La teleriunione di martedì sera è iniziata riprendendo i temi trattati in chiusura di quella scorsa, ovvero la struttura imperialistica mondiale alla luce della crisi degli stati. Nell'articolo "Super-imperialismo?" (2001), scrivevamo:
"Non può, nel mondo delle borghesie nazionali, esistere un organismo borghese sovranazionale che abbia capacità politica esecutiva, potenza militare sufficiente, indipendenza e funzionamento democratico. Può solo esistere una forza che sia di segno maggiore a tutte le altre e si incarichi dell'ordine. In questo caso gli Stati Uniti. Logicamente essi fanno i propri interessi, ma è anche vero che in generale sono gli interessi del capitalismo e quindi delle nazioni capitalistiche subordinate."
Gli Stati Uniti difendono i propri interessi specifici, che si estendono su scala globale, come la protezione dei punti strategici per il transito delle merci. L'imperialismo delle portaerei è basato sulla proiezione di potenza ed il controllo degli oceani ma, come affermava il geografo inglese Halford Mackinder (Heartland), resta fondamentale controllare quanto accade sulla terraferma.
Haiti, situata a breve distanza dale coste statunitensi, è da tempo in mano a bande e milizie, gli Americani non riescono a ristabilire una parvenza di ordine. In Birmania, dove la Cina ha forti interessi, Pechino potrebbe inviare, per la prima volta, proprie truppe. Nel Mar Rosso, anche a causa dei continui attacchi condotti dagli Houthi, il traffico è diminuito dell'80%.
La teleconferenza di martedì 13 dicembre, a cui hanno partecipato 18 compagni, è cominciata dal commento delle notizie riguardo l'esperimento di fusione nucleare condotto nel californiano Lawrence Livermore National Laboratory (LLNL). Secondo alcuni giornalisti, gli scienziati americani sarebbero riusciti a riprodurre sulla Terra ciò che accade sul Sole e nelle altre stelle.
La fusione nucleare sprigiona un'energia di gran lunga maggiore rispetto a quella ottenuta da petrolio o gas, per di più inquinando molto meno. Potrebbe dunque rappresentare una boccata d'ossigeno per il capitalismo, una via d'uscita alla sua crisi energetica; però, si stima che occorreranno almeno trent'anni per avere i primi reattori e l'attuale modo di produzione non ha a disposizione tutto questo tempo ("Un modello dinamico di crisi": "con i parametri attuali, il sistema collasserà intorno al 2030 o anche prima"). Al di là degli annunci trionfalistici sul rapporto energia immessa/energia ricavata (sarebbero stati generati circa 25 megajoule di energia utilizzando un impulso laser di poco più di 20 megajoule), siamo ancora ben lontani da un bilancio positivo se teniamo conto dell'energia complessiva utilizzata, e non solo di quella dei raggi laser usati per avviare i processi di fusione.
La teleconferenza di martedì sera, a cui si sono connessi 17 compagni, è cominciata con il commento di alcune notizie riguardo al conflitto russo-ucraino.
Il principale supporter militare dell'Ucraina, gli USA, stanno terminando le munizioni per l'artiglieria pesante. A quanto pare, dal punto di vista delle scorte, gli Americani sono messi peggio dei Russi. Viene in mente quanto successo durante la Guerra del Kippur quando si è raggiunto il massimo indice di consumo dei materiali bellici. Allo stato attuale, si sta combattendo una guerra con le armi di quella precedente, ma non bisogna farsi ingannare dalle apparenze: ne sono già in cantiere di nuove come, ad esempio, i missili ipersonici (capaci di raggiugere velocità superiori a mach 5, cinque volte la velocità del suono) che, qualora fossero impiegati, trasformerebbero lo scenario bellico in termini di intensità ed estensione.
Un altro cambiamento rispetto al passato è rappresentato dalla guerra elettronica, si pensi al virus informatico Stuxnet, ideato da Americani e Israeliani per sabotare l'impianto di arricchimento di Natanz in Iran, oppure al recente cyberattacco iraniano contro lo stato albanese. Questo tipo di attacchi, anche se virtuali, producono danni fisici e possono mettere in ginocchio un paese.
Come abbiamo scritto nel volantino "La Quarta Guerra Mondiale", se non si blocca al suo scatto, "la guerra delle macchine, dei sistemi e dell'informazione prenderà il sopravvento e gli uomini diventeranno delle loro protesi, come del resto è già successo in fabbrica."
Durante la teleriunione di martedì sera, presenti 15 compagni, abbiamo discusso della condizione di crescente instabilità in cui versa il mondo.
Dal 31 agosto scorso il gasdotto Nord Stream 1, il più importante canale europeo per il rifornimento di gas naturale, è chiuso per un guasto ad una turbina; il portavoce del governo russo ha dichiarato che la riapertura, inizialmente prevista per il 2 settembre, non avverrà fino a quando non saranno revocate le sanzioni imposte al suo paese per la guerra in Ucraina, poiché esse impediscono che le operazioni di manutenzione delle unità si svolgano in sicurezza. Il blocco dei flussi di gas a tempo indefinito ha causato un'ulteriore impennata del prezzo della materia prima, la chiusura in forte calo delle borse europee, l'indebolimento dell'euro sul dollaro; e appare come una chiara risposta del Cremlino alla decisione dei paesi del G7 di introdurre un tetto massimo al costo del petrolio russo, e dell'Unione Europea di fare lo stesso per il prezzo del gas.
La crisi europea dell'approvvigionamento di gas sta provocando significative ripercussioni anche a livello sociale, e ha portato alla nascita di movimenti contro il caro energia e il carovita in diversi paesi dell'Unione. Il Civil Unrest Index (CUI), l'indice dei disordini civili stilato dalla società britannica di consulenza strategica Verisk Maplecroft, ha rilevato un aumento inedito del rischio di proteste e rivolte nel secondo e terzo trimestre dell'anno in corso. I dati, raccolti negli ultimi sette anni, individuano più della metà dei paesi presenti nella CUI, 101 su 198, come ad alto o estremo rischio, indicando per i prossimi sei mesi un ulteriore deterioramento dovuto all'impatto dell'inflazione, superiore al 6% nell'80% dei paesi di tutto il mondo, sul prezzo degli alimenti di base e dell'energia. I fari sono puntati sull'Algeria, dove inflazione e siccità hanno colpito duramente la popolazione, ma nell'elenco vengono associati anche paesi che a prima vista hanno poco in comune: Bosnia ed Erzegovina, Svizzera, Paesi Bassi, Germania e Ucraina sono tra gli stati con il maggiore aumento di rischio previsto. Inoltre, tra gli stati maggiormente esposti ad un'ondata di proteste ci sono quelli a reddito medio, che durante la pandemia sono riusciti ad approntare misure di protezione sociale e ora stanno tentando di mantenere alti i livelli di spesa: Bolivia, Egitto, Filippine, Suriname, Serbia, Georgia, Zimbabwe e Bosnia ed Erzegovina.
La teleriunione di martedì sera, presenti 13 compagni, è iniziata partendo da alcune considerazioni sulla situazione climatica ed ambientale.
A Saluzzo, in Piemonte, durante un temporale si sono abbattuti chicchi di grandine di 10 centimetri, devastando le coltivazioni. Nelle scorse settimane in India si sono toccati i 60 gradi al suolo e scenari simili si registrano in Spagna. Situazione allarmante anche in Francia ed Inghilterra, dove si è registrato il record delle temperature massime. Si tratta di dati che ricordano le trame di certi film dove il cambiamento climatico repentino accelera fenomeni catastrofici che portano alla fine del mondo. Gli esperti sono concordi nell'affermare che, pur essendo grave il cambiamento in corso, non siamo di fronte a fenomeni come quelli epocali del passato. Il cambiamento climatico di oggi è dovuto a cause umane differenti da quelle geologiche. Esso è il prodotto dell'interazione dell'uomo con l'ambiente, ed è da tenere insieme ai fenomeni di polarizzazione sociale, una sommatoria di concause che possono portare ad effetti non prevedibili. Di pari passo avanza infatti la crisi economico-sociale materiale con le piazze in rivolta, interi paesi al collasso (Sri Lanka), scioperi generali di decine di giorni (Panama), fenomeni che vanno allargandosi su scala globale. Stiamo assistendo ad un'accelerazione, al mix per la tempesta perfetta, termine che prendiamo a prestito dalla borghesia, ma che si inquadra benissimo nelle previsioni catastrofiche di Marx.
La teleriunione di martedì sera, a cui hanno partecipato 21 compagni, è iniziata prendendo spunto dall'ultimo numero dell'Economist ("China's slowdown", 28 maggio).
Due articoli in particolare hanno attirato la nostra attenzione, "How Xi Jinping is damaging China's economy" e "China is trying to protect its economy from Western pressure", di cui abbiamo fatto una sintesi.
La campagna "zero contagi" condotta dal governo cinese sta avendo un impatto negativo sull'economia nazionale, dato che la produzione industriale e i volumi delle esportazioni sono diminuiti (nonostante migliaia di operai siano costretti a dormire in fabbrica per evitare contagi e produrre di più). Dopo quasi due mesi di blocco la città di Shanghai sta allentando il lockdown, ma la Covid non è stata debellata dal paese: nuovi focolai si registrano a Pechino e Tianjin, e ci sono ancora 200 milioni di persone sottoposte a restrizioni.
Il Partito Comunista Cinese teme che un'apertura troppo veloce potrebbe provocare milioni di morti. In effetti, i vaccini cinesi sono meno efficaci di quelli occidentali e nel paese vi è una bassa copertura con la dose booster per gli ultrasessantenni. Sulla gestione della pandemia si gioca la buona riuscita del 20° congresso del PCC fissato entro la fine dell'anno, durante il quale Xi Jinping intende essere confermato per un terzo mandato come presidente.
Durante la teleriunione di martedì sera, a cui si sono connessi venti compagni, abbiamo ripreso la discussione sulla guerra in Ucraina.
In un'intervista sul conflitto in corso l'ex ufficiale della Cia Larry C. Johnson dipinge uno scenario diverso rispetto a quello proposto dai media mainstream occidentali. Secondo l'analista militare, la Russia ha già vinto la guerra ed ora non le rimarrebbe che un lavoro di pulizia. Già a 24 ore dall'inizio delle operazioni militari, gli attacchi russi avrebbero distrutto le capacità radar ucraine mettendo così fuori combattimento la forza aerea del paese; il fatto che la lunga colonna di carri armati russi, posizionata a ridosso di Kiev, non abbia subito nessun tipo di attacco ne sarebbe la riprova. A questo si aggiungono i pesanti bombardamenti alle basi di Yavoriv e Zhytomyr, de facto basi Nato in quanto utilizzate dall'Alleanza come centri di addestramento e logistici per fornire armi e combattenti all'Ucraina.
L'analisi di Johnson, che tutto sommato offre chiavi di lettura più coerenti rispetto a quelle della propaganda ufficiale, conferma quanto detto durante la scorsa teleriunione e cioè che la Russia non si sta ritirando perché in difficoltà, ma ha invece raggiunto parte dei suoi obiettivi (il controllo della fascia che va dal Donbass alla Crimea, e di quella più a nord che segue il confine russo-ucraino), e ora sta riposizionando le proprie truppe. Da stabilire, anche alla luce dei negoziati in corso, se una configurazione di questo tipo possa bastare per chiudere le ostilità.
La guerra potrebbe estendersi nell'Indo-Pacifico con un'azione militare cinese contro Taiwan?
La teleconferenza di martedì sera, connessi 19 compagni, è iniziata commentando quanto è accaduto recentemente in Kazakistan, ultimo episodio in ordine cronologico del processo che abbiamo definito "Marasma generale e guerra" (rivista n. 29):
"Quella che stiamo analizzando è un'onda sismica la cui energia sotterranea è la stessa per tutti i differenti fenomeni di superficie, dove qua crolla un muro, là si apre una voragine e altrove cade una frana."
Il Kazakistan ha fatto parte dell'Unione Sovietica fino alla sua disgregazione. Ha una superficie di circa 2,7 milioni di kmq (nove volte l'Italia) e 18 milioni di abitanti; nel suo sottosuolo giaceva il 60% delle risorse minerarie dell'ex blocco sovietico, mentre il suo territorio ne rappresentava il 20% delle terre coltivabili. Attualmente è uno dei maggiori fornitori di frumento e altri generi alimentari per tutta l'area russa. E' il primo produttore al mondo di uranio, ha ampie riserve di petrolio, ed è tra le poche nazioni a disporre di "terre rare", fondamentali nelle produzioni di tecnologia digitale, dalle rinnovabili all'auto elettrica. Dopo la caduta dell'Urss, in tutta la fascia centroasiatica si sono stabilite delle oligarchie, in Kazakistan ben rappresentate dall'ex presidente Nursultan Nazarbaev. Nel paese la ricchezza è concentrata nelle mani di élite ristrettissime, mentre la popolazione versa in condizioni sempre più precarie. Stando ai dati relativi all'anno scorso diffusi dal World Inequality Database, il 10% più ricco della nazione detiene circa il 60% della ricchezza totale, mentre più del 4% degli abitanti vive al di sotto della soglia di povertà.
La teleconferenza di martedì sera, a cui hanno partecipato 20 compagni, è iniziata prendendo spunto da alcune notizie sulla questione energetica, in particolare riguardo la tecnologia nucleare.
Nella bozza presentata dalla Commissione europea agli stati membri circa le misure necessarie per mettere in pratica la green economy si fa riferimento, oltre al gas, anche al nucleare. Sul tema i pareri sono discordanti dato che alcuni non credono sia corretto definire questa tecnologia una fonte di energia pulita. Il nuovo nucleare, sostengono invece i favorevoli, è più sicuro delle centrali di vecchia generazione, soprattutto inquina meno di carbone e combustibili fossili e perciò porterà ad un'Europa ad emissioni zero. Sarà anche vero, ma è difficile credere che si possa risolvere a livello tecnico il crescente bisogno di energia dell'attuale modo di produzione: il vagheggiato capitalismo a basso consumo energetico non esiste. Così come non esiste un capitalismo pacifico. Si pensi agli interventi militari della Francia prima in Mali e poi in Niger, ufficialmente motivati dal contrasto al terrorismo jihadista, ma in realtà volti a garantire la fornitura di uranio alle centrali nucleari del paese.
La fusione nucleare di cui in questi giorni si parla speranzosamente non è una soluzione nel breve periodo: nella migliore delle ipotesi l'applicazione finale di questa tecnologia si prospetta per il 2040. In generale, le centrali nucleari necessitano di tempi di progettazione e costruzione di almeno dieci anni e, al di là delle opinioni favorevoli o contrarie, quelle esistenti sono state abbandonate un po' ovunque perché costose (vedi problema dello smaltimento delle scorie radioattive).
La teleconferenza di martedì sera, presenti 20 compagni, è iniziata con alcune considerazioni circa l'evoluzione e le conseguenze della pandemia da Covid-19. Ogni giorno i mezzi di comunicazione ci aggiornano sulle novità, dalle varianti del virus all'eventuale cambio di colore delle regioni, dall'incremento dei posti letto nelle terapie intensive al numero di decessi. Siamo informati sui dettagli, manca però un inquadramento generale della questione e, ovviamente, non lo possiamo aspettare dalla stampa ufficiale.
L'ultimo allarme riguarda il dilagare della variante Omicron, molto più contagiosa delle altre e che tra non molto potrebbe diventare dominante in Europa e oltre. Su giornali e televisioni assistiamo a picchi di preoccupazione intervallati da altri di irragionevole abbassamento della guardia. In realtà, da due anni a questa parte siamo in piena emergenza sanitaria. "Ci si può rialzare dopo il primo pugno, ma è difficile farlo dopo il secondo e dopo il terzo. I sistemi sanitari sono più deboli di un anno fa". Lo ha detto il capo per le emergenze dell'OMS, Mike Ryan. "Gli operatori sanitari sono esausti", ha aggiunto.
Durante la teleconferenza di martedì sera, a cui si sono collegati 18 compagni, abbiamo discusso delle notizie relative all'aumento dei contagi da Coronavirus in Europa, e della tensione crescente tra Ucraina e Russia.
Una nuova ondata di contagi sta colpendo l'Europa. Repubblica Ceca, Polonia e Ungheria sono ai primi posti per il numero di casi giornalieri, ma registrano un importante incremento dei contagi anche alcuni paesi dell'area centrale. Il governo olandese, per far fronte alla risalita delle curve della diffusione del virus, ha imposto nuove misure di lockdown; in Danimarca è stato reintrodotto il pass sanitario obbligatorio; la Germania a metà novembre ha raggiunto i 50 mila casi giornalieri, e l'Austria, paese con un tasso di popolazione con vaccinazione completa del 65%, ha adottato misure di contenimento selettive, isolando i non vaccinati e limitandone le attività non essenziali. Secondo quanto già osservato nel recente passato, è molto probabile che la situazione in cui sono precipitati molti paesi europei riguarderà presto anche l'Italia: a fronte di un tasso di vaccinazione di circa il 75%, il numero dei casi nel paese continua comunque a crescere, e per alcune regioni si sta già prospettando il passaggio in zona gialla.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 18 compagni, è iniziata con il commento di un articolo apparso su Le Figaro il 9 novembre scorso riguardo l'aumento delle aggressioni alle forze di polizia e agli agenti in uniforme. Da inizio anno si sono verificati circa un centinaio di attacchi al giorno contro rappresentanti dell'autorità francese. Gendarmi, vigili del fuoco, soldati: sono stati più di 28.500, in nove mesi, a subire violenze.
Lo Stato è costretto a blindarsi, a mettersi sulla difensiva, assediato com'è da una moltitudine di nuovi barbari.
Qualche mese fa un gruppo di militari francesi ha scritto una lettera a governanti e politici nella quale li accusava di abbandonare il paese al disordine, rischiando la guerra civile nelle banlieue. Sempre in Francia, pare sia stato sventato un tentativo di colpo di stato che ha visto coinvolti diversi politici, ex membri dell'esercito e gendarmi. Con le scarne notizie a disposizione, è difficile capire la reale forza di questo gruppo, composto da circa 300 golpisti. Sul Fatto Quotidiano del 4 novembre si legge:
La teleconferenza di martedì sera, a cui hanno partecipato 18 compagni, è cominciata con il commento di un articolo dell'Avvenire intitolato "La proposta al G20. Una Costituzione della Terra per diffondere pace e giustizia".
Il compagno che ci ha segnalato lo scritto lo indicava, giustamente, quale esempio di riformismo planetario. L'appello per un nuovo costituzionalismo globale vede tra i primi firmatari, oltre a filosofi, giuristi e giornalisti, anche un vescovo; e il fatto che la proposta sia stata rilanciata dall'Avvenire dimostra che dietro c'è anche lo zampino del Vaticano (non a caso nel testo si trova un riferimento all'ecologismo integrale di papa Francesco). La Chiesa vuole uscire dall'ambito strettamente religioso per dare vita a processi egemonici nella società, e lo fa con una proposta di stampo riformista basata su diritti per tutti, giustizia globale, redistribuzione della ricchezza, ecc. Un tentativo globale che si rivelerà, come al solito, un buco nell'acqua perché il Capitale autonomizzato se ne frega di chi lo vuole trasformare in un sistema più etico e morale.
Durante la teleriunione di martedì sera, a cui hanno partecipato 22 compagni, abbiamo discusso della crescita del prezzo delle materie prime ed, in particolare, dell'energia.
In un articolo pubblicato nell'ultimo numero dell'Economist (curiosamente intitolato "The energy shock", lo stesso titolo di un nostro resoconto di qualche settimana fa che abbiamo appreso essere stato tradotto prima in spagnolo e poi in tedesco), si ricorda che dal 31 ottobre al 12 novembre si terrà la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 2021 (COP26). Al vertice parteciperanno i leader mondiali, riuniti nel tentativo di stabilire una rotta affinché le emissioni globali di carbonio raggiungano lo zero entro il 2050.
Mentre la classe dominante annuncia di impegnarsi in uno sforzo trentennale, nella pratica fa il contrario. Da maggio il prezzo di un paniere di petrolio, carbone e gas è aumentato del 95%, e lo scorso settembre la Gran Bretagna, che ospiterà il vertice, ha riacceso le sue centrali elettriche a carbone. Londra ha comunque fatto sapere che punterà sul nucleare per ridurre le emissioni di CO2.
Durante la teleconferenza di martedì sera, a cui hanno partecipato 21 compagni, abbiamo espresso alcune considerazioni riguardo le crescenti difficoltà che il capitalismo sta attraversando in diversi settori.
Il 4 ottobre 2021 Facebook e tutte le applicazioni e i servizi gestiti dalla società di Menlo Park non sono stati disponibili per alcune ore, a causa di un'errata configurazione dei router che coordinano il traffico di rete tra i diversi centri dati dell'azienda. Sono circa tre miliardi e mezzo le persone nel mondo che utilizzano Whatsapp, Facebook e Instagram, per comunicare con amici e parenti ma anche per lavorare, per inviare e ricevere ordini di produzione, per fare acquisti online, per telefonare, per effettuare pagamenti o per diffondere messaggi politici. Il blocco, seppur durato poco tempo, ha avuto un impatto notevole sia a livello sociale che finanziario; l'agenzia Bloomberg ha stimato che la perdita economica a livello mondiale sia stata di 160 milioni di dollari per ogni ora di interruzione. Anche il blackout di Facebook è classificabile come un collo di bottiglia, che questa volta ha colpito le autostrade non di asfalto ma digitali.
La teleconferenza di martedì sera, a cui si sono collegati 15 compagni, è iniziata commentando alcune notizie sulla crisi energetica mondiale in atto.
Il rincaro del prezzo delle materie prime è un fatto storico legato allo sviluppo del capitalismo, che consuma sempre più energia man mano che invecchia. Se è vero che l'energia consumata per la produzione di ogni singolo prodotto è calante, è altresì vero che la massa delle merci prodotte è in continua crescita. Nel 2012, nel numero speciale sull'energia (rivista n. 31), riguardo l'andamento della produzione di combustibili fossili scrivevamo:
"A partire dal 2020, la produzione complessiva di energia ricavabile da fonti fossili è destinata a contrarsi con una certa rapidità. Considerando la crescente necessità di energia dovuta al tumultuoso sviluppo del capitalismo nei paesi emergenti, è chiaro che tale andamento pone una sfida enorme alla perpetuazione dell'attuale paradigma economico."
Alla teleconferenza di martedì sera hanno partecipato 15 compagni. La discussione è iniziata prendendo spunto dall'articolo dell'Economist "Broadbandits: The surging cyberthreat from spies and crooks", un'indagine sui recenti attacchi informatici ad aziende, scuole, eserciti e infrastrutture, ad opera di gruppi criminali e altri soggetti non meglio definiti, anche a carattere statale.
Lo scorso maggio un gruppo hacker ha bloccato per cinque giorni l'oleodotto che fornisce quasi la metà del petrolio destinato alla costa orientale degli Stati Uniti; per riprendere l'attività, gli aggressori hanno chiesto alla proprietà, la Colonial Pipeline Company, un riscatto di 4,3 milioni di dollari. Pochi giorni dopo, un altro attacco "ransomware" ha paralizzato la maggior parte degli ospedali dell'Irlanda.
Il rischio informatico è più che quadruplicato dal 2002 e triplicato dal 2013. Gli attacchi si sono estesi globalmente e hanno interessato una gamma sempre più ampia di settori. L'aumento del numero di lavoratori in smart-working durante la pandemia ha fatto lievitare il rischio per la sicurezza delle aziende, che l'anno scorso sono state colpite ad un livello mai visto prima. Di fronte a questo quadro inquietante, le agenzie di intelligence private e statali sono in allarme. Tutti i paesi hanno hub fisici vulnerabili, come oleodotti, centrali elettriche e porti, il cui sabotaggio potrebbe bloccare molte attività economiche. Il settore finanziario è un obiettivo del cosiddetto crimine informatico: come dice The Economist, di questi tempi i rapinatori di banche preferiscono i laptop ai passamontagna. Chi di dovere è preoccupato della possibilità che un attacco hacker provochi il collasso di una banca.
La teleriunione di martedì sera, a cui si sono collegati 21 compagni, ha preso le mosse da una domanda emersa alla fine dell'incontro precedente riguardo la possibilità di individuare già oggi le caratteristiche della società futura.
L'articolo "Capitale e teoria dello sciupio", pubblicato sul numero 41 della rivista, riprende i temi affrontati in una serie di testi comparsi su programma comunista tra il 1959 e il 1964 (raccolti nel nostro quaderno Scienza economica marxista come programma rivoluzionario), dedicati all'indagine intorno alla teoria "marxista" dello sciupìo. Il succedersi dei modi di produzione e quindi il passaggio ad una nuova forma sociale si realizza perché la società n, il capitalismo, per funzionare richiede una quantità di energia, sia umana che di altro tipo, maggiore rispetto a quella necessaria nella forma successiva n+1.
In due discorsi di Engels tenuti a Elberfeld nel 1845, viene fatto un raffronto tra la società capitalistica e la futura società comunista, mettendone in evidenza le differenze e soprattutto il rendimento superiore della seconda sulla prima. E' un passaggio importante che va sottolineato, perché quello è il periodo in cui comincia ad enuclearsi il programma rivoluzionario. Engels descrive il comunismo non come un modello o un ideale di società da costruire (utopia), ma quale prodotto di un processo materiale, come conseguenza di un movimento reale (scienza).
La teleconferenza di martedì sera, presenti 24 compagni, è iniziata con alcune considerazioni riguardo l'incidente avvenuto nel canale di Suez.
L'alveo artificiale navigabile situato in Egitto venne inaugurato nel 1869 e nei decenni successivi subì diversi interventi: fu prolungato, ampliato e reso più profondo, adeguandolo alle nuove navi che lo dovevano solcare. Nel 2010 il percorso del canale viene ancora modificato, portando la sua estensione a 193,30 km di lunghezza, 24 m di profondità e ad una larghezza che varia tra 205 e 225 mt. Suez è fondamentale per il transito delle merci in arrivo dall'Asia e dirette verso l'Europa, perché evita la circumnavigazione dell'Africa nell'Oceano Atlantico.
Nei giorni scorsi la portacontainer Ever Given, un gigante di ultima generazione pesante 200 mila tonnellate circa e lunga 400 mt, si è incagliata nel canale, a pieno carico, sembra a causa di una tempesta di sabbia che ne ha causato l'uscita fuori rotta.
Durante la teleconferenza di martedì sera, connessi 23 compagni, abbiamo discusso dello stato attuale del capitalismo e nello specifico di quel peculiare e inarrestabile processo, ben descritto da Marx ed Engels, che spinge l'attuale modo di produzione oltre sé stesso.
La pandemia scoppiata nel 2020 ha rappresentato un fattore di forte accelerazione della crisi economica globale. Per far fronte all'emergenza, la maggior parte degli stati, indipendentemente dalla fazione politica al governo, ha adottato misure di sostegno, rispolverando politiche di intervento statale di stampo keynesiano. "La lista dei nuovi keynesiani", si legge in un articolo di Repubblica (Francesco Guerrera, 18.03.21), "include il Congresso americano, che ha appena approvato un 'Piano per Salvare l'America' da 1.900 miliardi di dollari; il Giappone, che ha un budget simile agli Usa; l'Unione Europea, che sta dispensando 750 miliardi di euro del Recovery Fund; e persino la sparagnina Gran Bretagna, che ha decretato spese di 65 miliardi di sterline (e prestiti di 355 miliardi) nei prossimi due anni." Nell'anno passato i governi hanno attivato in totale 1600 programmi di protezione sociale. Si tratta di uno stimolo fiscale enorme, pari al 13,5% del prodotto interno lordo mondiale, che insieme alle politiche intraprese dalle banche centrali ha garantito la tenuta dei mercati, nonostante le difficoltà legate alla pandemia.
La teleconferenza di martedì sera, a cui si sono collegati 20 compagni, è iniziata commentando le conseguenze economiche della pandemia attualmente in corso.
E' di questi giorni la notizia sullo svuotamento della City di Londra, dove hanno chiuso i battenti diversi uffici. Secondo il Corriere della Sera (07.09.20), qualcosa di simile per importanza era avvenuto con la chiusura delle miniere degli anni Ottanta, quando la crisi colpì i prezzi di estrazione del carbone. Adesso la crisi riguarda i servizi, quel fondamentale settore che tiene in piedi l'economia inglese.
Lo smart working si è dimostrato funzionale ed economico, capitalisti e lavoratori si sono accorti che è meglio lavorare da casa. Concluso il lockdown, molte aziende della City hanno continuato a sfruttare il lavoro da remoto lasciando deserti gli uffici. A pagarne le spese è stato l'intero sistema di trasporti e ristorazione, che ha subito un pesante contraccolpo. Per ogni impiegato che rimane a lavorare casa, si afferma nell'articolo, ce n'è uno che viene licenziato, senza contare che già prima della pandemia l'automazione aveva fatto passi da gigante ("Verso la singolarità storica"). Nei settori finanziario, legale e dei servizi in genere, molte mansioni possono ormai essere svolte da software in grado di incrociare dati molto meglio e più velocemente di un essere umano.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 15 compagni, è iniziata commentando alcune notizie riguardanti le energie rinnovabili.
Pare che negli Stati Uniti un gruppo di scienziati abbia sviluppato un sistema di specchi che, sfruttando l'energia solare, riesce a raggiungere la temperatura di 1000 gradi. L'obiettivo dell'esperimento è di arrivare ai 1500, la condizione necessaria per fondere l'acciaio, ed eliminare progressivamente la dipendenza dai combustibili fossili (en passant: i primi esperimenti per ottenere alte temperature attraverso specchi parabolici sono stati condotti dal premio Nobel Carlo Rubbia in Italia con il progetto Archimede, poi esportato in Spagna). Che sia la soluzione per produrre energia senza inquinare l'ambiente? Abbiamo dei dubbi in merito. Basti pensare all'Ilva di Taranto: anche se riuscisse a produrre da sé tutta l'energia necessaria, rimarrebbe comunque un gigante inutile. Insomma, bisogna sempre chiedersi che senso abbia adoperare certe tecnologie ed in funzione di quale produzione. Non è un problema di natura tecnica, riferita al variare delle fonti energetiche (in ultima istanza tutte riconducibili al lavoro del Sole), ma di natura sociale: l'attuale modo di produzione non conosce sé stesso, bada solo al profitto, e quindi continuerà a sprecare energia e a distruggere l'ambiente.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 12 compagni, è iniziata con la segnalazione di alcune novità nel settore automobilistico.
All'ultimo salone dell'automobile di Francoforte è stata presentata la prima autovettura elettrica europea, progettata dalla Volkswagen. Nove i miliardi di euro che l'azienda investirà di qui ai prossimi anni solo per avviare il ciclo produttivo, mentre ID.3, questo il nome del modello, sarà in vendita a partire dai 30 mila euro. Anche in Cina hanno aperto stabilimenti destinati alla produzione di vetture elettriche e pure gli Stati Uniti stanno investendo nello stesso ambito.
Insomma, si prepara un'invasione di auto elettriche, bisogna solo vedere se le popolazioni immiserite avranno i soldi per comprarsele. I dati delle vendite parlano chiaro: "La produzione italiana di autovetture è calata del 19%, sia a luglio che nei primi 7 mesi dell'anno rispetto agli stessi mesi del 2018. Ha invece registrato un calo del 7,5% a luglio la produzione dell'industria automotive italiana nel suo insieme (non solo fabbricazione di autoveicoli, ma anche di carrozzerie autoveicoli, rimorchi e di parti e accessori per autoveicoli e loro motori)" (Ansa). Anche in Germania i problemi nell'industria si aggravano: "A trascinare verso il basso la produzione è soprattutto il settore auto che diminuisce ad aprile del 17,1% rispetto allo stesso mese del 2018" (Il Fatto Quotidiano).
I grandi gruppi automobilistici, tra cui Volkswagen che è leader nel settore con oltre 10 milioni di autoveicoli prodotti annualmente, hanno bisogno di proporre nuovi modelli per attrarre i consumatori, tentando allo stesso tempo di rimodernare la struttura completa del sistema automobile. L'auto a combustione endogena è un dinosauro dal punto di vista del rendimento, e per la sua produzione vengono messe in moto forze esagerate che alimentano un sistema ultra-dissipativo.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 15 compagni, è iniziata con la segnalazione dell'articolo "Le navi si svuotano. Giù il Baltic Index, primo allarme di crisi economica", pubblicato il 12 febbraio nella sezione economia di Repubblica.
Nato nel 1985, il Baltic Dry Index raccoglie i prezzi dei trasporti e dei noli marittimi, misurando la frequenza annuale delle principali rotte. Esso non tiene conto del trasporto del petrolio ma solo delle merci secche come derrate agricole, carbone e ferro, misurando lo stato di salute del commercio mondiale. Gli analisti hanno notato una netta flessione dell'indice: "nel giro delle ultime cinque settimane ha perso il 50 per cento del suo valore, allontanandosi ancora di più dai massimi raggiunti circa una anno fa: dal marzo del 2018, la discesa supera addirittura il 70 per cento". Tra le cause di questo tonfo, vi sarebbero la guerra dei dazi tra Usa e Cina, il rallentamento dell'economia nella zona Euro, il caos Brexit e la contrazione della crescita cinese. Il Nobel per l'economia Paul Krugman intervistato da Bloomberg ha dichiarato che "la Cina entrerà in crisi a causa dei consumi inadeguati".
La teleconferenza di martedì sera, presenti 10 compagni, è iniziata commentando le ultime news sui Bitcoin.
La moneta digitale nata nel 2009 torna in questi giorni a far parlare di sé. Lo scorso 29 luglio l'Economist ha pubblicato un articolo "Making Bitcoin work better" con il curioso sottotitolo, "a crypto-currency civil war". Alla base del conflitto nella community ci sarebbe la crisi di crescita del bitcoin, che ha registrato un successo superiore alle attese, passando da qualche centinaio di dollari, al suo esordio, a circa 3 mila euro. Secondo i critici la catena di certificazione decentralizzata delle transazioni e il limite della capacità dei blocchi (un megabyte per blocco) ha portato, con l'incremento delle operazioni, a tempi lunghi per la gestione delle stesse e ad un aumento delle commissioni. Difronte alla crescita del volume di affari e di transazioni si sono distinte quindi due "scuole di pensiero": gli sviluppatori tradizionali denominati "core" che si oppongono ad un aumento della capacità dei blocchi, hanno proposto una specie di compromesso, una piattaforma denominata SegWit che prevede uno spostamento parziale della gestione delle transazioni su una rete esterna alla blokchain, mentre il nucleo di "liberalizzatori" non ha accettato il compromesso e ha lanciato una nuova bit moneta chiamata bitcoin cash. Tutto il sistema è assolutamente senza controllo, alla dissipazione del modo di produzione capitalistico si aggiunge quella delle immense farmers dove centinaia di processori in parallelo lavorano per ottenere criptomonete.
Le monete virtuali ormai hanno un loro mercato che gira intorno a 120 miliardi di dollari, cifre per ora irrisorie. Quanto accade nei circuiti delle monete virtuali non è altro che il portato dell'impossibilità di valorizzazione del capitale nella sfera della produzione, effetto della paludosa situazione economica. Un compagno ha letto un passaggio tratto da "Teoria della moneta" (Il programma comunista, 1968):
La teleconferenza di martedì sera, presenti 14 compagni, è iniziata riprendendo la questione spaziale. Nel corso degli anni '50 e '60 la nostra corrente è stata netta nei confronti del tripudio per l'inizio della "conquista dello spazio":
"La meravigliosa macchina che sparò l'uomo sulla Luna fu il risultato della vera legge dell'economia politica: il caso, cui si cerca di ovviare inventando ingegnosi rattoppi, ovvero prendendo provvedimenti a posteriori e fissandoli poi arbitrariamente nella forma di leggi. Prima agiscono poi pensano, diceva Bordiga; come fanno tutti gli uomini in quanto molecole sociali, senza avere coscienza che nelle pieghe della società esiste già, nella produzione organizzata secondo un piano, un'intelligenza collettiva in grado di rovesciare la prassi." (Scienza e rivoluzione, Quaderni di n+1).
La teleconferenza di martedì sera, connessi 13 compagni, è iniziata commentando alcuni dati sulla crisi del settore edilizio in Italia.
Nel 2002 abbiamo scritto Le case che salvarono il mondo (quando il plusvalore si tramuta in rendita), prendendo spunto da un articolo dell'Economist in cui si annotava che un mucchio di capitali in cerca di valorizzazione si era riversato sul mattone evitando il crash. Il settimanale britannico mostrava tutto il suo entusiasmo poiché il mercato immobiliare aveva effettivamente "salvato" il capitalismo. Il crash arrivò qualche anno più tardi, con la crisi dei mutui subprime.
In Italia circa l'85 per cento delle famiglie possiede una casa di proprietà. Non pagare l'affitto, come dice Engels in La questione delle abitazioni, va ad incidere sulla quantità di beni utili per la riproduzione della forza lavoro tenendo basso il costo della stessa. Ora, sempre secondo l'Economist, saremmo in un periodo di ripresa. Strano, perché ne basterebbe anche solo l'avvisaglia per vedere un'enorme quantità di capitali riversarsi nella cosiddetta economia reale provocando disastri. Comunque, questo significa che oggi le case non possono più salvare il capitalismo e nemmeno si riescono ad individuare altri settori che lo possano fare.
Durante la teleconferenza di martedì sera, a cui hanno partecipato 16 compagni, abbiamo discusso di intelligenza artificiale prendendo spunto da alcuni materiali reperiti in rete.
Nel suo intervento al World Government Summit, Elon Musk ha dichiarato che "via via negli anni assisteremo ad un avvicinamento simbiotico tra intelligenza naturale e digitale"; se lo sviluppo tecnologico vuole esser portato avanti, è necessario che l'uomo amplifichi le potenzialità del proprio cervello grazie alle macchine stesse.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 5 compagni, è iniziata commentando gli effetti della guerra generalizzata.
Un compagno ha segnalato la marcia civile per la pace da Berlino ad Aleppo, partita lo scorso 26 dicembre con lo scopo dichiarato dagli attivisti di raggiungere la martoriata città siriana e porre fine alla guerra. A parte gli slogan senza alcun contenuto empirico, è fin troppo evidente che la guerra moderna tocca il mondo intero e schiera partigiani, mobilitando tutta la società. Il pacifismo borghese è un moto morale dell'individuo completamente slegato dalla realtà dei fatti, assolutamente incapace di influire sugli avvenimenti; e quindi non è neppure da prendere in considerazione se non come fenomeno sociale.
La corrente a cui facciamo riferimento ha prodotto diverso materiale sul pacifismo, durante la teleconferenza abbiamo letto alcuni passi dal filo del tempo Tartufo o del pacifismo:
"Il marxista non è pacifista, per ragioni identiche a quelle che non ne fanno, ad esempio un anticlericale: egli non vede la possibilità di una società di proprietà privata senza religione e senza chiese, ma vede finire chiese e credenze religiose per effetto della abolizione rivoluzionaria della proprietà. L'ordinamento della schiavitù salariata vivrà tanto più a lungo quanto più a lungo i suoi complici faranno credere che, senza sovvertirne le basi economiche, sia possibile renderlo immune da superstizioni religiose, o eliminarne la eventualità di guerre, e togliergli gli altri suoi caratteri retrivi, o brutali".
La teleconferenza di martedì sera, connessi 10 compagni, è iniziata con le notizie provenienti da Berlino. L'attentato al mercatino natalizio di Breitscheidplatz rientra nella strategia, ormai collaudata, dello Stato Islamico per cui se perde terreno in Medioriente, lo riprende facendosi sentire in Occidente. Sempre in questi giorni a Zurigo si sono registrati momenti di tensione a causa di una sparatoria in una moschea in cui sono rimasti feriti alcuni fedeli in preghiera; si tratta di uno dei vari episodi minori che, seppur non direttamente collegati, sono parte della guerra in corso su scala globale.
In seguito all'attacco al mercatino berlinese, le forze dell'ordine hanno perquisito un hangar adibito a centro di accoglienza per immigrati alla ricerca di indizi o persone coinvolte nell'attentato. Negli ultimi mesi Angela Merkel si è mostrata più dura rispetto alle politiche sull'immigrazione, anche perché i numeri si sono fatti significativi: solo nel 2016 nel Paese sono arrivati 2 milioni di stranieri. Qualche tempo fa fecero notizia le immagini della popolazione tedesca che accoglieva i profughi in fuga dalla Siria con cartelli con su scritto "Welcome refugees"; ora qualcosa potrebbe cambiare. Di sicuro ci sarà chi capitalizzerà politicamente l'insicurezza e i sentimenti di paura e rabbia generati dall'attentato di Berlino. Ne abbiamo già avuto qualche assaggio in Italia con le barricate di Goro (Ferrara).
La teleconferenza di martedì sera, presenti 12 compagni, è iniziata commentando gli ultimi dati sulla produzione italiana.
Secondo l'Istat, lo scorso agosto la produzione industriale ha segnato una crescita dell'1,7% sul mese precedente e addirittura del 4,1% sul 2015. Quest'ultimo sarebbe il maggior incremento da cinque anni a questa parte. Evidentemente i giornalisti che parlano di "boom" mentono sapendo di mentire: i comparti che hanno registrato la maggiore crescita tendenziale sono quelli della fabbricazione di mezzi di trasporto, e le automobili, si sa, vengono sostituite quando diventano vecchie. Inoltre parte dell'oscillazione può essere spiegata con il fatto che ad agosto essa è generalmente bassa e quindi le variazioni percentuali tendono ad essere più accentuate.
La micro-crescita della produzione industriale è un piccolo effetto di un sistema sempre meno oscillante. Abbiamo visto un secolo di oscillazioni fino all'imbuto catastrofico segnato dal 1987, quando tutte le economie si sono sincronizzate ad esclusione della Cina, all'epoca agli inizi della crescita vorticosa che l'ha portata velocemente al livello delle maggiori economie.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 11 compagni, è iniziata commentando la notizia dell'accordo tra Russia e Stati Uniti per un cessate il fuoco in Siria.
Nella guerra moderna l'armistizio serve ai diversi schieramenti a rafforzare le posizioni, ed è, a tutti gli effetti, un proseguimento del conflitto. I bombardamenti in territorio siriano hanno causato migliaia di morti e raso al suolo intere città, compresi ospedali e scuole; se a prima vista sembra che le potenze in campo vogliano distruggere Daesh, in realtà in Siria è in corso una guerra di tutti contro tutti.
In Libia, proprio mentre sembrava conquistata la roccaforte islamica di Sirte, la situazione si è ulteriormente aggrovigliata. Il generale Haftar, che guida le milizie che sostengono il governo di Tobruk, ha lanciato un'offensiva per conquistare i pozzi petroliferi di Ras Lanuf e Sidra, controllati da milizie armate fedeli al governo di Tripoli riconosciuto dall'Onu.
Se alla fine della seconda guerra mondiale i maggiori paesi capitalistici riuscivano a controllare la situazione sociale interna e a centralizzare il fatto economico, oggi questa possibilità viene meno.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 14 compagni, è iniziata discutendo della situazione della Francia nel contesto generale della cosiddetta crisi del capitalismo.
Durante l'ultima giornata di sciopero indetto dai sindacati (#manif17mai), ci sono stati ancora scontri con la polizia a Parigi e in altre città francesi. Hollande ha dichiarato che andrà avanti nell'approvazione della Loi Travail senza se e senza ma. Siccome si è più sensibili alle "conquiste" che vengono tolte, i lavoratori francesi si muovono perchè sentono che certe garanzie stanno sparendo: la nuova legge sul lavoro, fra l'altro, rimette in discussione il modello delle 35 ore di lavoro settimanali.
Analizzando la situazione da un punto di vista sistemico, la Francia, pur non essendo economicamente disastrata come Grecia, Portogallo e Italia, e registrando tassi di crescita del Pil bassi ma non preoccupanti come altrove, ha un sistema rigido in cui lo Stato ha ancora molta voce in capitolo nell'economia. In una situazione globale altamente caotica, con flussi di capitale estremamente complessi da gestire, questa mancanza di elasticità potrebbe tramutarsi in un'insuperabile contraddizione. Se il sistema "rigido" non si adatta ai profondi cambiamenti interni e mondiali potrebbe saltare prima di altri e portarsi dietro l'Europa.
La teleconferenza di martedì, a cui si sono collegati 13 compagni, è iniziata con le notizie riguardanti il prezzo del petrolio.
Alcune fonti riportano che i satelliti americani avrebbero individuato centinaia di petroliere in viaggio attraverso lo stretto di Hormuz. Il greggio iraniano, libero dalle sanzioni della comunità internazionale, potrebbe ora riversarsi sui mercati mondiali creando ulteriori sconquassi.
Il mercato petrolifero si trova effettivamente in una condizione difficile: il calo dei prezzi, l'accantonamento di grandi riserve (l'Iran ha dichiarato di aver stoccato 50 milioni di barili), e il crollo degli investimenti a lungo termine per le ricerche di nuovi giacimenti rappresentano una miscela micidiale, i cui effetti si registrano ovunque, dall'Arabia Saudita alla Russia al Venezuela. A fronte dei mezzi e della possibilità di produrre a bassa dissipazione, la società capitalista rimane altamente energivora, permanendo ad uno stadio primitivo.
La teleconferenza di martedì sera, a cui hanno partecipato 17 compagni, è iniziata dal commento di una notizia dal settore energetico.
Il presidente Obama ha posto il veto sull'oleodotto Keystone, 1900 km di tubazioni per trasportare bitume canadese fino alle raffinerie del Golfo del Messico. Il Canada possiede grossi giacimenti a cielo aperto di sabbie bituminose; il petrolio (pesante) che ne viene estratto è lavorato attraverso speciali e costosi processi che richiedono elevati quantitativi di acqua e energia, alzandone perciò il prezzo. E' plausibile che l'opposizione di Obama al progetto nasca dal ritenere poco conveniente, visto il trend petrolifero in corso, la costruzione di un impianto di trasporto per una risorsa che non rende. Comunque, se in futuro il prezzo del greggio dovesse risalire, c'è da scommettere che le lobbies del petrolio avranno la meglio e il Keystone si farà.
Intanto negli USA continua l'estrazione dello shale oil, il petrolio di buona qualità che si ricava dal fracking. Anche questa variante però comporta l'impiego di molta energia.
La teleconferenza di martedì scorso, connessi 14 compagni, è cominciata riprendendo alcuni dei temi trattati ne Il programma immediato della rivoluzione proletaria e le trasformazioni nel campo dell'informazione, dello spettacolo e dello sport, relazione presentata durante il 58° incontro redazionale (20-21-22 febbraio, Torino). In particolare abbiamo ripreso la parte sul Medioevo cristiano e l'informazione come ideologia.
L'Ordine cistercense nasce in Francia (abbazia di Cîteaux, 1098) e ha come fine il ritorno alla stretta osservanza della regola di San Benedetto e ad un monachesimo fondato sul lavoro e la preghiera personale e comune. San Bernardo impone un canone anche per l'edilizia monastica, affinchè tutte le strutture vengano costruite rispettando un preciso orientamento, abbiano un chiostro, una biblioteca, una cucina allestita in una certa area della struttura, ecc. Ogni monastero può diventare abbazia madre fondando filiali, su cui esercita i diritti di sorveglianza. In ambito musicale vi è un ritorno alla tradizione originaria del canto gregoriano (ovviamente la polifonia non era contemplata) su cui viene fatto un ulteriore intervento di impoverimento. I cistercensi danno così vita ad un gigantesco taylorismo abbaziale e diventano una potenza economica organizzata a rete, dove l'informazione, anch'essa ridotta ai minimi termini e veicolata da un'estetica che elimina tutto ciò che è ritenuto superficiale mantenendo solo l'essenziale, viaggia sull'esempio di un modulo che si diffonde e si replica.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 17 compagni, è iniziata riprendendo il tema energetico.
Se c'è una politica che rende sensibile il prezzo del petrolio è quella prodotta dalla crisi del capitalismo senile: si consuma meno energia e le misure recessive adottate dagli stati peggiorano ulteriormente le condizioni generali. All'andamento dell'importantissimo settore energetico si aggiunge ora l'incognita della strategia adottata dagli attori di questa guerra del petrolio.
In primo luogo gli Stati Uniti hanno iniziato una guerra contro la Russia, che ora si ritrova in una situazione pessima con il Brent a 60 dollari, i pozzi a rischio chiusura e le sanzioni economiche attivate dopo la vicenda Ucraina. E' poi intervenuta l'Arabia Saudita (e di conseguenza l'Opec) che a fronte del calo dei prezzi ha dato il via agli stessi meccanismi che causarono negli anni '80 le grandi crisi di approvvigionamento energetico. In generale si è messo in moto un gioco geopolitico incrociato, complesso per le valutazioni sulle possibili conseguenze, e sintomo evidente della mancanza di vitalità del sistema: dopo sette anni di "crisi" la Cina non cresce abbastanza e deve occuparsi di una sovrappopolazione elevatissima; l'Europa in deflazione ha smesso, o quasi, di crescere; il Giappone è considerato alla stregua di un paese del terzo mondo; gli Usa, anche se rimangono a galla perché in quanto polo imperialistico continuano a succhiare valore dal mondo intero, non sono certo la locomotiva economica del secondo dopoguerra.
"La guerra del petrolio" è stato nuovamente l'argomento principale di cui si è discusso durante la teleconferenza di martedì sera (20 i compagni presenti). Effettivamente il tema resta caldo, e le dinamiche peculiari sottostanti a questa guerra quasi sottaciuta ancora non sono emerse chiaramente.
Nell'accordo sancito all'incontro viennese dell'OPEC giornalisti ed analisti economici ascrivono all'Arabia Saudita un ruolo determinante senza riuscire però a svelarne l'asso nella manica. Nell'immediato mantenere alti i ritmi estrattivi non è certamente vantaggioso per i sauditi, ma per quei paesi dell'OPEC (e non) la cui economia dipende dall'esportazione del petrolio è addirittura dannoso. A dirla tutta a dare il via ad una super produzione di petrolio sono stati per primi gli Stati Uniti, che per far pressione alla Russia hanno finito per intaccare anche gli interessi della concorrenza saudita causando l'abbassamento dei prezzi. Si sono poi aggiunti altri fattori, come il calo della domanda mondiale in seguito alla crisi o l'immissione sul mercato a prezzi ridotti di petrolio pregiato da parte dei clan che si contendono la Libia. Come scrivevamo nel precedente resoconto, l'Arabia Saudita si può permettere una guerra a lungo termine, può attendere cioè che i pozzi americani chiudano e poi far impennare il prezzo del greggio, con una riproposizione dei meccanismi visti durante le crisi energetiche del passato. Ma innescare nel contesto attuale dinamiche di questo tipo avrebbe ben altri effetti rispetto agli anni '80, periodo in cui il capitalismo aveva i numeri per sostenere contraccolpi del genere.
La teleconferenza di martedì, a cui si sono connessi 15 compagni, è iniziata dall'analisi di quanto sta accadendo in campo energetico nel mondo.
L'OPEC non abbasserà la produzione. Così è stato deciso dai paesi esportatori di petrolio riuniti a Vienna lo scorso 27 novembre. Nel frattempo il Brent del Mare del Nord, il grezzo di riferimento, è crollato a 77 dollari, e addirittura a 54 quello dei pozzi del Kuwait. Anche se il "petrolio buono", come l'arabian light o il libico, è ancora caro e rimane tra i 120 e i 150 dollari, non influisce sul prezzo di riferimento. Fin qui tutto normale: il calo dei consumi ha fatto scendere la spesa energetica, il boom dello shale oil e delle tecniche di fracking ha inciso sui prezzi, la concorrenza tra i paesi produttori ha fatto il resto. Ciò che non è normale è l'unanimità (quasi) dell'OPEC nel tenere alta l'estrazione nonostante i prezzi bassi.
E' noto che i paesi esportatori di petrolio tendono a mantenere la produzione sul filo del rasoio, e cioè ad un livello di prezzo sufficientemente alto ma che non faccia diminuire la domanda (caso in cui, comunque, i pozzi servono da salvadanaio per il futuro). Oggi sta accadendo esattamente il contrario: è come se i paesi OPEC scialacquassero il petrolio guadagnandoci poco per ottenere qualcosa. La tanto strombazzata autosufficienza energetica americana è una bufala, e i paesi dell'OPEC se ne sono accorti: ci rimettono sul momento a pompare petrolio in esubero, ma fanno un buon investimento perché stanno facendo chiudere la concorrenza.
La teleconferenza di martedì sera, a cui si sono collegati 14 compagni, è cominciata discutendo delle possibili riconversioni dell'industria automobilistica. E' assai probabile che l'ormai superato picco del petrolio porti l'estrazione del combustibile fossile a costi insostenibili, e questo, insieme alla crisi del settore dell'auto afflitto da sovrapproduzione cronica, sta spingendo i grandi gruppi industriali, energetici e finanziari, ad investire massicciamente in un nuovo mercato: quello della propulsione elettrica.
Il vetusto motore a scoppio è caratterizzato da una bassissima resa termodinamica e in buona sostanza dissipa il 70% dell'energia contenuta nella benzina o nel gasolio. Il motivo per cui ancora è utilizzato è dovuto solo al fatto che, nonostante sia un mostro dissipativo colpevole per il 13% delle emissioni di gas derivate dall'attività umana, fa parte di un ciclo produttivo così enorme e così compenetrato nella società del Capitale che oppone una inerzia tremenda al cambiamento. Oltretutto per la maggior parte del tempo le automobili stanno ferme come se fossero ferraglia buttata in mezzo alle strade. Le forme di produzione e accumulo di energia per i motori elettrici sono sostanzialmente due. La prima utilizza l'idrogeno per il processo elettrochimico generante energia nelle cosiddette fuel cell; l'altra appositi pacchi di batterie di vario tipo che accumulano l'energia elettrica immessa dalle comuni prese di corrente o da apposite colonnine di rifornimento. Le batterie più comuni sono quelle a ioni di litio, ma si stanno studiando dei modelli ad altissima capacità di accumulazione e velocità di ricarica a base di nanostrutture di carbonio.
Ma produrre automezzi a "emissioni zero", termine di gran moda oggi, non risolverebbe il problema visto che l'energia necessaria a farli muovere proverrebbe da centrali termoelettriche; semplicemente lo si sposterebbe dai tubi di scappamento alle ciminiere. Il vero nodo della "questione" è un altro. Se non si risolve alla radice l'abnorme concentrazione di esseri umani stipati in metropoli, attratti là dove il Capitale si concentra, nelle fabbriche, nelle banche, negli uffici, non si potrà nemmeno porre un freno al caotico traffico cittadino ed extraurbano.
Alla teleconferenza di martedì sera hanno partecipato 10 compagni.
La discussione è cominciata dall'analisi della disastrata situazione finanziaria di Cipro e delle manovre politico-economiche messe in moto per trovare una qualche soluzione. Le ultime news parlano di una tassa sui capitali oltre i 100 mila euro pari al 30% o perfino al 40%. Si tratta di un vero esproprio ai danni dei correntisti delle due principali banche cipriote, un brutto colpo per i miliardari russi che per anni si sono avvantaggiati dei regimi fiscali dell'isola. Al solito gli esperti lanciano folli dichiarazioni sulla santità del mercato, ma in realtà si varano pesantissimi e contraddittori interventi dello Stato per non lasciar affondare l'economia. Sebbene queste misure non risolvano la situazione generale, nell'immediato possono risultare efficaci per tranquillizzare la cosiddetta Troika. A Cipro ci sono 25 miliardi di dollari russi, ma la paura potrebbe far spostare i soldi dai conti correnti ai buoni del tesoro. E la preoccupazione di contagio è fondata: trapelano già notizie che indicano la Slovenia come prossima interessata (dove buona parte dei depositi proviene dal nord-est italiano), si vocifera del Lussemburgo e anche dell'Italia.
Editoriale: I limiti dell'… inviluppo / Articoli: Il gemello digitale - L'intelligenza al tempo dei Big Data - Donald Trump e il governo del mondo / Rassegna: Il grande malato d'Europa - Il vertice di Kazan - Difendono l'economia, preparano la guerra / Recensione: Ciò che sembrava un mezzo è diventato lo scopo / Doppia direzione: Il lavoro da svolgere oggi - Modo di produzione asiatico? - Un rinnovato interesse per la storia della Sinistra Comunista - Isolazionismo americano post-elettorale?
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Viviamo in una società che scoppia. I suoi membri, divisi o raggruppati secondo criteri il più delle volte arbitrari e casuali, non riescono più a darsi un'identità plausibile. La pandemia, invece di compattare gli individui intorno a provvedimenti utili alla salvaguardia della specie, ha aggravato la situazione facendo emergere ataviche tendenze all'irrazionale.
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