giornalista canadese sostiene che nel capitalismo i disastri diventano motivo di accumulazione, e quindi di profitto, per una parte ristretta della popolazione (l'1%), e di spoliazione per la restante (il 99%). Per dimostrarlo, parte da ciò che accade a Baghdad nel 2003, quando per l'Iraq viene decisa dall'alto una terapia economica d'urto, basata su una deregolamentazione selvaggia intrisa di corruzione e favorita dal clima di emergenza sociale. In quel caso il disastro sociale che colpisce il territorio non origina da uragani o inondazioni, bensì dall'invasione militare da parte delle truppe a stelle e strisce. Se nel 2003 questo succedeva nell'estrema periferia dell'impero, sostiene la Klein, le stesse dinamiche si vedono successivamente nel cuore del capitalismo, e cioè a New Orleans nel 2005, dove tra l'altro operano quegli stessi mercenari (Blackwater) che difendevano l'1% asserragliato nella zona verde di Baghdad.
La teleconferenza di martedì, presenti 13 compagni, è iniziata commentando le relazioni svolte durante l'ultimo incontro redazionale a Torino.
La prima relazione ha affrontato il tema della salute nella società capitalista. Oggi la medicina vive una pesante dicotomia: da una parte esiste una conoscenza di tipo "occidentale" che prende origine da Galileo, dall'altra quella che abbiamo definito di stampo "leonardesco-orientale". In questa situazione, c'è chi attacca la prima utilizzando pedestremente la seconda, oppure, viceversa, chi si barrica dietro a concezioni e principi cartesiani e riduzionisti. In entrambi i casi domina l'omologazione e la scienza viene piegata all'ideologia, come accaduto con la tifoseria pro o contro vaccini. Il massimo a cui è giunta la nostra epoca è l'interdisciplinarità, ovvero la conferma dell'esistenza di discipline che in qualche modo devono dialogare fra loro. Tutt'altra cosa è invece l'identità monistica e materialistica della conoscenza umana propugnata dalla nostra corrente.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 12 compagni, è iniziata commentando gli ultimi dati sulla produzione italiana.
Secondo l'Istat, lo scorso agosto la produzione industriale ha segnato una crescita dell'1,7% sul mese precedente e addirittura del 4,1% sul 2015. Quest'ultimo sarebbe il maggior incremento da cinque anni a questa parte. Evidentemente i giornalisti che parlano di "boom" mentono sapendo di mentire: i comparti che hanno registrato la maggiore crescita tendenziale sono quelli della fabbricazione di mezzi di trasporto, e le automobili, si sa, vengono sostituite quando diventano vecchie. Inoltre parte dell'oscillazione può essere spiegata con il fatto che ad agosto essa è generalmente bassa e quindi le variazioni percentuali tendono ad essere più accentuate.
La micro-crescita della produzione industriale è un piccolo effetto di un sistema sempre meno oscillante. Abbiamo visto un secolo di oscillazioni fino all'imbuto catastrofico segnato dal 1987, quando tutte le economie si sono sincronizzate ad esclusione della Cina, all'epoca agli inizi della crescita vorticosa che l'ha portata velocemente al livello delle maggiori economie.
La teleconferenza di martedì, presenti 11 compagni, è iniziata commentando le ultime news riguardo la Deutsche Bank.
L'istituto tedesco è passato agli onori della cronaca nei giorni scorsi, quando il Dipartimento di Giustizia statunitense ha chiesto quattordici miliardi di dollari (poi passati a 5) per chiudere il contenzioso sulla vendita di titoli garantiti da mutui nella fase precedente la crisi del 2008. In parallelo sono venuti a galla i risultati degli stress test di giugno del FMI secondo cui la banca tedesca sarebbe altamente a rischio vista l'esposizione di 55 mila miliardi di dollari in derivati: una cifra che vale 15 volte il Pil della Germania e oltre duemila volte la sua capitalizzazione.
La teleconferenza di martedì scorso, presenti 12 compagni, è iniziata prendendo spunto da una e-mail circolata nella nostra rete di lavoro.
Nella Silicon Valley alcune start-up pensano di offrire un reddito di base ad un certo numero di persone confidando che queste facciano qualcosa di utile, che possa essere venduto. Indipendentemente dall'utilizzo aziendale, che comunque diventerà sempre più marginale, anche in questa società, dovranno nascere delle comunità "di produzione/distribuzione" non più basate sul confronto fra valori di scambio ma sul valore d'uso. Molte start-up sono già incamminate su quella via e ne abbiamo commentato degli esempi sulla rivista.
Lo schema immediato che abbiamo mostrato più volte è quello dell'operaio che paga solo un canone e non più merci discrete: se lavora per 100 e riceve 100 in beni materiali o immateriali senza passare attraverso quella forma fenomenica del valore che è il denaro, e tutto il mondo funziona così, il plus-lavoro che è immediatamente plus-prodotto non può diventare plus-valore. Le quantità fisiche, però, si possono accumulare fino ad un certo punto mentre il denaro, per sua natura, si può accumulare all'infinito. Con i buoni lavoro si paga il cibo come avviene con il canone della tv, non c'è più discretizzazione e giustamente Rifkin nel suo L'era dell'accesso dimostra in 400 pagine che siamo alla fine di un modo di produzione, e sono vari gli studiosi che arrivano alle stesse conclusioni.
La teleconferenza di martedì, a cui si sono collegati 13 compagni, è iniziata con le notizie riguardanti il prezzo del petrolio.
Alcune fonti riportano che i satelliti americani avrebbero individuato centinaia di petroliere in viaggio attraverso lo stretto di Hormuz. Il greggio iraniano, libero dalle sanzioni della comunità internazionale, potrebbe ora riversarsi sui mercati mondiali creando ulteriori sconquassi.
Il mercato petrolifero si trova effettivamente in una condizione difficile: il calo dei prezzi, l'accantonamento di grandi riserve (l'Iran ha dichiarato di aver stoccato 50 milioni di barili), e il crollo degli investimenti a lungo termine per le ricerche di nuovi giacimenti rappresentano una miscela micidiale, i cui effetti si registrano ovunque, dall'Arabia Saudita alla Russia al Venezuela. A fronte dei mezzi e della possibilità di produrre a bassa dissipazione, la società capitalista rimane altamente energivora, permanendo ad uno stadio primitivo.
La teleconferenza di martedì, presenti 17 compagni è iniziata con un aggiornamento sui fatti di Colonia.
In merito alla vicenda il governo tedesco ha fatto annunci contrastanti: se in un primo momento ha affermato che quanto accaduto nella notte di Capodanno non è stato il prodotto di un'azione coordinata, ha poi dichiarato che le violenze sarebbero invece il frutto di un'organizzazione spontanea avvenuta tramite Twitter e Whatsapp. Intanto, la caccia all'immigrato ha avuto inizio. Mentre i giornali borghesi si occupano di fomentare l'odio razziale tirando in ballo lo "scontro tra civiltà", la Slovacchia vieta ufficialmente l'ingresso a profughi di religione islamica, la Danimarca sequestra i beni dei rifugiati per contribuire alla copertura delle spese, e a Colonia compaiono le prime ronde degli estremisti di destra.
Sono in molti oramai a parlare apertamente di guerra mondiale. Non passa giorno senza che il cuore del mondo capitalistico subisca attentati. L'ultimo in Turchia, dove, dopo Ankara, questa volta viene colpito il centro turistico di Istanbul.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 16 compagni, è iniziata dalle notizie del nuovo crollo del prezzo del petrolio.
Mentre in passato l'Opec riusciva a mantenere alta la quotazione del greggio tramite il coordinamento dei paesi produttori, oggi non solo non riesce più a farlo, ma si trova nella condizione per cui tale operazione è materialmente impossibile: evidentemente la guerra e il marasma sociale in corso sono più profondi di quanto si percepisca.
La Russia ha annunciato di poter resistere per anni ad un petrolio venduto a 40 dollari al barile, ma è una stupidaggine dato che Mosca dalla vendita di combustibili ricava la maggior parte delle sue entrate. Le dichiarazioni dei governi lasciano il tempo che trovano e, al massimo, rivelano il livello di conflittualità tra le principali potenze mediorientali e mondiali. Nessun produttore di "oro nero" è in grado di resistere a lungo a prezzi così bassi. Per il petrolio vale la legge della rendita: quello che viene intascato dai paesi nel cui sottosuolo giacciono delle riserve è sovraproffitto, mancando il profitto nel settore industriale, il meccanismo di ripartizione del valore si inceppa. Senza contare gli enormi investimenti fatti dagli Stati Uniti nello shale oil dove sono sempre di più le aziende in fallimento.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 12 compagni, si è aperta con la segnalazione di un video sul flusso di migranti che arrivano in Slovenia.
Alimentato dal marasma sociale, prosegue inesorabile l'esodo dei senza riserve che si ammassano alle porte delle metropoli occidentali in cerca di cibo e riparo. Gli stati coinvolti, già in crisi per conto loro, corrono ai ripari come possono, allestendo campi di concentramento e muri improvvisati o puntando, come la Turchia, a inserire milioni di immigrati-schiavi nel mercato del lavoro.
Sul fronte dei rapporti tra paesi imperialisti è scattato, in concomitanza con il Plenum del Partito-Stato cinese, il pattugliamento delle isole artificiali Spratly da parte della marina militare statunitense. Il contenzioso all'origine di queste operazioni riguarda formalmente la sovranità sull'arcipelago, rivendicata dalla Cina; ma appare del tutto evidente il tentativo degli americani di limitare l'espansionismo cinese. Forti della loro tradizione militare aereo-navale, gli Usa non vogliono perdere la loro supremazia, anche perché nella guerra di tutti contro tutti il controllo degli oceani è fondamentale (si veda ad esempio dove è posizionata la Base militare americana Diego Garcia).
La teleconferenza di martedì, collegati 17 compagni, è iniziata con alcune considerazioni sulla situazione politica turca e, più in generale, mediorientale.
La Turchia è un paese capitalista moderno, popoloso, militarmente attrezzato e con un proletariato giovane e combattivo. Inizialmente candidata a polo imperialista dell'area, si trova ora a fare i conti con il marasma sociale crescente e il drastico peggioramento dell'economia nazionale, in linea con il "congelamento" di quella globale.
L'attentato alla manifestazione pacifista indetta dai sindacati di sinistra e dalla componente democratica curda è piuttosto strano: solitamente le esplosioni all'aperto si disperdono e gli effetti ne risultano diminuiti, è perciò rarissimo che il numero dei morti sia così alto. Se è vero, come afferma Limes, che gli americani puntano a "mettere le principali potenze locali l'una contro l'altra per scongiurare egemonie e ritirarsi dalla regione", allora possiamo azzardare l'ipotesi che dietro l'attacco ci sia proprio lo zampino degli Usa. Nell'area è in atto il tentativo di definire nuovi assetti geo-strategici, e si sa che chi ha più potere ha anche maggiore possibilità di manovra.
Comunque, la strage al corteo di Ankara manda un chiaro messaggio al governo turco. Una politica estera tesa a ritagliarsi un ruolo di potenza locale con un raggio di influenza che va dall'Anatolia fino allo Xinjiang cinese, non va bene. Tantomeno lo sterminio dei curdi, i quali sono in prima linea nella guerra allo Stato islamico e sono ritenuti dagli americani gli unici combattenti anti-IS affidabili. Del resto se i curdi siriani, turchi, iracheni e iraniani si mettessero insieme avanzando pretese di unificazione nazionale, per la Turchia sarebbe un grosso problema.
Le notizie sullo scandalo che ha coinvolto la Volkswagen hanno aperto la teleconferenza di martedì sera, a cui hanno partecipato 16 compagni.
Sotto accusa è finito il software per la gestione della centralina, l'unità di controllo del motore: sembra che il programma fosse in grado di riconoscere la fase di test e calibrare le emissioni di gas in modo da rientrare negli standard antinquinamento richiesti dalla legge. In seguito allo scandalo, il titolo del colosso tedesco ha perso in Borsa circa il 35% del suo valore solo negli ultimi due giorni, mentre all'orizzonte si profila il pagamento di multe salatissime. E' molto probabile che la vicenda si allarghi e coinvolga anche altri big della produzione di auto.
La teleconferenza di martedì sera, consueto momento di discussione tra i compagni vicini e lontani (presenti 18), è iniziata dal commento di alcuni dei fatti della settimana.
La polizia interviene in assetto antisommossa per sgomberare due centri sociali in un quartiere popolare di Milano. Gli abitanti della zona si mobilitano e scendono in strada. Dopo alcuni momenti di scontro con le forze dell'ordine si autorganizza un presidio solidale contro gli sgomberi. Il sito di Repubblica trasmette una lunga diretta e si diffondono in rete il disagio e l'insofferenza degli abitanti del quartiere milanese, gli stessi che serpeggiano in tante altre periferie italiane. Per esempio a Tor Sapienza, a Roma, dove l'innesco degli scontri è la protesta della popolazione contro il "degrado". La miseria crescente produce fenomeni diversi a seconda degli scenari e degli ambienti in cui questi si sviluppano, ed è logico che la borghesia soffi sul fuoco per fomentare la guerra tra poveri.
Fatti come quelli di Milano o di Roma sono quindi gli epifenomeni di un impoverimento generalizzato della società e rappresentano un passaggio di fase. Lo registra la Cgil, che proclama lo sciopero generale per il prossimo 5 dicembre (ndr, spostato al 12). Interessante inoltre quanto accaduto il 14 novembre con il social strike italiano.
Alla teleconferenza di martedì sera hanno partecipato 13 compagni.
La discussione è cominciata dall'analisi dei fatti di Turchia. Inoltre è stato segnalato un interessante articolo pubblicato sul sito di OWS in cui l'orizzonte delle lotte viene allargato ai movimenti in corso non solo in Brasile, ma anche in Bulgaria e Bosnia. Nei paesi dell'est Europa le manifestazioni e le proteste sembrano svilupparsi sulla linea di Occupy Ljubljana, il forte movimento nato in Slovenia qualche mese fa. Appare sempre più evidente un'unica matrice in grado di accomunare lotte anche molto distanti geograficamente.
L'ondata di rivolta sembra seguire, come accennato nell'incontro redazionale svoltosi recentemente a Torino, un senso anti-orario per cui questo movimento sociale, partito dalla Tunisia e attraversato il Maghreb e il Mashrek, è arrivato a lambire la polveriera del mondo, il Medio Oriente e i Balcani. Da lì l'ondata di rivolta potrebbe passare per la penisola italiana per ricongiungersi con gli indignados spagnoli. Anche se sembra non esserci una legge soggiacente, certamente la radicalizzazione appare inarrestabile.
La teleriunione, a cui hanno partecipato 13 compagni, è cominciata prendendo spunto dagli articoli di alcuni quotidiani riguardo la possibilità dell'esplosione di una bolla immobiliare in Cina. Nonostante il Pil cinese cresca del 7%, è comunque da considerarsi un dato negativo perché si è di fronte ad un'enorme sovrappopolazione, e cioè 800 milioni di senza riserve da inserire nel ciclo produttivo. L'economia cinese è in forte espansione ma allo stesso tempo presenta un alto livello di finanziarizzazione, al pari dei paesi a capitalismo senile; un suo arresto o una forte flessione avrebbe ripercussioni gravose non solo in Cina ma in tutto il globo.
Alla teleconferenza di martedì sera hanno partecipato 14 compagni.
Si è iniziato discutendo delle lotte immediate dei proletari e delle nuove forme di organizzazione che questi si stanno dando. Flash mob, organizzazione territoriale e coordinamento via Internet, rendono il mondo sempre più piccolo mentre le singole vertenze assumono un carattere glocale. In questi giorni c'è stato lo sciopero dei dipendenti dei fast food di New York e sul sito Chicago86 è stato pubblicato un articolo a tal riguardo. Il sindacato che ha promosso lo sciopero è il Fast Food Forward, attivo nel settore della ristorazione, ma dietro l'ampia organizzazione delle mobilitazioni c'è il sostegno attivo di 99 Pickets Line ("99 Pickets, a working group from Occupy Wall Street, seeks to build a mass worker's movement in New York City and beyond. We are workers, immigrants, artists, the unemployed, students and retirees: the 99%"). E' fondamentale il coordinamento dei lavoratori attraverso la Rete: tramite i social network e la galassia di siti e blog, nati in questi anni sull'onda del movimento Occupy, sta prendendo piede a livello mondiale un movimento sempre più interconnesso.
La riunione è cominciata prendendo in esame due notizie apparentemente scollegate: la proposta del Governo italiano di modificare il Titolo V della Costituzione e il negoziato tra le parti sociali sulla produttività, il quale si dovrebbe concludere al massimo entro il 18 ottobre per poi essere portato "in dono" al Consiglio europeo di Bruxelles. Il Titolo V rappresenta la fine del federalismo? Secondo il Governo l'obiettivo della sua modifica è blindare i tagli agli enti locali (quelli già fatti e quelli che arriveranno con la legge di stabilità) e riportare sotto un maggiore controllo statale le regioni a statuto speciale. Si tratta, negli intenti, di operare sia una drastica riduzione di tutti gli sprechi concessi in epoca di vacche grasse, sia una maggiore centralizzazione istituzionale. Il movimento reale sta lavorando per semplificare gli esecutivi politici: si fa strada uno Stato sempre più invasivo che da una parte potenzia i propri organi istituzionali, mentre dall'altra restringe gli spazi di mediazione sociale ed elimina le false alternative al sistema ormai inutili ed ingombranti.
Editoriale: Non potete fermarvi
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Libertà
Viviamo in una società che scoppia. I suoi membri, divisi o raggruppati secondo criteri il più delle volte arbitrari e casuali, non riescono più a darsi un'identità plausibile. La pandemia, invece di compattare gli individui intorno a provvedimenti utili alla salvaguardia della specie, ha aggravato la situazione facendo emergere ataviche tendenze all'irrazionale.
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