La teleriunione di martedì sera è iniziata dal commento dell'articolo "Assalto al Pianeta rosso", pubblicato sul numero 41 della rivista.
I razzi che vengono lanciati nello Spazio sono, sostanzialmente, dei proiettili di tipo balistico (vedi "La cosiddetta conquista dello spazio"). Rispetto agli anni '50 e '60, periodo in cui USA e Russia si sfidarono per la cosiddetta conquista dello Spazio, l'unica vera novità tecnologica è la potenza di calcolo raggiunta dai computer. Quest'aspetto, però, è inutile, dato che per inviare in orbita un carico "pagante" occorre sempre la stessa energia, così come occorre raggiungere sempre la stessa velocità di fuga (11,2 km al secondo, circa 40mila km all'ora) per staccarsi dalla gravità terrestre. Tra i vari problemi tecnici, vi è anche quello del consumo di carburante; il razzo Saturno, usato per andare sulla Luna, bruciava 13mila tonnellate di combustibile al secondo, la maggior parte delle quali veniva dissipata senza contribuire alla spinta vera e propria.
Per raggiungere Marte ci vogliono diversi mesi di viaggio e, ammettendo che si riesca a farvi arrivare degli esseri umani, per sopravvivere bisognerebbe costruire cellule abitative e le relative infrastrutture. Il Pianeta rosso è freddo, tossico per gli uomini e con una forza di gravità inferiore a quella della Terra; un ambiente ostico per la nostra specie.
La teleriunione di martedì sera è iniziata con alcune considerazioni sulle strutture intermedie tra il partito e la classe.
Occupy Sandy non era né un sindacato né, tantomeno, un partito, ma una struttura di mutuo-aiuto nata sull'onda dell'emergenza e dell'incapacità della macchina statale di intervenire efficacemente per aiutare la popolazione. In "Partito rivoluzionario e azione economica" (1951) si afferma che, nella prospettiva di ogni movimento rivoluzionario generale, non possono non essere presenti tali fondamentali fattori: un ampio e numeroso proletariato, un vasto strato di organizzazioni intermedie e, ovviamente, la presenza del partito rivoluzionario. Gli organismi di tipo intermedio non devono per forza essere strutture già esistenti (ad esempio i sindacati), ma possono essere forme nuove (come i Soviet in Russia). Il tema è stato approfondito in una corrispondenza con un lettore intitolata "Sovrappopolazione relativa e rivendicazioni sindacali".
Nella tavola VIII (Schema marxista del capovolgimento della prassi), riportata in "Teoria ed azione nella dottrina marxista" (1951), vediamo che alla base dello schema ci sono le forme ed i rapporti di produzione, le determinazioni economiche e le spinte fisiologiche, che portano la classe a muoversi verso la teoria e la dottrina (partito storico), passando attraverso strutture intermedie. Si tratta di cicli di feedback che irrobustiscono la struttura del partito formale. Quando si parla di classe, partito e rivoluzione bisogna intendere una dinamica, un processo che si precisa nel corso del tempo:
La teleriunione di martedì sera è iniziata facendo il punto sulla crisi automobilistica tedesca.
Ad agosto, in tutti i paesi del vecchio continente, le immatricolazioni hanno subito un calo: rispetto allo stesso mese dell'anno precedente sono scese del 16,5%, e rispetto al 2019 hanno registrato un crollo quasi del 30%. In Germania, nell'agosto 2024, le vendite di automobili elettriche sono calate del 68%, anche a causa della fine dei sostegni statali. Tutti i produttori sono in difficoltà a causa della concorrenza della Cina, che riesce a mantenere bassi i costi di produzione grazie ai sussidi statali. La crisi riguarda Volkswagen, Mercedes, Porsche, Audi. Ma non è la crisi del settore dell'automobile a determinarne una crisi generale; al contrario, è la crisi di sovrapproduzione mondiale a manifestarsi anche in questo settore.
Le prospettive di chiusura degli stabilimenti e la riduzione dei posti di lavoro hanno portato a scioperi e manifestazioni in Germania. Il paese, considerato la locomotiva economica d'Europa, ha attraversato un lungo periodo di relativa pace sociale. La Mitbestimmung, cogestione in italiano, prevede la collaborazione fra operai e padroni, sancita dalla natura corporativa dei sindacati esistenti. Il fascismo non è una forma di governo tipica prima dell'Italia e poi della Germania ("La socializzazione fascista ed il comunismo"), ma un cambiamento del capitalismo avvenuto a livello globale, con l'Italia che ha fatto da pilota e subito seguita dal New Deal negli USA, dal nazismo in Germania e dalla controrivoluzione stalinista in Russia. Il fascismo rappresenta un determinato stadio di sviluppo delle forze produttive che richiede che l'economia regoli sé stessa per mezzo degli interventi dello Stato: la Tennessee Valley Autority negli USA, le bonifiche dell'Agro Pontino in Italia, la costruzione della diga sul Dnepr in Unione Sovietica e la rete autostradale in Germania (Autobahn) avevano il chiaro obiettivo di modernizzare le infrastrutture pubbliche. La nuova autostrada tedesca aveva bisogno di una vettura del popolo, e si cominciò a produrre la Volskwagen. Così facendo, si diede lavoro a migliaia di disoccupati (conquistandoli al regime) e si rilanciò l'economia nazionale. Il corporativismo nazista viene rifiutato politicamente dalla Germania democratica, ma l'impianto economico sopravvive con la cogestione.
La teleriunione di martedì sera è iniziata con un approfondimento del testo "Teoria e azione nella dottrina marxista" (1951), ed in particolare del seguente passo:
"Alla situazione di dissesto dell'ideologia, dell'organizzazione e dell'azione rivoluzionaria è falso rimedio fare assegnamento sull'inevitabile progressiva discesa del capitalismo che sarebbe già iniziata e in fondo alla quale attende la rivoluzione proletaria. La curva del capitalismo non ha ramo discendente."
L'andamento del capitalismo non è di tipo gradualistico, ma catastrofico e questo dipende dagli stessi meccanismi di accumulazione. Anche se cala il saggio medio di profitto, cresce la massa del profitto, altrimenti non ci sarebbe capitalismo e cioè valore che si valorizza (D-M-D'). La Tavola II ("Interpretazione schematica dell'avvicendamento dei regimi di classe nel marxismo rivoluzionario") di "Teoria e azione" ci suggerisce che non c'è una lenta discesa dell'attuale modo di produzione (fatalismo, gradualismo), ma un accumulo di contraddizioni che ad un certo punto trova una soluzione di tipo discontinuo (cuspide, singolarità).
La teleriunione di martedì sera è iniziata commentando la situazione di guerra in Medioriente.
Recentemente, le forze di difesa israeliane hanno preso di mira le basi UNIFIL presenti nel sud del Libano, lungo la "linea blu", con il chiaro intento di farle evacuare. Nell'attacco sono state distrutte le telecamere e le torrette di osservazione, e ci sono stati alcuni feriti tra i caschi blu. I ministri degli Esteri di Francia, Germania, Italia e Regno Unito hanno manifestato il loro disappunto, mentre Israele ha dichiarato di aver precedentemente invitato il comando UNIFIL a ritirarsi. Le truppe dell'ONU sono presenti in Libano dagli inizi degli anni '80 in quanto "forza militare di interposizione", ma evidentemente il tempo della mediazione è finito per lasciare spazio a quello della guerra aperta.
La teleriunione di martedì sera è iniziata dall'analisi del recente attacco a Hezbollah in Libano e Siria.
Lo scorso 17 settembre migliaia di cercapersone, utilizzati da Hezbollah appositamente per evitare l'impiego di dispositivi maggiormente tracciabili (come i telefoni cellulari), sono stati fatti esplodere provocando diversi morti e migliaia di feriti, tra cui l'ambasciatore iraniano in Libano. Oltre Israele, nessun altro attore nell'area dispone di quel tipo di capacità tecnica ed ha interesse a colpire in questo modo il partito-milizia sciita. Le informazioni sull'attacco restano contrastanti: alcune testate giornalistiche sostengono che l'esplosione degli apparecchi elettronici sia stata causata dal surriscaldamento delle batterie tramite un malware, mentre altri analisti ipotizzano la presenza di mini cariche esplosive inserite precedentemente nei dispositivi. L'attacco simultaneo ai cercapersone è stato seguito dall'incursione di caccia israeliani che hanno colpito diverse postazioni di Hezbollah a 100 km dal confine.
La teleriunione di martedì sera è iniziata con il commento della newsletter di Federico Rampini pubblicata sul Corriere della Sera e intitolata "L'Italia è in pericolo, ma non vuole difendersi".
Da buon patriota con l'elmetto in testa, Rampini vuole un'Italia pronta a contrastare le minacce belliche e con una popolazione preparata all'ideologia di guerra. L'Europa non ha una difesa unitaria, dipende da altri per l'acquisto di armamenti, non ha una chiara strategia militare. Il giornalista sprona l'Occidente ad attrezzarsi per la guerra ibrida, quella in cui forze con pochi mezzi a disposizione riescono a tenere in scacco nemici molto più potenti. Come gli Houthi, ad esempio, che stanno dando del filo da torcere alle navi commerciali (e non solo) che passano dallo Stretto di Bab al-Mandab. O come l'Iran, che nell'attacco ad Israele dello scorso aprile con missili e droni, a prima vista fallimentare perchè efficacemente contrastato dal sistema antimissile Iron Dome e dalla coalizione che sostiene Israele (USA, Inghilterra, Giordania, Arabia Saudita), ha affrontato una spesa di 100 milioni di dollari contro i 2 miliardi di dollari sostenuti dalla difesa isareliana.
La teleconferenza di martedì 30 luglio è iniziata facendo il punto sulle recenti proteste in Venezuela.
Le elezioni presidenziali hanno visto la vittoria di Nicolàs Maduro con circa il 51% dei voti, ma le opposizioni hanno denunciato brogli. Migliaia di manifestanti sono scesi in strada scontrandosi con la polizia e i militanti pro-Maduro, e si contano già i primi morti. Anche il Venezuela si aggiunge alla lista dei paesi interessati dal marasma sociale: dal punto di vista politico, la parte borghese che si fa portatrice del progetto bolivariano si scontra con l'opposizione filostatunitense. L'economia venezuelana è basata prevalentemente sull'esportazione di greggio, mentre industria e agricoltura contano poco nella formazione del PIL. Da anni nel paese serpeggia un malessere profondo che coinvolge milioni di senza-riserve, quasi metà della popolazione versa in condizioni di povertà estrema.
La teleriunione di martedì sera è iniziata commentando la sommossa in corso in Bangladesh.
Da un paio di settimane in tutto il paese si susseguono importanti manifestazioni. Gli studenti, opponendosi ad una legge che prevede una serie di facilitazioni alle famiglie dei reduci della guerra di liberazione dal Pakistan, si sono scontrati duramente con polizia ed esercito. L'epicentro della rivolta è stata l'Università di Dacca. Al di là della contestata legge, è evidente che anche il Bangladesh affronta gravi problemi di disoccupazione giovanile.
Ottavo paese più popoloso del pianeta, con 170 milioni di abitanti, il Bangladesh ha un'età media molto bassa e una popolazione concentrata principalmente nell'area urbana di Dacca, che ha una densità abitativa altissima, con 45.000 abitanti per km². Finora si registrano 160 morti, oltre a migliaia di feriti, manifestanti scomparsi, casi confermati di torture, anche ai danni dei giornalisti. Il governo ha chiuso Internet, ma così facendo ha contribuito ad aumentare il caos.
Oltre alle manifestazioni nella capitale, ci sono stati blocchi delle autostrade e delle ferrovie, attacchi alle stazioni di polizia, tentativi di invasione delle sedi delle TV, e la liberazione di detenuti dal carcere: tutti eventi che danno l'idea di una situazione quasi insurrezionale. Almeno a partire dal 2006, nel paese si è verificata una lunga serie di scioperi nelle fabbriche, in particolare nel settore tessile.
La teleriunione di martedì sera è iniziata con la presentazione e il commento del testo "Il corso storico del movimento di classe del proletariato", del 1947.
La Tesi si collega alle due precedenti, "Il ciclo storico dell'economia capitalista" e "Il ciclo storico del dominio politico della borghesia", trattate nelle scorse teleriunioni. La prima è dedicata al corso del capitalismo, dalle prime manifatture fino ai trusts; la seconda si incentra sull'evoluzione del dominio storico della borghesia fino alla fase moderna in cui i capitalisti sono sostituiti da funzionari salariati; quest'ultima affronta il divenire del movimento di classe del proletariato.
Con l'affermarsi del regime borghese nascono i primi conflitti con quello che viene chiamato "quarto stato", ovvero i lavoratori. La Lega degli Eguali di Babeuf opera già nel quadro della rivoluzione borghese, ma i primi movimenti del proletariato non riescono a staccarsi dagli enunciati ideologici della borghesia (ad esempio dalle parole d'ordine giustizia e uguaglianza), e in alcuni casi i neonati raggruppamenti socialisti arrivano a fare l'apologia del vecchio inquadramento feudale.
Un primo giro di boa avviene con la pubblicazione del Manifesto del Partito Comunista: il comunismo non è più da intendersi come un'utopia o una forma di governo a cui aspirare; ma è la lotta del proletariato diretta verso un obiettivo nel futuro, la società comunista, è un movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. La chiarezza negli obiettivi politici si accompagna alla chiarezza nelle formule organizzative e nascono le prime organizzazioni di salariati che lottano contro i capitalisti. Inizialmente, la borghesia reprime con la forza le coalizioni dei lavoratori vietando gli scioperi. Ben presto, però, si rende conto che è impossibile impedire che i lavoratori si organizzino e perciò giunge a tollerare il loro associazionismo. Gli interessi dei lavoratori sono internazionali e si forma, di conseguenza, il movimento politico del proletariato, la Prima Internazionale, all'interno della quale si svolge il grande scontro tra anarchici e marxisti, tra due concezioni differenti della lotta classe. La Seconda internazionale è, invece, il portato del fiorire di partiti socialisti; in questa fase il capitalismo vive un'epoca di relativa tranquillità e le organizzazioni del proletariato elaborano le prime teorie, secondo cui l'emancipazione dei lavoratori è possibile senza passaggi catastrofici, ma gradualmente, per via parlamentare, magari attraverso la partecipazione a governi borghesi.
La teleriunione di martedì sera è iniziata prendendo spunto dall'ultimo numero dell'Economist ("The new economic order", 11 maggio 2024), che dedica diversi articoli alla crisi mondiale in atto.
Secondo il settimanale inglese, a prima vista il capitalismo sembra resiliente, soprattutto alla luce della guerra in Ucraina, del conflitto in Medioriente, degli attacchi degli Houthi alle navi commerciali nel Mar Rosso; in realtà, esso è diventato estremamente fragile. Esiste, infatti, un numero preoccupante di fattori che potrebbero innescare la discesa del sistema verso il caos, portando la forza a prendere il sopravvento e la guerra ad essere, ancora una volta, la risposta delle grandi potenze per regolare i conflitti. E anche se non si arrivasse mai ad uno scontro bellico mondiale, il crollo dell'ordine internazionale potrebbe essere improvviso e irreversibile ("The liberal international order is slowly coming apart").
La teleconferenza di martedì sera è iniziata riprendendo gli argomenti trattati durante la riunione pubblica tenuta a Milano lo scorso 20 aprile.
La conferenza, incentrata sul tema "Guerra e nuove tecnologie", si è tenuta presso il circolo anarchico Bruzzi-Malatesta. Al termine della riunione sono state poste alcune domande riguardo la socializzazione del capitale e le strutture fisiche alla base della guerra cibernetica, che ci hanno dato l'occasione di ribattere alcuni chiodi teorici. L'impressione che abbiamo avuto è stata positiva sia per la presenza di giovani che per l'attenzione del "pubblico" durante lo svolgimento di tutta la relazione.
L'acutizzarsi della guerra e lo sviluppo di nuove armi fanno parte di un processo unico, di una dinamica di crisi strutturale del capitalismo. I fatti hanno la testa dura, dice Lenin, e la realtà si incarica di fare piazza pulita delle vecchie "questioni" che in passato sono state motivo di interminabili dibattiti (partito, sindacato, ecc.). Nell'introduzione alla relazione di Milano è stato ribadito che il capitalismo non può funzionare senza l'estrazione di plusvalore, e che la guerra, fenomeno invariante, si è trasformata nel tempo essendo soggetta al modo di produzione che la esprime. Engels nota che l'innescarsi della dialettica cannone/corazza porta all'intensificazione del conflitto, motivo per cui, ad esempio, ben presto le barricate risultano obsolete rispetto all'impiego dell'artiglieria.
La teleriunione di martedì sera è iniziata dall'analisi del recente attacco dell'Iran ad Israele.
Secondo un portavoce dell'esercito israeliano, nell'azione compiuta nella notte tra il 13 e il 14 aprile l'Iran ha impiegato 170 droni, 30 missili da crociera e 120 missili balistici, che sono stati quasi tutti abbattuti. L'attacco è stato simbolico, le nazioni arabe erano state avvertite e probabilmente anche gli Americani; dopo il bombardamento di un edificio annesso all'ambasciata iraniana a Damasco il primo aprile scorso, Teheran non poteva non rispondere. Gli USA hanno chiesto ad Israele di evitare una reazione a caldo e di pazientare, onde evitare un'escalation; gli Iraniani hanno dichiarato che se Israele lancerà un nuovo attacco essi colpiranno più duro: "Con questa operazione è stata stabilita una nuova equazione: se il regime sionista attacca, sarà contrattaccato dall'Iran."
Teheran è all'avanguardia nella produzione di droni, ha sviluppato un'industria bellica specializzata e vende queste tecnologie alla Russia ma anche ad Algeria, Bolivia, Tagikistan, Venezuela ed Etiopia.
Ciò che sta accadendo in Medioriente conferma l'importanza del lavoro sul wargame, a cui abbiamo dedicato due numeri della rivista (nn. 50 - 51). I giochi di guerra servono a delineare scenari futuri, e le macchine amplificano le capacità dell'uomo aiutandolo a immaginare come potrebbero svilupparsi i conflitti in corso. Gli eserciti e gli analisti militari che lavorano con i wargame sono in grado di accumulare grandi quantità di informazioni, ma sono però costretti a vagliarne solo una parte. È un dato oggettivo: i big data vanno ordinati e l'ordine risente dell'influenza di chi applica il setaccio.
La teleriunione di martedì sera, presenti 16 compagni, è iniziata commentando un articolo di Maurizio Novelli, "Perché il sistema capitalistico è praticamente morto", pubblicato sul quotidiano economico Milano Finanza. Si tratta di un'analisi di ormai quattro anni fa, ma i problemi che l'autore solleva sono ancora presenti, anche se nascosti accuratamente sotto il tappeto.
Nel pezzo si parla della necessità capitalistica di fare sempre più debito per sostenere l'economia (il debito ha superato il 330% del PIL globale), del problema della valorizzazione del capitale, e in generale del dominio del capitale azionario su quello industriale:
"Il sistema capitalistico, degenerato a causa di questo modo di operare, è praticamente morto e la finanza, così come funziona oggi, lo ha ucciso. Gli Stati Uniti, dal 2001 in poi, hanno messo l'economia reale a sostegno della finanza, ribaltando la funzione che la finanza era a sostegno dell'economia reale. Oggi il settore finanziario 'fa leva' 4/5 volte sull'economia reale per ottenere rendimenti che l'economia reale non riesce più a produrre, così come le banche nel 2008 facevano leva 40 volte sul capitale per ottenere rendimenti che l'attività caratteristica non poteva dare."
La finanziarizzazione del capitale, riflesso della sua autonomizzazione, è la parte conclusiva della parabola storica del plusvalore. Il fenomeno è descritto nel nostro articolo "L'autonomizzazione del capitale e le sue conseguenze pratiche", che si basa sul Frammento del testo originario di "Per la critica dell'economia politica" del 1858. Oggi tale processo è ben visibile, basti pensare alla recente impennata del Bitcoin che vale più di Visa e MasterCard messe insieme. I crolli di borsa, le crisi finanziarie del 1987, del 1997, delle Dot-com e del 2008 testimoniano la difficoltà del sistema a riprodursi in quanto tale. La finanziarizzazione dell'economia non è altro che una risposta alla crisi di valorizzazione, dovuta all'aumentata produttività del lavoro. Non c'è mai pletora di capitali senza pletora di merci: per questo motivo "rilanciare la produzione" o "ritornare all'economia reale" sono slogan privi di senso.
La teleriunione di martedì sera, presenti 16 compagni, è iniziata con alcune cosiderazioni riguardo l'evoluzione del conflitto in Ucraina.
Dopo due anni di guerra, la Russia ha occupato circa il 20% del territorio ucraino (l'area più industrializzata e ricca di materie prime), e sarà molto difficile per gli Ucraini riprendersi tale parte. Secondo il Wall Street Journal, attualmente il rapporto tra la quantità di proiettili sparati dai Russi e quella sparata dagli Ucraini è di circa 10 a 2. L'esercito russo difende le proprie postazioni e preme sul fronte cercando i punti deboli del nemico, che dopo la disfatta di Avdiïvka sta tentando di costruire una nuova linea difensiva. In un futuro negoziato, Mosca non cederà sui territori occupati poichè essi rappresentano una testa di ponte contro la penetrazione della NATO verso Est. Dal punto di vista economico, l'Ucraina è un Paese distrutto e sarebbe al collasso se non fosse per gli aiuti finanziari e militari di Europa e Stati Uniti.
Come abbiamo detto in più occasioni, la guerra in Ucraina va inquadrata nel contesto dei grandi cambiamenti geopolitici mondiali. L'apertura di nuovi scenari di crisi (Medioriente, Mar Rosso, ecc.) è un problema per gli Stati Uniti, sbirro globale, che non possono essere presenti ovunque scoppi un conflitto, anche perché al loro interno affrontano gravi problemi di tenuta sociale. In prospettiva, si aggiunge la questione dell'Indo-Pacifico che vede la Cina come un concorrente sempre più temibile.
La teleriunione di martedì sera, a cui hanno partecipato 17 compagni, è iniziata affrontando il fenomeno delle "grandi dimissioni".
È uscito Le grandi dimissioni. Il nuovo rifiuto del lavoro e il tempo di riprenderci la vita (Einaudi, 2023), un'analisi sociologica di Francesca Coin sul cambiamento del mondo del lavoro e della società. Sulla rivista abbiamo già avuto modo di recensire testi sulla fine del lavoro, sull'automazione e sulla "disoccupazione tecnologica"; il libro di Coin ha il merito di affrontare la nuova tendenza che si sta sviluppando in diversi paesi del mondo e che si risolve in una disaffezione crescente verso il lavoro salariato. Il fenomeno è esploso in concomitanza con la pandemia: nel 2021 negli Stati Uniti 48 milioni di lavoratori hanno deciso di licenziarsi, e nello stesso anno in Italia sono stati in 2 milioni a lasciare il posto di lavoro. Anche in Cina i lockdown hanno rappresentato un giro di boa, portando all'emersione dei fenomeni "Tang ping" ("sdraiarsi") e "Let it rot" (bailan, "lascialo marcire"): siccome il sistema si è rotto, i giovani cinesi pensano che tanto vale sdraiarsi e lasciare che esso marcisca. Come nota Coin, "in India come in Cina, da mesi si è diffusa una controcultura che mette in discussione l'etica del lavoro e l'obbligo al lavoro salariato."
La teleconferenza di martedì sera, connessi 16 compagni, è iniziata riprendendo il tema dell'Intelligenza Artificiale (IA).
OpenAI ha annunciato un aggiornamento nelle applicazioni mobili di ChatGPT per iOs e Android, che renderà la chatbot capace di adattare la traduzione alla tipologia di utente finale (bambino, adulto, ecc.), e di rispondere alle domande anche tramite una funzione di sintesi vocale. La nuova versione del programma sarà potenziata anche nel campo visivo, con la possibilità di riconoscere immagini e trarre informazioni da un dato contesto (Wired, "Abbiamo provato il nuovo ChatGPT che ascolta, vede e parla"). Insomma, si sta sviluppando un sistema multimodale che assomiglia sempre più al modo che abbiamo di interfacciarci alla realtà.
Nell'articolo "ChatGPT mania may be cooling, but a serious new industry is taking shape", The Economist afferma che dopo la prima ondata di entusiasmo per ChatGPT ora l'attenzione è un po' scesa, ma in questi ultimi mesi non sono mancate novità e avanzamenti tecnologici. I big tech (OpenAI, Google, Apple, ecc.) investono massicciamente nel settore dato che i loro modelli devono aumentare la potenza di calcolo per reggere la sfida. Cresce dunque la quantità di dati elaborata, e gli esperti stimano che le fonti presenti su Internet sono prossime all'esaurimento; perciò le grandi aziende si stanno rivolgendo ad agenzie stampa e fotografiche per trovare dati nuovi da dare in pasto ai modelli di IA. Si sta addirittura pensando allo sviluppo di dati sintetici, ovvero testi, video e foto sviluppati da altri sistemi di IA, secondo un sistema in cui le macchine addestrano le macchine.
La teleconferenza di martedì 19 settembre, a cui si sono collegati 17 compagni, è iniziata commentando un articolo dell'Economist, "How artificial intelligence can revolutionise science".
Se in altri articoli il settimanale inglese si è focalizzato sugli scenari distopici a cui potrebbe portare lo sviluppo dell'Intelligenza Artificiale (IA), in questo si concentra sugli aspetti positivi riportando dichiarazioni e analisi di esperti del settore.
Secondo l'Economist, le grandi scoperte tecniche che hanno rivoluzionato la società, dai microscopi ai telescopi, sono state possibili grazie allo sviluppo della scienza; questi strumenti, a loro volta, hanno contribuito al progresso in diverse branche della conoscenza, dalla chimica alla fisica e alla biologia. Lo sviluppo tecnologico è stato accelerato dalla rivoluzione industriale e successivamente, a partire dalla fine del XIX secolo, con la creazione di laboratori di ricerca sono state introdotte altre innovazioni, come i fertilizzanti artificiali e i prodotti farmaceutici. All'inizio del XX secolo viene inventato il transistor, l'elemento costitutivo del computer: il Novecento sarà il secolo della rivoluzione informatica, non è ancora terminata e alle soglie di una nuova forma di intelligenza.
La teleriunione di martedì 23 maggio, presenti 15 compagni, è iniziata prendendo spunto da un video di Limes intitolato "La campagna di Trump, l'anniversario di Waco e l'apocalisse americana. Trent'anni fa e oggi".
Nell'articolo "Teoria e prassi della nuova politiguerra americana" abbiamo analizzato quanto avvenuto nel 1993 a Waco, in Texas. Una comunità-setta di millenaristi davidiani era stata presa di mira dall'FBI, che infine decise di perquisirla. Durante l'operazione nacque un conflitto a fuoco fra gli agenti e i membri della comune che portò all'assedio del ranch; dopo 51 giorni, vennero inviati i carrarmati e si giunse ad ad una conclusione violenta del blocco con l'uccisione di decine di davidiani, compresi dei bambini. Il milionario ex presidente degli USA Donald Trump ha deciso di iniziare la sua campagna elettorale per le elezioni presidenziali del 2024 proprio da Waco, nel trentesimo anniversario della strage, dichiarando ai suoi sostenitori: "Rimettetemi alla Casa Bianca e l'America sarà nuovamente un Paese libero e voi sarete vendicati."
Sabato 27 maggio 2023, ore 17.30
Ci sono varie forme di rappresentazione della guerra in Ucraina e di tutte le guerre in corso nel mondo. Quella che va per la maggiore è una cronaca dei fatti condita da un'informazione parziale e propagandistica che non permette di distinguere i dati reali da quelli inventati; un'impostazione ideologica che ripropone il dualismo tra paesi aggrediti e paesi aggressori, e il relativo bisogno di intruppare il proletariato e chi vorrebbe rappresentarlo in un fronte borghese contro un altro. L'unico modo per analizzare i fatti in sintonia con il "movimento reale che abolisce lo stato di cose presente" è farlo proiettandosi nel futuro. E questo ci dice che l'esaurimento di qualsivoglia funzione propulsiva del presente modo di produzione si manifesta anche nel carattere che lo scontro interimperialista assume: una serie di guerre che porta distruzione senza alcuna possibilità di ringiovanimento del Capitale. In questo senso, la guerra attuale è diversa dalle grandi guerre dei secoli scorsi, dalle quali emergevano una potenza dominante e un nuovo ordine mondiale. Quando si sente parlare di un impero in declino e di uno in ascesa, bisogna tenere presente che il capitalismo d'oggi è senile ad Ovest come ad Est, e che la parabola che descrive l'andamento della produzione di plusvalore ha un inizio e una fine. Il sistema ha una freccia del tempo: dissipa energia, regredisce verso il disordine, procede verso la catastrofe.
Sarà possibile seguire l'incontro anche via Skype. Per partecipare inviare una mail all'indirizzo Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. entro il 26 maggio 2023.
c/o Laboratorio politico Alberone via Appia Nuova 357 - Roma
(fermata della metropolitana A Furio Camillo)
La teleconferenza di martedì sera, a cui si sono connessi 14 compagni, è iniziata con la presentazione della riunione pubblica che si terrà il prossimo 27 maggio a Roma sul tema della guerra. Abbiamo ribadito che per capire cosa sta succedendo nel mondo bisogna proiettarsi nel futuro (n+1), e di lì guardare al presente (n). Se le guerre passate si sono caratterizzate per il fatto che la potenza vincitrice è riuscita ad imporre un nuovo ordine mondiale, quella odierna indica una situazione di ingovernabilità generale ed è il prodotto di una situazione che alla fine non avrà vincitori in ambito capitalistico.
The Economist, uno dei settimanali che prendiamo come punto di riferimento del mondo borghese, scrive che "la potenza cinese sta per raggiungere il picco", rifacendosi alle analisi dei due politologi americani Hal Brands e Michael Beckley ("Is Chinese power about to peak?"), secondo i quali l'ascesa della Cina si sta già arrestando. Da quando il paese ha iniziato ad aprirsi e riformare l'economia, nel 1978, il suo PIL è cresciuto in media di un 9% all'anno, e ciò ha permesso un relativo miglioramento delle condizioni di vita per milioni di cinesi. Pechino ha bruciato le tappe facendo in 40 anni quello che l'Occidente ha compiuto in qualche secolo. Negli ultimi decenni la crescita economica della Cina, e in generale dell'Asia, (il paese conta un quinto della popolazione mondiale) ha rappresentato una boccata d'ossigeno per il capitalismo, che dagli anni '70 mostra segni di cedimento in Occidente. Ma ora il gigante asiatico sta avendo qualche problema perché l'attuale modo di produzione è diventato senile ad Ovest come ad Est. Se da una parte si sta arrivando alla parità economica tra USA e Cina, dall'altra sappiamo che non ci potrà essere un nuovo paese alla guida del capitalismo e la serie storica non potrà che interrompersi ("Accumulazione e serie storica"). Le motivazioni del declino cinese sono di varia natura, una di questa è la situazione demografica: le Nazioni Unite stimano che entro la metà del secolo la popolazione lavorativa potrebbe diminuire di oltre un quarto, con la crescita del numero degli anziani. L'economista Nouriel Roubini, nel saggio La grande catastrofe, analizzando quella che definisce la bomba a orologeria demografica, scrive:
La teleconferenza di martedì sera, a cui hanno partecipato 17 compagni, è iniziata riprendendo il tema della guerra, con particolare attenzione a quello che sta succedendo in Sudan e alle cause generali che hanno portato allo scoppio del conflitto.
La rivista Limes, nell'articolo "Prove di guerra per procura (anche) in Sudan", afferma che "lo scontro in atto nel paese africano è un tassello della tumultuosa transizione verso un nuovo ordine mondiale". Sarebbe più corretto dire nuovo disordine mondiale. Cina, Russia e Stati Uniti hanno interessi nel paese e sono presenti, mentre Onu e Unione Europea sono politicamente assenti. Il Sudan ha una popolazione di 48 milioni di abitanti, è il terzo paese più popoloso del continente africano e ha un'estensione di oltre 1,8 milioni kmq (circa 6 volte l'Italia). Ha una posizione geopolitica importante, poiché si affaccia sul Mar Rosso in un tratto che collega i paesi arabi con quelli africani, e per la disponibilità di materie prime (acqua, petrolio, oro). Non è troppo distante da Gibuti, dove ci sono le basi militari di Italia, Cina, Francia, Stati Uniti, Giappone, Arabia Saudita. Pochi mesi fa aveva dato il via libera alla costruzione di una base navale russa sul proprio territorio.
Secondo l'Espresso, "la guerra in Sudan rischia di far collassare l'Africa". Nell'articolo "Marasma sociale e guerra" avevamo visto che già nel 2011 diversi paesi (Egitto, Siria, Libia) erano stati travolti da moti di piazza, in alcuni casi evoluti in guerra civile. A partire dal 2019, il Sudan è stato teatro di manifestazioni di massa che hanno contribuito alla cacciata del presidente Omar al-Bashir, al potere da oltre trent'anni, e poi di un golpe dell'esercito che però non ha risolto la situazione. In un quadro di instabilità generale proliferano le guerre civili. Esse diventano endemiche in quanto le cause che le generano sono molteplici: migrazioni, siccità, crisi economiche e politiche, mutati assetti internazionali.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 13 compagni, è iniziata riprendendo gli argomenti trattati nelle scorse teleconferenze.
L'Economist, che utilizziamo come serbatoio da cui prendere dati e informazioni utili per il lavoro, afferma che da circa dieci giorni è scoppiata in Sudan una guerra civile ("In Sudan and beyond, the trend towards global peace has been reversed"). In realtà, il paese africano è in una fase di conflitto permanente dalla data della sua indipendenza, il 1956. Ufficialmente il conflitto vede contrapporsi un generale dell'esercito regolare e un generale delle milizie paramilitari, ma in effetti si tratta di uno scontro tra due fazioni interne allo Stato rapidamente trasformatosi in guerra guerreggiata, con la chiusura delle maggiori ambasciate e la fuga del personale straniero.
Sempre secondo il settimanale inglese, le guerre civili tendono a durare sempre più a lungo e diventano sempre più difficili da risolvere, anche perché si diffondono negli stati più poveri, in via di dissoluzione, sottoposti a notevoli pressioni interne ed esterne. In Sudan, sin dall'inizio dell'attuale conflitto, è stato chiaro che vi erano intrecci tra interessi locali dei signori della guerra e interessi internazionali.
La teleconferenza di martedì sera, a cui si sono collegati 18 compagni, è iniziata con il commento di alcune note di un compagno sul libro di Nouriel Roubini La grande catastrofe: dieci minacce per il nostro futuro e le strategie per sopravvivere.
Il libro è forse il primo in cui nella parte conclusiva non si fa cenno a miracoli per salvare la società capitalistica da sé stessa. Già questo è un tratto interessante. Infatti, l'autore propone solo due scenari a cui deterministicamente faremo fronte: uno "distopico" e uno "utopico". Ancora una volta l'economia politica si dimostra incapace, attraverso i suoi modelli e strumenti interpretativi, di compiere un salto, a noi già noto, "dall'utopia alla scienza". Se non si riconosce il comunismo come " movimento reale che abolisce lo stato di cose presente", non si possono che raffigurare distopie e utopie rinascimentali (altro spartiacque storico). I due termini sono raffrontati senza far riferimento a un qualsiasi parametro di specie: Utopia rispetto a cosa? Distopia dovuta a? Roubini ci spiega solo che siamo in una tempesta "perfetta", perché le megaminacce ormai incombenti sono date come "strutturali"; diremo noi, connaturate all'attuale modo di produzione. Sono strutturali ma non si dà una spiegazione di questo aggettivo. Si dice, correttamente, che la complessità delle megaminacce sta nella loro sincronia e nell'interagire tra loro, difficilmente prevedibile e computabile. L'ideologia dominante comincia a proporre la sua visione cieca: è molto più facile pensare la fine del mondo che la fine del capitalismo.
Per l'economista statunitense è sicuro che una bolla finanziaria scoppierà, l'incognita riguardo solo il quando e quanto in termini di danni provocati. Dice inoltre che bisogna tenere d'occhio l'eurozona e i suoi anelli più deboli, come Italia e Grecia, i primi che a causa di una crisi del debito potrebbero saltare, provocando un effetto domino.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 13 compagni, è iniziata commentando lo stato del sistema bancario alla luce del crollo dei mercati seguito al fallimento della Silicon Valley Bank (SVB), un istituto californiano fondato a Santa Clara nel 1983 e divenuto rapidamente la banca di fiducia di aziende tecnologiche e startup.
SVB, la sedicesima banca degli Stati Uniti, non sapendo che farsene della liquidità raccolta negli ultimi anni, ha investito principalmente in titoli di Stato americani, arrivando a fine 2022 a detenere quasi 100 miliardi di bond governativi. Con il rialzo dei tassi d'interesse, le startup che prima riuscivano ad ottenere denaro pressoché gratuito dai fondi, sono andate in affanno e hanno dovuto prelevare dai depositi della banca californiana una grande quantità di denaro. Per far fronte ai prelievi, SVB ha dovuto vendere ad un prezzo inferiore i titoli accumulati, perdendo circa due miliardi di dollari, e facendo scattare prima la corsa agli sportelli e poi l'intervento di FED e governo. Biden si è affrettato a dichiarare al mondo che il "sistema bancario è solido. Nessuna perdita sarà a carico dei contribuenti."
Assicurazioni sulla solidità del castello di carta della finanza sono state elargite anche quando è scoppiata la crisi dei mutui subprime nel 2008, eppure da allora il mondo non si è più ripreso. Nell'articolo "Non è una crisi congiunturale", pubblicato quell'anno (rivista n. 23), scrivevamo che ogni proiezione prevedeva il ripresentarsi di una crisi catastrofica entro un paio di decenni. Se aggiungiamo gli eventi che si sono verificati in seguito, come la Primavera araba, la crisi degli Stati, la pandemia di Covid-19 e la guerra in Ucraina, ne deduciamo che il sistema si sta sgretolando.
Alla teleconferenza di martedì sera, a cui hanno partecipato 20 compagni, abbiamo parlato di robot e automazione partendo da un articolo dell'Economist intitolato "Don't fear an AI-induced jobs apocalypse just yet".
Lo scorso primo marzo, all'Investor Day 2023 di Tesla, Elon Musk ha presentato Optimus, un robot umanoide da utilizzare a casa e in fabbrica del costo previsto di 20.000 dollari. Durante il meeting è stato proiettato il video di un automa intento a costruirne un altro simile: a breve, ha dichiarato l'imprenditore sudafricano, il rapporto 1:1 tra robot e umani potrebbe essere superato.
Se effettivamente si arrivasse a produrre un esercito di otto miliardi di robot, i problemi derivanti da tassi di disoccupazione elevatissimi non potrebbero essere tollerati dall'attuale modo di produzione, basato sul sistema del lavoro salariato. Osserva infatti Musk: "Non è nemmeno chiaro cosa sia un'economia a quel punto".
Già oggi vi sono produzioni altamente automatizzate: lo scorso dicembre ABB, multinazionale elettrotecnica svizzero-svedese, ha aperto una mega-fabbrica di 67.000 metri quadrati a Shanghai, dove i robot producono altri robot. Ocado, il più grande rivenditore di generi alimentari online al mondo, si affida agli automi per consegnare cibo fresco a migliaia di persone nel Regno Unito; i suoi magazzini sono progettati come organismi viventi, dotati di un sistema nervoso centrale (software), un sistema cardiovascolare (nastri trasportatori) e di globuli rossi (casse). Il confine tra il mondo del nato e quello del prodotto è sempre più incerto.
La teleriunione di martedì 28 sera, presenti 18 compagni, è iniziata riprendendo il tema della guerra in corso in Europa, fatto che per gli attori statali coinvolti e le forze in campo presenti non si verificava dalla Seconda Guerra Mondiale.
Gli analisti militari non sanno bene come inquadrare ciò che sta accadendo in Ucraina e quanto possa durare il conflitto. L'obiettivo della "operazione militare speciale", come l'ha definita Putin, era la sostituzione del governo di Kiev per mezzo di un colpo di mano dell'esercito ucraino con l'annessione definitiva da parte della Federazione Russa delle regioni dell'est del paese e della Crimea.
Ad un anno dall'inizio della guerra, le maggiori potenze hanno svuotato gli arsenali (NATO e Russia denunciano la carenza di scorte di armi e munizioni) e si trovano a doverne fabbricare di diversa qualità, visto che nel frattempo si sta verificando un cambiamento dei mezzi e dei fini della guerra. Uno dei problemi maggiori di questo conflitto riguarda i costi: un drone Bayraktar Tb2 turco costa da uno a 5 milioni di dollari, e un carro armato moderno come il Leopard 2 costa tra i 4 e i 6 milioni di euro. La produzione di Leopard e il trasferimento dei modelli più vecchi che giacevano nei magazzini rappresentano una scommessa soprattutto per la NATO, che deve decidere se in futuro avrà ancora senso continuare a produrne. Il drone, nato per recepire informazioni dal campo tramite filmati e foto dall'alto, si è trasformato in un vero e proprio aereo da guerra. La Russia ha ordinato alle proprie industrie la produzione di migliaia di missili ipersonici Zircon, ma resta da capire come saranno utilizzati dato che viaggiano a circa 10mila km l'ora e possono colpire un bersaglio a una distanza di mille chilometri.
Durante la teleriunione di martedì sera, presenti 19 compagni, abbiamo commentato alcuni articoli sul calo demografico in Cina (meno 850 mila abitanti alla fine del 2021).
Attualmente il pianeta Terra ospita oltre 8 miliardi di abitanti e il punto di flesso è previsto entro il 2100 (vedi curve presenti in "Un modello dinamico di crisi"). Negli ultimi anni in tutti i continenti, Africa compresa, l'età media della popolazione è cresciuta, e in maniera più marcata in Giappone e nell'Europa occidentale. Nell'articolo "Malthusianesimo ricorrente e tenace" abbiamo scritto: "Il boom demografico dei paesi in via di sviluppo è dovuto alla disponibilità di merci a basso prezzo e quindi alla rottura di antichi equilibri, mentre nei paesi a vecchio capitalismo si accentua il fenomeno della sovrappopolazione anche in presenza di una stagnazione demografica". Se, ad esempio, il miracolo economico cinese è stato anche il risultato della politica del figlio unico portata avanti dal governo, è vero anche che le nuove generazioni hanno adesso l'onere di sobbarcarsi il peso delle generazioni precedenti. Il sistema pensionistico cinese, come d'altronde quello dei paesi occidentali, è destinato a collassare, con tutte le conseguenze del caso. Avere più genitori che figli è un vantaggio quando i figli sono piccoli, ma è uno svantaggio quando i genitori invecchiano. Il principale fondo pensionistico cinese potrebbe esaurire i suoi fondi entro il 2035.
Si stanno verificando grandi cambiamenti a livello sociale che avranno un impatto su quella che i borghesi chiamano la geopolitica del mondo e che per noi sono gli equilibri interimperialistici. A breve gli abitanti dell'India supereranno quelli della Cina. L'Economist fa notare che il paese non ha un seggio permanente alle Nazioni Unite, anche se la sua economia recentemente ha sostituito quella britannica come quinta più grande del mondo, e si classificherà al terzo posto entro il 2029 ("India will become the world's most populous country in 2023"). L'India fornirà almeno 1/6 della popolazione lavorativa nei prossimi decenni, mentre la Nigeria sarà il terzo paese più popoloso entro il 2050 con oltre 400 milioni di abitanti. Secondo un report delle Nazioni Unite, fino al 2050 i paesi africani domineranno la crescita della popolazione mondiale: si tratta di aree geostoriche dove il capitalismo è meno senile che altrove.
La teleriunione di martedì sera, presenti 19 compagni, è iniziata commentando il numero 11/2022 di Limes, interamente dedicato alla situazione negli Stati Uniti d'America.
La tesi principale sostenuta dalla rivista di geopolitica è che gli USA sono un paese pericolosamente disunito, specialmente senza un nemico esterno riconoscibile che faccia da collante sociale. La guerra civile del 1861-1865 ha sì sancito l'unione degli stati federali, ma la nazione è rimasta fortemente divisa e perciò adesso rischia di spaccarsi. Questa divisione interna agisce profondamente e può essere riscontrata persino nei contrasti tra i vari servizi di sicurezza (FBI, CIA, ecc.). Milioni di americani vedono Washington come lontana sede della burocrazia, lo stato federale è percepito come un alieno e, secondo alcune frange della destra alternativa (ma non solo), come un nemico da combattere.
La parte interessante dell'editoriale della rivista ("Lezione di Yoda") è quella dedicata al ruolo delle forze armate statunitensi: non esiste alcun esercito che possa essere paragonato a quello americano e questo potrebbe diventare l'ago della bilancia in caso di una pesante crisi sociale. Secondo Limes, la tattica delle rivoluzioni arancioni, utilizzata dagli USA in giro per il mondo per rovesciare governi non graditi, potrebbe funzionare come un boomerang, e l'assalto a Capitol Hill ne è una prima dimostrazione. Il 40% degli americani, rilevano alcuni sondaggi, approverebbe un colpo di stato militare per stroncare la corruzione diffusa (il 54% sono elettori repubblicani e il 31% democratici). L'intelligence lavora costantemente con i wargame, le simulazioni di guerra al computer: chi opera per sventare colpi di stato o insurrezioni deve avere il polso della situazione. Lo Stato profondo, quello degli apparati, impegnato a mantenere la stabilità, proprio a causa della crisi di sistema in corso potrebbe diventare un elemento di instabilità. D'altronde, giunte ad un certo punto, le società sono costrette a rivoluzionarsi per non perdere ciò che hanno conquistato.
La teleriunione di martedì sera, presenti 17 compagni, è iniziata con alcune considerazioni riguardo la ripresa dei contagi in Cina.
La linea "zero Covid", ribadita all'ultimo congresso del PCC tenutosi ad ottobre, pare essere stata cancellata a favore di un più o meno esplicito "liberi tutti". Il presidente Xi Jinping, nel suo discorso introduttivo, aveva confermato gli sforzi del partito per la guerra popolare contro la Covid, ma le proteste scoppiate nel giro di poco tempo in tutto il paese, a partire dalla fabbrica della Foxconn a Shenzhen (un polo industriale dove sono concentrati circa 200mila operai) le cui immagini hanno fatto il giro del mondo, hanno portato ad una retromarcia. Di fronte alla crisi il governo cinese ha infatti deciso di ridurre le restrizioni e i controlli, favorendo però l'impennata dei casi e delle ospedalizzazioni, in particolare a Pechino, metropoli con oltre 20 milioni di abitanti: secondo alcune stime, la metà dei cittadini della capitale risulta positiva al virus. Varie simulazioni dimostrano che la nuova ondata di contagi potrebbe portare nei prossimi mesi a oltre un milione e mezzo di morti ("Our model shows that China's covid death toll could be massive", The Economist, 15.12.22). Il Dipartimento di Stato USA osserva con apprensione la situazione cinese, temendo una possibile catastrofe sanitaria e sociale. "Il numero di vittime del virus è motivo di preoccupazione per il resto del mondo, considerati le dimensioni del Pil della Cina e quelle della sua economia. Avere una situazione di maggiore forza rispetto al Covid non è solo una cosa positiva per la Cina ma anche per il resto del mondo", ha sottolineato Ned Price, portavoce del Dipartimento. La nuova gestione della pandemia colpisce nell'immediato la Cina, ma date le dimensioni del paese, se la situazione dovesse sfuggire di mano, le conseguenze sarebbero senza dubbio globali: il pianeta è piccolo, come diceva la nostra corrente. Dietro l'allentamento così repentino delle misure antivirus in Cina, c'è la paura di rivolte ma anche l'insostenibilità a livello economico dei continui lockdown; si sarebbero dunque messi in conto un paio di milioni di morti per salvare l'economia. D'altronde, il Capitale fa ballare tutti alla sua musica, compresa la Cina cosiddetta comunista.
Durante la teleconferenza di martedì sera, connessi 20 compagni, abbiamo parlato dello scontro bellico in corso in Ucraina e delle sue conseguenze a livello internazionale.
Il governo di Zelensky e i media occidentali hanno celebrato la riconquista della città di Kherson da parte dell'esercito ucraino in seguito alla ritirata dei Russi verso est, ma hanno cantato vittoria troppo presto. Il 15 novembre scorso la Russia ha sferrato un attacco missilistico, con oltre 100 razzi, che si è abbattuto sulle infrastrutture energetiche del paese, causando l'interruzione della fornitura elettrica in alcune città. Leopoli è rimasta senza elettricità e riscaldamento. In serata un paio di missili sono caduti in Polonia, vicino al confine con l'Ucraina, facendo scattare l'allarme nelle capitali occidentali dato che il paese dell'Europa centrale fa parte della NATO e l'articolo 5 del Trattato Nord Atlantico sancisce che un attacco armato contro uno stato membro è un attacco contro tutti.
Abbiamo cominciato la teleriunione di martedì primo novembre, presenti 18 compagni, parlando di quanto sta accadendo in Brasile dopo l'esito del ballottaggio che ha portato alla vittoria di Ignacio Lula da Silva.
Immediatamente dopo i risultati elettorali, i sostenitori dell'uscente presidente Jair Bolsonaro si sono mobilitati, organizzando blocchi stradali e sit-in fuori dalle caserme. Bolsonaro non ha riconosciuto ufficialmente la vittoria di Lula, ma ha autorizzato la transizione. Secondo l'Economist, la recente campagna elettorale è stata la più incattivita della storia del paese, fatta di toni esagerati (Lula è stato accusato di essere un comunista satanico e Bolsonaro un pedofilo cannibale) e punteggiata da episodi di violenza tra gli opposti schieramenti. Il giorno del ballottaggio alcuni poliziotti hanno istituito posti di blocco negli stati che sostengono Lula, creando difficoltà a chi si recava alle urne. Il giorno dopo, i camionisti che sostengono Bolsonaro hanno bloccato le strade in undici stati, e diverse testate giornalistiche hanno parlato della possibilità di un intervento dell'esercito per riportare l'ordine.
Un paio di anni fa avevamo intitolato un nostro resoconto "Polarizzazione globale" prendendo spunto dall'articolo di Moisés Naím "Negli Stati Uniti ha vinto la polarizzazione"; il giornalista venezuelano sosteneva che ormai le campagne elettorali, invece di ridurre i fenomeni di divisione sociale, li ingigantiscono. La situazione brasiliana sembra un segnale, sia per i toni che per la polarizzazione degli schieramenti politici, di quanto potrebbe accadere a breve negli USA. Le forze politiche una volta antisistema, minoritarie, tenute ai margini, ora si sono fatte sistema. Il riferimento immediato è agli USA di Donald Trump, ma anche ad alcuni paesi europei. Non passa giorno che non escano articoli allarmati sulle elezioni di midterm americane, e sul rischio che rappresentano per la tenuta sociale.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 17 compagni, è iniziata commentando le ultime notizie riguardo alla guerra in Ucraina.
Trenta deputati del partito democratico americano hanno inviato una lettera al presidente Joe Biden con la richiesta di "raddoppiare gli sforzi per cercare un quadro realistico per un cessate il fuoco". I dem invitano l'amministrazione in carica a cambiare radicalmente la strategia sulla guerra in Ucraina, e sollecitano negoziati diretti con la Russia. I redattori della missiva sono una minoranza, ma questa iniziativa potrebbe determinare una spaccatura all'interno del partito proprio a ridosso delle delicate elezioni di midterm, quando è probabile che la maggioranza del Congresso passi ai repubblicani e che perciò l'approccio americano verso il conflitto in corso cambi. Una settimana fa il leader del Grand Old Party alla Camera, Kevin McCarthy, ha detto che in caso di vittoria del suo partito alle elezioni di medio termine "non ci saranno più assegni in bianco per Kiev".
Il fronte esterno di guerra influenza quello interno, e viceversa. Tutto va inquadrato alla luce della tensione sociale crescente negli Stati Uniti, anche per l'affare Trump. Sono infatti passate in sordina le perquisizioni dell'FBI nella casa dell'ex presidente, accusato di aver "volontariamente sottratto carte relative alla sicurezza nazionale Usa... nascosto o sottratto documenti pubblici" e "ostruito un'indagine federale". Gli apparati statali americani, che non sono così unitari come sembra, temono probabilmente che un'eventuale incriminazione di Trump per i fatti del 6 gennaio a Capitol Hill potrebbe scatenare movimenti di piazza da parte dei suoi sostenitori, i quali il più delle volte sono armati. Sui media americani si registra una certa apprensione verso certi eventi, come appunto le elezioni di midterm, che possono fare da catalizzatori per una resa dei conti tra gli opposti schieramenti.
La teleriunione di martedì sera, presenti 19 compagni, è iniziata commentando l'aumento dei casi di covid e l'annuncio del possibile utilizzo dell'atomica tattica da parte della Russia.
Per gli esperti il coronavirus è diventato un mix di varianti con un alto potenziale evolutivo, molto difficile da affrontare. Entro fine mese, in Italia, si prevede un boom di casi (e decessi). Tutti i diagrammi non danno prospettive positive, la borghesia ancora non ha risolto a livello mondiale questo disastro e si conferma una classe non più all'altezza della sua stessa storia. Senza contare la possibilità di nuovi virus (vedi aviaria).
Per quanto riguarda l'atomica tattica, non ci sono grandi novità ammenoché non si siano fatti progressi con le armi sperimentali. Nel caso di impiego di nucleare tattico da parte della Russia, David Petraeus, ex capo della Cia, minaccia una risposta durissima e immediata degli Usa: "Solo per darvi un'ipotesi, risponderemmo guidando uno sforzo della Nato - un sforzo collettivo - che eliminerebbe ogni forza convenzionale russa che possiamo vedere e identificare sul campo di battaglia in Ucraina e anche in Crimea e ogni nave nel Mar Nero". Nella guerra moderna non c'è bisogno di utilizzare le armi nucleari, sono essenziali i nuovi armamenti (informatica, elettronica). La domanda frequente è se questa escalation può far superare la soglia critica per cui la guerra si espande sul territorio e nell'impiego di mezzi. Esiste in effetti una difficoltà oggettiva ad inquadrare l'evoluzione dei fatti, ma fermandosi all'osservazione dei dati sul campo è arduo ipotizzare che possa rientrare tutto con un accordo come suggerisce, ad esempio, Mattarella. Basti pensare al recente sabotaggio dei gasdotti: il Nord stream è rimasto chiuso a lungo con i giornali allarmati per l'avvicinarsi dell'inverno ed il panico sociale che inizia ad avere delle conseguenze.
La teleriunione di martedì sera, presenti 19 compagni, è iniziata con il commento del risultato delle recenti elezioni politiche in Italia.
In Europa, ma anche oltreoceano, stanno riscuotendo successo i raggruppamenti populisti riconducibili alla galassia di destra. Ciò dipende dal crescente livello di instabilità sociale dovuta a crisi, miseria, pandemia e guerra. L'Italia, al solito, fa da laboratorio per il resto del mondo. Analizzando la tornata elettorale, il dato su cui soffermarsi è quello che riguarda la rinuncia al voto: quasi il 40% degli aventi diritto non si è recato alle urne, mentre il 26% dei votanti ha dato fiducia ad una forza che stando all'opposizione ha cavalcato il malessere sociale. In un articolo di domenica 25 settembre l'Avvenire riporta un grafico significativo sulla disaffezione dei cittadini verso la politica a partire dal secondo dopoguerra, che mostra una progressione sempre più marcata dell'astensionismo. Le vecchie strutture politiche, i partiti e persino i sindacati perdono iscritti. La volatilità del voto, che tende a premiare i partiti populisti, con le fiammate prima della Lega, poi del Movimento 5 Stelle, e adesso di Fratelli d'Italia, è la logica conseguenza del mancato radicamento dei partiti nella società e della fluidità della situazione.
La teleriunione di martedì sera, connessi 16 compagni, è iniziata commentando gli ultimi sviluppi del conflitto in Ucraina.
La propaganda, da sempre un'arma fondamentale nella guerra, nell'epoca dell'informazione diviene ancor più importante. Le notizie che abbiamo a disposizione per capire quanto accade in Ucraina sono quelle prodotte dagli apparati di imbonimento ideologico, i quali spiegano poco o nulla di quanto sta succedendo sul campo. Esistono siti militari, come Analisi Difesa o Rivista Italiana Difesa, oppure riviste di geopolitica, come Limes, ma bisogna prendere con le pinze quanto scrivono. L'offensiva delle forze ucraine nella provincia nordorientale di Kharkiv sembra essere vittoriosa e secondo l'Economist ha portato alla riconquista di 1000 kmq quadrati di territorio e di decine di insediamenti. I media mainstream occidentali esultano per quella che sarebbe la prima vittoria significativa dell'Ucraina contro la Russia, perchè dimostra che l'esito del conflitto potrebbe cambiare di segno.
Durante la teleriunione del 30 agosto, a cui hanno partecipato 14 compagni, abbiamo commentato l'intervista a Dennis Meadows, uno degli autori del famoso Rapporto sui limiti dello sviluppo del 1972. A 50 anni dalla pubblicazione, lo scienziato americano fa un bilancio dell'opera.
Partendo dallo scenario standard del Modello Mondo3, Meadows afferma che tutte le previsioni relative all'andamento della produzione industriale e alimentare, alla crescita della popolazione, e alle problematiche legate all'inquinamento si sono verificate, e che "il mondo sta mostrando sempre di più le conseguenze di uno schianto contro i limiti". Nell'intervista si ricorda anche il modello matematico HANDY, sviluppato nello studio "Human and Nature Dynamics: Modeling Inequality and Use of Resources in the Collapse or Sustainability of Societies" (Dinamiche umane e naturali: modellazione della diseguaglianza e dell'uso delle risorse riguardo al collasso o la sostenibilità delle società), sponsorizzato dall'ente spaziale americano, la NASA, e di cui in passato abbiamo scritto in un paio di occasioni ("L'Italia nell'Europa feudale", newsletter n° 207, 26 marzo 2014). HANDY prende ispirazione da quanto elaborato dal matematico Vito Volterra nel 1927 riguardo la dinamica predatori/prede, ed è generalizzabile alle diverse civiltà. Il modello simula due importanti aspetti delle società prossime al collasso, e cioè la carenza di risorse dovuta alla tensione riguardo alla capacità di rifornimento, e la stratificazione economica della società in élite e masse. Il mondo d'oggi è in preda alla guerra e al marasma sociale, e queste ricerche ci dicono che non si tratta di un caso. Solo negli ultimi giorni in Indonesia migliaia di persone hanno manifestato per il carovita, e lo stesso è successo (e succede) in Sri Lanka, Inghilterra, Cile, Sudafrica, e in Iraq, dove la protesta è culminata con un assalto al parlamento. E' oramai difficile tenere il conto di tutte le proteste, le rivolte e gli scioperi avvenuti negli ultimi anni in ogni parte del globo.
Durante la teleriunione di martedì sera abbiamo discusso della situazione interna degli Stati Uniti.
Come già accennato negli incontri precedenti, il fronte interno americano appare estremamente polarizzato. Diversi osservatori borghesi ritengono che il rischio di una guerra civile sia molto elevato e temono che le elezioni presidenziali del 2024 possano rappresentare un'ulteriore spinta in questa direzione. Ultimamente The Economist ha pubblicato un'indagine sulla riorganizzazione della destra "alternativa" americana dopo l'assalto a Capitol Hill ("The insurrection failed. What now for America's far right?"). L'articolo è incentrato sulla figura di Ammond Bundy, candidato alla carica di governatore dell'Idaho, fondatore di People's Right, una rete di persone in difesa delle libertà individuali, noto soprattutto per aver guidato degli scontri armati contro il governo federale nel 2014 e nel 2016 raccogliendo intorno a sé numerosi sostenitori. Secondo il settimanale inglese, l'evoluzione di Bundy è paradigmatica e riflette quanto sta accadendo a buona parte dei gruppi e delle milizie di destra dopo il 6 gennaio 2021, e cioè la fusione con la politica ufficiale, in parte incentivata dalle centinaia di richieste di carcerazione per l'assalto al Campidoglio.
La perquisizione da parte dell'FBI presso la tenuta di Donald Trump in Florida dimostra che la profonda spaccatura che attraversa la società americana giunge fino agli apparati statali, in scontro fra loro. Il confine tra le aggregazioni antigovernative ed estremiste di destra e il partito repubblicano è sempre più sfumato. In una recente indagine i ricercatori di Ihrer hanno analizzato i profili Facebook dei 7.383 legislatori statali in carica nel 2021 e nel 2022, e hanno scoperto che il 12% di essi e il 22% di quelli repubblicani appartenevano ad almeno un gruppo social di estrema destra. Ma l'Alt Right americana non è un insieme omogeneo, assembra invece formazioni eterogenee, anche in contrasto: gli Oath Keepers annoverano tra i loro ranghi ufficiali di polizia e militari, i Boogaloo Bois sono ostili alle forze dell'ordine, i Proud Boys sono combattenti di strada, il gruppo di People's Right giustifica le proprie azioni con la Costituzione o la Bibbia. Uno dei principali punti di forza di quest'ultima è la disponibilità a muoversi e a radunarsi "su chiamata" in sostegno ai propri membri contro quelli che ritengono soprusi dello stato federale.
La teleriunione di martedì sera, presenti 16 compagni, è iniziata partendo con alcune precisazioni sulla questione energetica.
Sui media mainstream si parla con apprensione della possibile chiusura dei gasdotti che dalla Russia portano il gas in Occidente. Secondo The Economist ("Europe's winter of discontent"), l'Europa rischia un inverno al freddo e già adesso la situazione risulta estremamente critica. La domanda di gas è stagionale, quindi è fondamentale accumulare riserve in primavera e in estate. Solitamente, in Europa i serbatoi di gas a giugno sono pieni per metà e a novembre raggiungono l'80%, il necessario per superare l'inverno. Complessivamente l'Unione Europea importa il 60% degli idrocarburi dalla Russia. L'Italia consuma circa 70 miliardi di metri cubi di gas all'anno e ne produce circa il 5%. Coloro che parlano di autarchia per l'approvvigionamento energetico, lo fanno senza aver chiaro di cosa si tratta.
A causa del conflitto in corso in Ucraina sono mancati gli approvvigionamenti che normalmente avvengono nella stagione estiva, e questo allarma le borghesie europee. Il settimanale liberista inglese mette in guardia dalla possibilità di uno shock economico tra pochi mesi. Secondo la banca UBS, uno stop ai flussi di gas russo nell'intera zona euro potrebbe abbassare la crescita del PIL di 3,4 punti percentuali, e aumentare l'inflazione di 2,7. In Germania, data la grande dipendenza dal gas russo, il danno sarebbe ancora peggiore (gli Usa attraverso le sanzioni alla Russia hanno in realtà colpito l'Europa, che è il loro maggior concorrente). I debiti dei governi sono più alti che mai, e il default di un paese europeo come l'Italia minaccerebbe l'intera zona euro. Ci sono investitori che scommettono sul fallimento di alcune grandi aziende, magari per accaparrarsele a prezzi stracciati, mettendo a repentaglio la stabilità del sistema. Guerra, pandemia, siccità, carenza energetica sono fattori di accelerazione della crisi storica del capitale.
Durante la teleriunione di martedì sera, connessi 15 compagni, abbiamo ripreso l'articolo dell'Economist citato la volta precedente, "Dall'inflazione all'insurrezione", che sulla base di un modello matematico, elaborato dalla testata stessa, prevedeva l'intensificarsi delle rivolte per i prossimi dodici mesi.
Nel giro di una settimana l'elenco (parziale) delle proteste riportato nel precedente resoconto si è già allungato. L'ultima in ordine di tempo è lo sciopero indetto dagli addetti alle piattaforme petrolifere e del gas norvegesi del mare del Nord, che potrebbe mettere a rischio circa il 60% delle esportazioni di gas dalla Norvegia con ricadute a livello internazionale. In Olanda, il piano del governo per la riduzione delle emissioni di azoto, che porterà entro il 2030 ad una diminuzione del parco bestiame del 30%, ha provocato le proteste degli allevatori che hanno bloccato le maggiori arterie stradali del paese. In Libia, si intensificano le manifestazioni contro il peggioramento delle condizioni di vita a causa del carovita e delle lunghe interruzioni della fornitura di energia elettrica, aggravate dal blocco di diverse installazioni petrolifere; a Tobruk i manifestanti hanno assaltato l'edificio del Parlamento e hanno compiuto saccheggi. In Ghana, un'inflazione galoppante ha portato all'aumento del prezzo di cibo e carburante; in migliaia hanno protestato nella capitale Acca e si sono verificati scontri con le forze dell'ordine. L'elenco potrebbe continuare e, nonostante non tutti gli episodi di protesta trovino spazio sui media mainstream, oppure vi compaiano in maniera frammentata, rimane il fatto che non vi è area del pianeta in cui la temperatura sociale non stia salendo.
La teleriunione di martedì sera, presenti 15 compagni, è iniziata con il commento di alcune notizie riguardanti gli scioperi in corso in varie parti del pianeta.
Solo nell'ultima settimana ci sono stati: uno sciopero nazionale in Ecuador indetto dalle comunità indigene; uno sciopero generale in Tunisia che ha visto la partecipazione di tre milioni di lavoratori; uno sciopero a Bruxelles che ha portato in piazza 70 mila manifestanti; il più importante sciopero negli ultimi trent'anni delle ferrovie in Gran Bretagna. Inoltre, è in fibrillazione tutto il settore della logistica, dai portuali tedeschi agli autotrasportatori sudcoreani.
Il filo rosso che lega queste mobilitazioni passa per l'aumento dei prezzi, il carovita, l'inflazione galoppante. Le odierne eruzioni sociali non sono propriamente dei movimenti e non possono riflettere altro che il motivo contingente che spinge in piazza le persone. Ma in un contesto di miseria assoluta crescente, vediamo crescere un senso di disagio profondo che mobilita sia coloro che hanno paura di perdere qualcosa, sia coloro che non hanno più nulla da perdere ("Rivolta contro la legge del valore").
Questo processo provoca contraccolpi sulla sovrastruttura politica borghese e rappresenta una chiave di lettura. Riguardo alle vicende politiche italiane, possiamo utilizzarlo per comprendere la dissoluzione del Movimento 5 Stelle.
Abbiamo iniziato la teleriunione di martedì 3 maggio, a cui hanno partecipato 25 compagni, parlando del Primo Maggio a Torino, giornata che quest'anno si è inserita in un contesto di guerra e di corsa agli armamenti.
Nel capoluogo piemontese la manifestazione ufficiale organizzata dai sindacati ha percorso il tragitto classico, da piazza Vittorio Veneto a piazza San Carlo passando per via Roma. Un ingente schieramento di polizia si è occupato di tenere separato lo spezzone dei confederali da quello degli antagonisti, caricando quest'ultimo a più riprese lungo il percorso. Questi fatti non sono eccezionali, si ripetono quasi ogni anno. Eravamo presenti in piazza e abbiamo distribuito il volantino "La Quarta Guerra Mondiale", riscontrando un certo interesse da parte di chi lo riceveva. Quando la testa del corteo stava giungendo in Piazza San Carlo, alcuni rider hanno cercato di inserirsi entrando da una traversa di via Roma, ma sono stati prontamente bloccati dalle forze dell'ordine e dal servizio d'ordine della CGIL.
La tensione sociale aumenta e, di anno in anno, in occasione del 1° maggio cresce anche il numero di agenti in divisa e in borghese. Tuttavia, finché si accettano le regole del gioco il copione si ripete: i sindacati e le istituzioni arrivano in piazza, iniziano il loro comizio, partono le cariche in coda al corteo contro lo "spezzone sociale", i fotografi scattano tante foto, le istituzioni lasciano libera la piazza, gli antagonisti rivendicano la presa del palco. Quello del Primo Maggio a Torino è un wargame giocato unicamente dalla questura, che ha il controllo della situazione sia in termini di forze che in termini di prevenzione. Mettere in discussione le regole del gioco significa, ad esempio, rifiutare il concetto stesso di manifestazione che inizia al mattino e finisce al pomeriggio, come ha insegnato Occupy Wall Street che pensò bene di piantare le tende a Zuccotti Park e occupare a tempo indeterminato la piazza (dando vita ad un movimento globale). Per (ri)fare ciò è necessario un cambio di paradigma, l'abbandono di vecchie visioni politiche.
Abbiamo iniziato la teleriunione di martedì 10 maggio, a cui si sono collegati 24 compagni, prendendo spunto da una e-mail circolata nella nostra rete di lavoro in merito al mercato mondiale e alle problematiche che stanno emergendo.
Quando è iniziata la guerra in Ucraina, comprendere le motivazioni reali che stavano dietro all'esplosione del conflitto poneva delle difficoltà. Avevamo detto che col tempo si sarebbe chiarito tutto e, in effetti, a distanza di due mesi e mezzo risulta più facile inquadrare i fatti. Elenchiamone alcuni: 1) non si tratta tanto di una guerra tra Russia e Ucraina ma tra Usa e Russia e, presa di mezzo, Europa; 2) come nota Limes, la pace è finita, e questo dipende da una serie di fattori concatenati che indicano un sobbollimento generale dovuto alla crisi del capitalismo senile; 3) il controllo del mondo da parte degli Usa mostra segni di debolezza. Gli Stati Uniti vivono grazie ai flussi di valore che arrivano dal resto del pianeta e, data questa struttura materiale del capitalismo, la loro guerra è, per forza di cose, contro il mondo intero.
I processi di autonomizzazione monetaria sono la diretta conseguenza dell'indebolimento della dittatura del dollaro sul mercato mondiale. L'India ha annunciato di aver iniziato ad acquistare petrolio russo pagandolo in rubli; alla dichiarazione è seguita quella, piuttosto minacciosa, dell'amministrazione Usa che ha ricordato al governo indiano le ripercussioni a cui vanno incontro ignorando le sanzioni contro il paese nemico. Voci sempre più insistenti parlano di una nuova moneta commerciale con cui Russia e Cina intendono sostituire il dollaro ("L'economia e la guerra. Il mondo rischia di spaccarsi anche sul fronte della moneta", L'Avvenire).
La teleriunione di martedì sera, presenti 20 compagni, è iniziata prendendo spunto da un articolo del Il Fatto Quotidiano a firma del generale Fabio Mini: "Salvare la dittatura del dollaro: la vera guerra di resistenza USA" (16 aprile 2022). Nel testo viene citato l'ultimo libro del generale cinese Qiao Liang, L'arco dell'impero, con la Cina e gli Stati Uniti alle estremità, che tratta, tra le altre cose, della "invenzione della finanza Usa che riesce a staccare la moneta dalla realtà economica e da qualsiasi valore oggettivo di riferimento e convertibilità".
Per spiegare le origini del conflitto in Ucraina Mini ricorda alcuni fatti salienti che hanno segnato il corso del capitalismo, in primis la strabiliante capacità degli Usa di colonizzare finanziariamente il mondo. Nel 1944, con gli accordi di Bretton Woods, il dollaro diventa la moneta utilizzata per i maggiori scambi commerciali mondiali, nel 1971 si sgancia dall'oro e successivamente, con Nixon, si lega al petrolio (Petrodollaro). Nel 2000 Saddam Hussein annunciò di voler vendere petrolio iracheno in euro, qualcosa di simile dichiarò anche Gheddafi; sappiamo che fine hanno fatto i due leader. Oggi, dice Mini, si stanno formando unioni economico-commerciali (Eaeu, Bri) che mettono a repentaglio il dominio del dollaro; il conflitto in Ucraina è quindi l'ultimo episodio della politiguerra americana al mondo, tesa a mantenere l'egemonia del capitale a stelle e strisce. Le "guerre senza fine" del Pentagono, scrive il generale Qiao, sono progettate per garantire "che non solo i dollari fluiscano senza problemi fuori dal Paese (sotto forma di cessioni finanziarie e di crediti), ma anche che il capitale in movimento nel mondo torni negli Stati Uniti".
Da segnalare anche l'interessante intervista di Giulio Chinappi a Gal Luft, consulente senior del Consiglio per la sicurezza energetica degli Stati Uniti ("Gli USA, la guerra nucleare finanziaria contro la Russia e il nuovo ordine finanziario globale").
La teleriunione di martedì sera, connessi 15 compagni, è cominciata con una richiesta di chiarimento rispetto a quanto abbiamo scritto nell'ultimo resoconto, ovvero che gli Usa "sono anche colonizzatori di sé stessi, agendo come alieni verso le popolazioni occupate e pure verso la propria".
Il riferimento al moderno colonialismo a stelle e strisce, emerso durante lo scorso incontro on line, si richiamava al nostro articolo "Teoria e prassi della nuova politiguerra americana" (capitolo V. L'invasione degli ultracorpi), nel quale affermiamo che anche alcune frange borghesi comprendono che per milioni di americani il loro stesso Stato è un alieno, un qualcosa che non fa parte del paese. Si pensi, ad esempio, alla trilogia dell'impero di Gore Vidal (La fine della libertà, Le menzogne dell'impero, Democrazia tradita).
La riunione è proseguita riprendendo la discussione sulla guerra in Ucraina e le sue conseguenze.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 20 compagni, è iniziata con una serie di considerazioni riguardo l'introduzione massiccia di automi nel comparto dello stoccaggio merci, e non solo.
Secondo quanto riportato dall'Economist nell'articolo "New robots - smarter and faster - are taking over warehouses", Amazon ha introdotto nei suoi siti logistici più di 350mila robot. Macchine veloci e intelligenti stanno prendendosi i magazzini, anche come conseguenza della pandemia che ha messo fuori uso migliaia di lavoratori. La società di consulenza manageriale McKinsey prevede che il mercato dell'automazione dei magazzini crescerà del 23% per un valore di oltre 50 miliardi di dollari entro il 2030.
Amazon Robotics (precedentemente Kiva Systems) produce sistemi di robotica mobile e recentemente ha sviluppato una nuova famiglia di robot che le consentirà di imballare più merci nei suoi centri logistici, e potrà essere utilizzata anche nei siti di distribuzione più piccoli. L'azienda utilizza centinaia di automi mobili coordinati da un software di controllo che garantisce un sistema completo di gestione e organizzazione dei magazzini di grosse dimensioni, permettendo di custodire, spostare e ordinare le merci in maniera facile e veloce: gli oggetti non sono conservati su scaffali statici, né vengono trasferiti per mezzo di nastri trasportatori o muletti; sono invece sistemati su piccoli scaffali mobili, trasportabili con facilità all'interno del sito.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 17 compagni, è iniziata con alcune riflessioni sul linguaggio.
La corrente a cui facciamo riferimento, la Sinistra Comunista "italiana", nel testo "I fattori di razza e nazione nella teoria marxista" (1953) afferma che "la lingua del gruppo umano è uno dei suoi mezzi di produzione". Se con struttura sociale intendiamo sia il campo delle forme di riproduzione della specie, sia ogni meccanismo di cui essa dispone per la trasmissione di informazione di generazione in generazione, allora vanno considerati e annoverati tra i mezzi di produzione, oltre alle reti di comunicazione, la scrittura, il canto, la musica, le arti figurative, la stampa, dato che essi sorgono quali strumenti di trasmissione della dotazione produttiva. Il linguaggio fa parte di ogni struttura sociale perché è il mezzo con cui l'uomo rovescia la prassi, trasmette informazione, progetta; e non è da materialisti confondere il linguaggio con l'ideologia che esso può veicolare (Newsletter n. 206, 18 febbraio 2014). Engels afferma: "Dapprima il lavoro, in seguito e in combinazione con esso il linguaggio, ecco i due fattori più essenziali sotto l'influenza dei quali il cervello della scimmia si è trasformato gradualmente in cervello umano". Il linguaggio per vocaboli emerge quando nasce il lavoro a mezzo di utensili, la produzione di oggetti di consumo a mezzo di opera associata di uomini.
Durante la teleconferenza di martedì sera, a cui si sono collegati 18 compagni, abbiamo discusso delle notizie relative all'aumento dei contagi da Coronavirus in Europa, e della tensione crescente tra Ucraina e Russia.
Una nuova ondata di contagi sta colpendo l'Europa. Repubblica Ceca, Polonia e Ungheria sono ai primi posti per il numero di casi giornalieri, ma registrano un importante incremento dei contagi anche alcuni paesi dell'area centrale. Il governo olandese, per far fronte alla risalita delle curve della diffusione del virus, ha imposto nuove misure di lockdown; in Danimarca è stato reintrodotto il pass sanitario obbligatorio; la Germania a metà novembre ha raggiunto i 50 mila casi giornalieri, e l'Austria, paese con un tasso di popolazione con vaccinazione completa del 65%, ha adottato misure di contenimento selettive, isolando i non vaccinati e limitandone le attività non essenziali. Secondo quanto già osservato nel recente passato, è molto probabile che la situazione in cui sono precipitati molti paesi europei riguarderà presto anche l'Italia: a fronte di un tasso di vaccinazione di circa il 75%, il numero dei casi nel paese continua comunque a crescere, e per alcune regioni si sta già prospettando il passaggio in zona gialla.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 18 compagni, è iniziata con il commento di un articolo apparso su Le Figaro il 9 novembre scorso riguardo l'aumento delle aggressioni alle forze di polizia e agli agenti in uniforme. Da inizio anno si sono verificati circa un centinaio di attacchi al giorno contro rappresentanti dell'autorità francese. Gendarmi, vigili del fuoco, soldati: sono stati più di 28.500, in nove mesi, a subire violenze.
Lo Stato è costretto a blindarsi, a mettersi sulla difensiva, assediato com'è da una moltitudine di nuovi barbari.
Qualche mese fa un gruppo di militari francesi ha scritto una lettera a governanti e politici nella quale li accusava di abbandonare il paese al disordine, rischiando la guerra civile nelle banlieue. Sempre in Francia, pare sia stato sventato un tentativo di colpo di stato che ha visto coinvolti diversi politici, ex membri dell'esercito e gendarmi. Con le scarne notizie a disposizione, è difficile capire la reale forza di questo gruppo, composto da circa 300 golpisti. Sul Fatto Quotidiano del 4 novembre si legge:
Si è iniziata la teleconferenza di martedì sera, a cui si sono collegati 22 compagni, commentando una notizia uscita sui giornali che riguarda l'economia al tempo del Coronavirus, e cioè il fatto che l'immobilizzazione forzata delle famiglie italiane in casa, o comunque l'impossibilità di muoversi come prima, ha portato ad un risparmio netto pari a 51,6 miliardi di euro.
"Nonostante il forte sostegno pubblico alla capacità di spesa delle famiglie, il calo dei consumi nella prima metà dell'anno è stato eccezionalmente ampio (-9,8 per cento)... il tasso di risparmio è più che triplicato rispetto alla fine del 2019, (dal 2,8 al 9,2 per cento), contrariamente a quanto era accaduto durante le due precedenti crisi", nota la Banca d'Italia in un report del 14 gennaio 2021. Non appena tutto sarà normalizzato o propagandato come tale, questi soldi verranno spesi. Questi miliardi diventano interessanti per il Capitale; nei calcoli keynesiani il risparmio è l'anticipo dell'investimento e quindi del consumo e della ripresa del ciclo capitalistico. Questo risparmio crea un'aspettativa presso i capitalisti non indifferente perché la cifra è considerevole.
Durante la teleriunione di martedì sera, a cui hanno partecipato 22 compagni, abbiamo discusso della crescita del prezzo delle materie prime ed, in particolare, dell'energia.
In un articolo pubblicato nell'ultimo numero dell'Economist (curiosamente intitolato "The energy shock", lo stesso titolo di un nostro resoconto di qualche settimana fa che abbiamo appreso essere stato tradotto prima in spagnolo e poi in tedesco), si ricorda che dal 31 ottobre al 12 novembre si terrà la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 2021 (COP26). Al vertice parteciperanno i leader mondiali, riuniti nel tentativo di stabilire una rotta affinché le emissioni globali di carbonio raggiungano lo zero entro il 2050.
Mentre la classe dominante annuncia di impegnarsi in uno sforzo trentennale, nella pratica fa il contrario. Da maggio il prezzo di un paniere di petrolio, carbone e gas è aumentato del 95%, e lo scorso settembre la Gran Bretagna, che ospiterà il vertice, ha riacceso le sue centrali elettriche a carbone. Londra ha comunque fatto sapere che punterà sul nucleare per ridurre le emissioni di CO2.
Si è iniziata la teleconferenza di martedì sera, a cui si sono collegati 22 compagni, parlando delle recenti mobilitazioni in Italia. Dopo le manifestazioni "no green pass" di sabato 9 ottobre a Roma (circa 10 mila i presenti) e Milano (5 mila), lunedì 11 ottobre, in occasione dello sciopero generale indetto dai sindacati di base, sono scese in piazza migliaia di persone, con decine di picchetti e cortei in tutta Italia.
Particolarmente numerosa la manifestazione a Trieste dove il corteo sindacale era aperto dai lavoratori portuali che esibivano striscioni contro il "green pass". Alla collera delle mezze classi rovinate e preoccupate per i loro affari, si aggiunge quella di una parte di lavoratori che non sono vaccinati e avranno problemi per entrare al lavoro nei prossimi giorni.
Sui media mainstream viene dato molto spazio al grado di politicizzazione nelle piazze e nella società, utilizzando come chiave di lettura i dualismi sì vax/no vax, destra/sinistra, fascisti/antifascisti. Dobbiamo alla nostra corrente una potente definizione del fascismo: esso è il realizzatore dialettico delle vecchie istanze riformiste della socialdemocrazia. Il fascismo non è tanto Forza Nuova o i naziskin ma un modo di essere del capitalismo raggiunto un certo stadio di sviluppo. Oggi come non mai, alla borghesia servirebbe una democrazia "snella", cioè un esecutivo non troppo intralciato da chiacchiere parlamentari, in grado di programmare difficili scelte economiche. E programmare vuol dire avere il controllo della forza lavoro; obiettivo raggiungibile, più che con l'utilizzo degli apparati polizieschi, con l'ausilio del sindacato, organismo di mediazione tra le istanze borghesi e quelle operaie.
Durante la teleconferenza di martedì sera, a cui hanno partecipato 21 compagni, abbiamo espresso alcune considerazioni riguardo le crescenti difficoltà che il capitalismo sta attraversando in diversi settori.
Il 4 ottobre 2021 Facebook e tutte le applicazioni e i servizi gestiti dalla società di Menlo Park non sono stati disponibili per alcune ore, a causa di un'errata configurazione dei router che coordinano il traffico di rete tra i diversi centri dati dell'azienda. Sono circa tre miliardi e mezzo le persone nel mondo che utilizzano Whatsapp, Facebook e Instagram, per comunicare con amici e parenti ma anche per lavorare, per inviare e ricevere ordini di produzione, per fare acquisti online, per telefonare, per effettuare pagamenti o per diffondere messaggi politici. Il blocco, seppur durato poco tempo, ha avuto un impatto notevole sia a livello sociale che finanziario; l'agenzia Bloomberg ha stimato che la perdita economica a livello mondiale sia stata di 160 milioni di dollari per ogni ora di interruzione. Anche il blackout di Facebook è classificabile come un collo di bottiglia, che questa volta ha colpito le autostrade non di asfalto ma digitali.
Durante la teleconferenza di martedì sera, a cui si sono collegati 15 compagni, abbiamo ripreso il tema "macchine, intelligenza artificiale e general intellect".
Nel capitolo XIII del I Libro de Il Capitale (ed. Utet), intitolato "Macchine e grande industria", Marx afferma che nel capitalismo le macchine vengono introdotte non per alleviare la fatica umana, bensì per ridurre il prezzo delle merci ed abbreviare la parte di giornata lavorativa che l'operaio impiega per riprodurre sé stesso.
Nel corso del capitalismo, partendo dalla base manifatturiera, prima vengono costruite attrezzature che hanno come forze propulsive il vento, l'acqua, i cavalli (difficili da utilizzare nelle fabbriche) e gli stessi uomini; poi, con l'avvento della rivoluzione industriale, all'operaio collettivo viene assegnato il compito di sorvegliare il processo produttivo, mentre la macchina finisce per funzionare da sé, in autonomia:
"Solo dopo che gli strumenti erano stati trasformati da strumenti dell'organismo umano in strumenti di un apparecchio meccanico, della macchina utensile, anche il motore assunse una forma autonoma, completamente emancipata dai limiti della forza umana."
Durante la teleconferenza di martedì sera, a cui hanno partecipato 18 compagni, abbiamo fatto un aggiornamento sullo stato del capitalismo prendendo spunto da un articolo apparso su Repubblica riguardo il rincaro dei trasporti, soprattutto nel settore marittimo.
Il più grande armatore di navi mercantili al mondo, la compagnia danese Maersk, ha lanciato l'allarme sulla difficile situazione nel settore della movimentazione merci, che avviene per il 90% via mare. La rapida ripresa della domanda, seguita ai periodi di lockdown e alimentata dalle misure di sostegno ai consumi interni adottate dai vari stati (in particolare Cina e Usa), ha provocato l'intasamento di porti e banchine, il ritardo nelle consegne e l'aumento del costo dei noli. Il flusso degli scambi commerciali è cresciuto così repentinamente che le compagnie di cargo non riescono a soddisfare le richieste e a gestire la relativa movimentazione dei container navali, generando colli di bottiglia nella distribuzione delle merci, con ricadute anche sul prezzo finale.
Paradossalmente, di fronte alla preoccupante situazione, l'amministratore delegato di APM Terminals, una collegata di Maersk, in un'intervista al Financial Times auspica una sorta di decrescita, per far sì che la catena di approvvigionamento possa recuperare i ritardi accumulati e, nel lungo periodo, recuperare l'efficienza.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 17 compagni, è iniziata ribadendo l'importanza del nostro metodo per condurre qualsiasi indagine scientifica.
Il processo produttivo, paragonabile al metabolismo dell'organismo sociale, è per sua natura dissipativo, come tutti i sistemi viventi. Questa dissipazione, questo consumo di energia, può alimentare informazione utile, conoscenza, evoluzione; oppure al contrario si può perdere nel dibattito, nel confronto fra opinioni, nel contrattare, nell'agitazione frenetica e disordinata come quella delle elementari molecole di un gas, producendo solo disturbo/rumore. Il capitalismo è la società dello spreco, del caos, della conservazione di vincoli che incatenano le forze produttive.
La teleconferenza di martedì sera, a cui si sono collegati 16 compagni, ha preso le mosse dalla lettura di un passaggio dall'articolo "Nel 1972 è stato previsto il collasso della società nel 2040", pubblicato sul sito italiano della rivista Vice:
"Nel 1972, un gruppo di scienziati del MIT ha studiato i rischi relativi all'eventuale collasso della civiltà. Il loro modello di dinamica dei sistemi, pubblicato dal Club di Roma, ha identificato i 'limiti dello sviluppo' che porterebbero la nostra civiltà industriale sulla strada verso il collasso proprio nel ventunesimo secolo, a causa dello sfruttamento incontrollato delle risorse planetarie".
Il collasso sistemico è in atto e le prove sono sotto gli occhi di tutti. Lo scorso 31 luglio l'Economist ha pubblicato una rassegna di tutte le manifestazioni e i tumulti scoppiati sul pianeta negli ultimi due anni ("The pandemic has exacerbated existing political discontent"). Già prima della pandemia, a partire almeno dal 2011, gli episodi di rivolta si contavano nell'ordine delle migliaia (vedi i nostri articoli "Marasma sociale e guerra" e "Occupy the World togheter"). Secondo l'Institute for Economics and Peace (IEP), un think tank di Sydney, tra il 2011 e il 2019 i grandi movimenti di protesta sono cresciuti di 2,5 volte; nel 2020 i disordini civili sono aumentati del 10% e le manifestazioni generalizzate hanno coinvolto 158 paesi. Le epidemie hanno conseguenze sociali, sottolinea nell'articolo il settimanale inglese citando il FMI: dal momento in cui erompono allo sviluppo di disordini sociali di massa passano solitamente 12-14 mesi. L'ultimo caso in ordine di tempo è quello di Cuba, paese che nel tempo ha sviluppato un'ampia rete di intelligence in grado di schiacciare possibili rivolte e movimenti anti-governativi, ma che ora, in seguito al malessere e al disagio causati dal peggioramento della condizione sanitaria ed economica, si ritrova incapace di arginare quanto accade nella società (l'11 luglio scorso migliaia di persone hanno marciato in più di 50 località al grido di "libertà").
La teleconferenza di martedì sera, presenti 17 compagni, è iniziata con alcune considerazioni sugli sviluppi della pandemia.
A furia di riaprire negozi, uffici, ristoranti e tante altre attività, la borghesia è riuscita a far ripartire la crescita dei contagi. Da qualche settimana Inghilterra, Olanda, Grecia, Spagna, Israele, Francia e Italia registrano un netto aumento dei malati e la relativa impennata del tasso di positività. A Roma pare che il boom di nuovi casi sia dovuto ai festeggiamenti avvenuti in seguito alla partita di calcio tra Italia e Inghilterra. Borghesia e mezze classi hanno in mente solo il business, non vedono altro, e per rilanciare gli acquisti e il turismo sono disposte a far ripiombare la società in piena emergenza sanitaria. Il governo inglese ha annunciato il Freedom day: auditorium e stadi potranno funzionare a pieno regime, le discoteche torneranno ad accogliere il pubblico, il servizio bar sarà nuovamente autorizzato nei pub, e non ci sarà più alcun limite al numero di persone che possono radunarsi; cadrà l'obbligo di indossare la mascherina nei negozi e sui mezzi pubblici, il telelavoro diventerà facoltativo. Eppure, Londra sta facendo i conti con un aumento vertiginoso dei casi di contagio.
Questa pandemia sta provocando effetti sociali a livello globale. L'emergenza e la diffusione di nuove varianti del virus, che secondo l'OMS potrebbero rivelarsi più pericolose della Delta e riuscire a neutralizzare l'effetto dei vaccini, alzano il rischio di una condizione out of control. E' una situazione fluida, che stimola prese di posizione, da parte della politica parlamentare e di quella extra-parlamentare, dove si moltiplicano le opinioni, i dibattiti sull'utilità o meno del vaccino e le opposte partigianerie. Qualche giorno fa un nostro corrispondente ci ha chiesto se siamo favorevoli o contrari all'obbligo vaccinale. Gli abbiamo scritto che in realtà la domanda da porsi è un'altra: le trasfusioni di sangue servono? Gli antibiotici servono? E l'antitetanica è utile?
La teleriunione di martedì sera, collegati 15 compagni, si è aperta con la notizia della riduzione della settimana lavorativa in Islanda.
Tutto è cominciato con il programma pilota, iniziato nel 2015 e terminato nel 2019, che ha coinvolto 2500 dipendenti statali islandesi, impiegati in scuole materne, uffici e ospedali. Il test prevedeva che i lavoratori potessero scegliere orari più brevi rispetto alle consuete 40/44 ore settimanali a parità di salario. I risultati dell'esperimento sono stati così incoraggianti, sia in termini di produttività che di calo dei livelli di stress e di maggiore equilibrio tra occupazione e vita privata, che oggi l'86% della forza lavoro del paese è passata alla settimana lavorativa di 4 giorni.
La notizia del "travolgente successo" islandese è rimbalzata su molte testate giornalistiche, ma la piccola repubblica nordica non è certamente sola e tantomeno la prima nella lista dei paesi che hanno intrapreso la via della riduzione della giornata lavorativa. Qualche anno fa era stata la Danimarca a cominciare, stabilendo le 33 ore settimanali, poi la Finlandia aveva annunciato la settimana breve, e poco dopo le aveva fatto eco il sindacato tedesco IG Metall proponendo la riduzione, su richiesta individuale, delle ore di lavoro fino a 28 ore settimanali per un periodo di 24 mesi. Attualmente esperimenti simili a quello condotto in Islanda sono in corso in vari paesi, tra cui Gran Bretagna, Spagna e Nuova Zelanda.
Durante la teleconferenza di martedì sera, a cui hanno partecipato 16 compagni, abbiamo commentato le ultime notizie riguardanti la rapida diffusione della variante Delta del virus SarsCoV2 in Inghilterra, e l'annuncio di alcuni focolai anche in Italia.
Siamo alle solite: invece di agire globalmente ogni paese pensa per sé e così facendo i problemi non vengono risolti. Questo vale per la pandemia come per l'economia. Il capitalismo naviga a vista, non ha una visione organica del futuro. Comunque, niente di nuovo rispetto a quanto scritto negli articoli "Prove di estinzione" (rivista n. 47) e "La pandemia e le sue cause" (rivista n. 49).
Siamo poi passati a parlare dei recenti blocchi dei facchini della logistica (Tavazzano, Lodi), sottolineando l'importanza che ha il settore a livello economico, il quale produce un business superiore ai 100 miliardi di euro, il 7% del Pil italiano. Un blocco generale e prolungato del comparto della logistica (dai driver ai rider) metterebbe in ginocchio l'intero paese; ecco perché i giornali borghesi guardano con preoccupazione all'evoluzione di una situazione caotica fatta di appalti e sub-appalti, picchetti e scioperi diffusi nei nodi logistici ("Il virus e la civiltà del lavoro", Ezio Mauro, Repubblica, 14.6.21).
Nell'affrontare questi argomenti è da evitare l'approccio terzinternazionalista, che vede nella conquista della direzione del sindacato un passo verso la graduale conquista della classe. I nostri lavori sulla "socializzazione" (riviste n. 42 e 47) dimostrano che il sindacato, soprattutto nei paesi a vecchio capitalismo, ormai è inglobato nello Stato e che da questa situazione non si può tornare indietro. Negli anni è cambiato il paradigma, e chi adotta un linguaggio e un'estetica di cento anni fa è destinato all'estinzione.
Durante la teleconferenza di martedì sera, presenti 20 compagni, abbiamo fatto alcune considerazioni su quanto sta accadendo in questi giorni in Medioriente. Ne riportiamo una sintesi.
Secondo giornali e tv, il casus belli che ha "riacceso" lo scontro tra Israele e Hamas è stato lo sfratto di alcune famiglie palestinesi da un quartiere di Gerusalemme Est. In realtà, questo conflitto prosegue senza soluzione di continuità almeno dal 1948, trovando nel tempo una sua simmetria (se si trattasse di una guerra asimmetrica il dominato non potrebbe rispondere al dominatore), seppure nella sproporzione degli armamenti e delle forze in campo. Oggi, dopo oltre 70 anni, dopo innumerevoli risoluzioni dell'ONU, dopo periodici e accorati appelli alla pace di papi e presidenti, la situazione è tutto fuorché appianata. D'altronde, la buona volontà e le migliori intenzioni non possono risolvere le contraddizioni del capitalismo.
Durante la teleriunione di martedì sera abbiamo espresso alcune considerazioni riguardo l'importanza della previsione per i comunisti. Il tema è stato proposto in conclusione del precedente incontro e riguarda nello specifico la possibilità di poter individuare i paesi e le aree geografiche maggiormente esposte ad esplosioni di carattere sociale.
La previsione è indispensabile per elaborare e portare a compimento azioni di qualsiasi genere e dimensione, all'interno di piccoli o grandi sistemi; e la sua scientificità non è inficiata dal fatto che essa venga confermata o meno da quanto avviene in seguito. Per esempio, negli anni '50 la nostra corrente criticò l'approccio della borghesia alla questione spaziale, sostenendo che in quella maniera l'uomo non sarebbe riuscito ad andare sulla Luna. Quando invece questo avvenne, alcuni cascarono nell'errore di considerare errata la validità delle osservazioni fatte: quanto previsto non era sbagliato ma non si realizzò perché nel frattempo qualcosa era cambiato, cioè erano intervenute delle modifiche che permisero la cosiddetta conquista dello spazio. Riguardo all'argomento abbiamo pubblicato il volume Scienza e rivoluzione, a cui rimandiamo per l'approfondimento.
Durante la teleconferenza di martedì sera, a cui hanno partecipato 24 compagni, abbiamo commentato due articoli dell'Economist riguardo la trasformazione del Welfare State.
In "Covid-19 has transformed the welfare state. Which changes will endure?" vengono messi in luce alcuni aspetti significativi riguardo l'ondata di misure a sostegno delle popolazioni, che moltissimi governi nel mondo hanno adottato per attutire lo shock economico causato dal blocco delle attività economiche per il contenimento della diffusione del virus. Molti paesi hanno erogato finanziamenti a pioggia e in maniera estremamente rapida, saltando a piè pari le consuete lungaggini burocratiche legate alla verifica dell'idoneità al sostegno del ricevente, e distribuendo denaro, nei conti correnti, sotto forma di voucher, o direttamente in contanti, senza alcuna contropartita. La riflessione dell'Economist non si ferma soltanto intorno a quanto accaduto con lo scoppio della pandemia, ma guarda anche al periodo precedente, e cioè al fatto che già in epoca pre-Covid stava crescendo l'esigenza di un cambiamento dei meccanismi di Welfare State, diventati oramai obsoleti in un mondo dove gli individui vengono sempre più sovente sostituiti da algoritmi e robot.
La teleconferenza di martedì sera, a cui hanno partecipato 27 compagni, è iniziata da alcune considerazioni riguardo alcuni testi pubblicati in occasione del centenario della nascita del Partito Comunista d'Italia (PCd'I).
Il prof. Pietro Basso ha curato un'antologia di scritti di Amadeo Bordiga in lingua inglese: The Science and Passion of Communism. Selected Writings of Amadeo Bordiga (1912-1965). La presentazione in italiano dell'opera (ed. Punto Rosso, 2021) è stata recensita positivamente, tra gli altri, da Alessandro Mantovani. Come abbiamo detto in un'altra occasione, la prima operazione di mistificazione in merito all'origine del PCd'I, la più superficiale, è di marca stalinista e democratica e lega la nascita del partito a Gramsci o Togliatti, mettendo in secondo piano il ruolo svolto da Bordiga. La seconda interpretazione, la più insidiosa, apparentemente pubblicizza l'opera della Sinistra Comunista "italiana" (SCi), ma in realtà coglie l'occasione per biasimarla rispolverando le solite vecchie critiche. Per esempio, Bordiga viene accusato di essere poco politico, di essere stato attendista e di avere adottato una tattica sbagliata voltando le spalle alla democrazia; se per il riformismo della Seconda Internazionale il movimento è tutto e il fine è nulla, per il rivoluzionario napoletano il fine era tutto e il movimento nulla. Come dicevamo, niente di nuovo: si tratta dei classici rimproveri, mossi alla SCi da un secolo a questa parte. Il messaggio politico che queste forze veicolano è che non bisogna chiudersi nella torre eburnea ma piuttosto darsi da fare, incoraggiando i fronti unici politici, partecipando ad alleanze intergruppi, e via dicendo. Tutti i punti di forza espressi dal PCd'I negli anni '20 vengono ora presentati dai suoi critici come punti di debolezza, che oggi andrebbero finalmente superati per far uscire il proletariato dall'impasse e per non ripetere gli errori del passato. Come avvenne con la sottovalutazione del fascismo e l'adozione di una posizione settaria (leggi il rifiuto di aderire a formazioni di iniziativa estranea al partito, come gli Arditi del popolo), che avrebbero aperto le porte al regime.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 23 compagni, è iniziata con il commento di alcune notizie riguardo i vaccini.
Le campagne di vaccinazione della popolazione sono in balia delle decisioni commerciali di alcune grandi aziende farmaceutiche, e gli stati, visti i ritardi nella consegna delle dosi da parte Pfizer, Moderna e AstraZeneca, spingono per una produzione autonoma. Per sconfiggere il Covid, al vertice del G7 il presidente americano Joe Biden ha rilanciato l'alleanza con l'Europa, ma sembra che tale unione sia finalizzata soprattutto ad allargare il fronte contro Russia e Cina. In Italia, dove si sta diffondendo la cosiddetta variante inglese del virus, cresce il numero delle zone e dei comuni in lockdown, è di nuovo in emergenza e, nonostante le evidenze, c'è ancora chi, tra le schiere di chi si dichiara comunista o di sinistra, afferma che tutto quello che sta accadendo è un complotto contro la classe operaia. Anche il cretinismo è una malattia infettiva e bisogna stare ben lontani dai diffusori. Le ondate di irrazionalità sono una conseguenza della vita senza senso, in cui l'esorcismo del virus ha qualcosa di esoterico e magico.
La teleconferenza di martedì sera, a cui hanno partecipato 21 compagni, è iniziata commentando le ultime notizie in merito alla complicata situazione politica italiana. Fallito il tentativo del presidente della Camera, Roberto Fico, per un'intesa tra le varie componenti sul governo Conte, la palla è tornata nelle mani del presidente della Repubblica che ha annunciato un colloquio al Colle con Mario Draghi in vista di un suo incarico per la formazione del nuovo governo.
Matteo Renzi ha spiegato via Twitter i motivi che lo hanno portato a far saltare il tavolo della maggioranza per arrivare al Conte Ter: "Bonafede, Mes, Scuola, Arcuri, vaccini, Alta Velocità, Anpal, reddito di cittadinanza. Su questo abbiamo registrato la rottura, non su altro. Prendiamo atto dei Niet dei colleghi della ex maggioranza. Ringraziamo il presidente Fico e ci affidiamo alla saggezza del Capo dello Stato."
Reti di interessi interne alla borghesia italiana ed europea hanno messo in campo tutta la loro influenza per giungere a questo risultato. Oggetto del contendere: Recovery plan, ovvero come spendere i circa 220 miliardi di euro (12% del PIL italiano) in arrivo dall'Ue. Evidentemente, il problema della ripartizione del valore diventa di difficile soluzione quando a mancare è il valore prodotto. Secondo i dati ufficiali il PIL del Belpaese nel 2020 chiuderà con un meno 8.8%. Fanno impressione anche le cifre sulla disoccupazione (Istat: 400mila i posti di lavoro persi nel 2020), soprattutto quella femminile, senza contare che a breve ci sarà lo sblocco dei licenziamenti.
La teleconferenza di martedì sera, a cui si sono collegati 22 compagni, è iniziata con alcune considerazioni riguardo i recenti avvenimenti negli USA, con particolare riferimento all'assalto al Campidoglio a Washington il 6 gennaio scorso.
Nel secondo dopoguerra la nostra corrente ha scritto molto sugli Stati Uniti e sul loro ruolo di gendarme del capitalismo (materiale raccolto nel quaderno America). Vinta la seconda guerra mondiale, hanno annientato l'influenza delle vecchie nazioni imperialiste europee cacciando i colonialismi francese e soprattutto inglese dal nord Africa e dal Medioriente, e posizionando le loro portaerei ovunque. Produttori per lungo tempo di oltre metà del PIL globale, oggi invece ne rappresentano il 20%. La potenza egemone, e sappiamo che non si può parlare dello stato americano e del suo divenire senza parlare della salute del capitalismo intero, sta perdendo energia e vede mutato il suo rapporto con il resto del mondo a livello economico e militare. In Afghanistan si è ritirata accordandosi con i talebani, e in Iraq, dopo il disfacimento dello stato centrale, ha dovuto fare i conti con lo Stato Islamico. Insomma, la crisi degli USA è una delle varie tappe della più generale crisi sistemica del modo di produzione attuale.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 22 compagni, è iniziata con un aggiornamento sulla pandemia in corso.
Attualmente gli Stati Uniti contano circa 200mila casi di positivi al giorno, e nella giornata dello scorso 31 dicembre i decessi hanno segnato un picco registrando circa 4000 morti. Significativo quanto accaduto in California: agli operatori delle ambulanze della contea di Los Angeles è stato chiesto di non trasportare in ospedale i pazienti con scarse possibilità di sopravvivenza. Anche in Italia le curve sono tutt'altro che in discesa, sono decine di migliaia i nuovi casi giornalieri (nonostante un netto calo dei tamponi) e centinaia i deceduti. Ben presto si vedranno inoltre gli effetti dello shopping del periodo prenatalizio. In Germania il lockdown in corso è stato prorogato fino al 31 gennaio in seguito all'impennata del numero dei contagi e delle vittime; Berlino, che pareva avere un sistema sanitario più efficace di quello italiano e una maggiore capacità di controllo della diffusione del virus, conta ormai oltre mille morti al giorno. Anche il Regno Unito è alle prese con una nuova chiusura dopo che la variante inglese del patogeno ha fatto schizzare in alto il numero dei contagi giornalieri (oltre 60mila) e dei decessi.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 19 compagni, è iniziata elencando i dati del censimento permanente della popolazione in Italia, diffusi dall'Istat e commentati sulle pagine di Repubblica dal presidente dell'istituto, Gian Carlo Blangiardo, che ha sottolineato l'incidenza della pandemia di Covid nell'aumento dei decessi nel corso del 2020.
Le proiezioni per l'anno corrente mostrano un numero totale dei morti intorno alle 700 mila unità: una cifra così alta non si registrava dal 1944, quando si era in piena guerra mondiale. La crescita dei decessi va inoltre messa in relazione alla popolazione generale, che va diminuendo e invecchiando; nel 2019 in Italia ci sono stati 647.000 morti a fronte di 435.000 nascite. Le coppie fanno sempre meno figli per assenza di prospettive, e la maggioranza dei giovani vive in famiglia e non può allontanarsene per cause economiche.
Gli anziani sono la parte della popolazione più minacciata dall'attuale pandemia, eppure non si è fatto nulla per proteggerli, arrivando all'assurdo di spostare i pazienti Covid nella Rsa. Molto, se non tutto, è stato lasciato alla spontaneità e all'improvvisazione, scaricando le responsabilità sui lavoratori della sanità, e usando l'informazione in maniera contradditoria.
La teleconferenza di martedì sera, a cui hanno partecipato 24 compagni, è iniziata con un accenno alle teorie negazioniste e complottiste della pandemia.
In uno dei tanti video che circolano su Facebook riguardo la diffusione del Coronavirus, un medico pneumologo invita a non fare i vaccini, a non indossare la mascherina, e a non sottoporsi al tampone poiché tramite esso potrebbe essere inoculato un nanochip in grado di gestire da remoto (con la tecnologia 5G) il portatore, modificandone la mente e i comportamenti. Siamo al livello della fantascienza di serie B, in cui l'umanità è controllata da misteriose lobbies che cospirano in gran segreto per soggiogarla. Quando dei medici, in piena pandemia, fanno dichiarazioni di questo genere, trovando decine di migliaia di sostenitori a condividerle, allora la situazione si fa preoccupante. Alla disinformazione ufficiale si aggiunge la disinformazione "alternativa", e la popolazione non sa più a chi credere.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 20 compagni, è iniziata facendo il punto sulla pandemia da Coronavirus.
Al 24 novembre 2020 i decessi nel mondo a causa di Covid-19 hanno raggiunto la cifra di un milione e 400 mila, mentre sono quasi 60 milioni i contagiati. L'Italia è il terzo paese per letalità (rapporto tra ammalati e morti) con un totale di 50 mila deceduti. Si ipotizza che ciò sia dovuto all'età media piuttosto alta della popolazione o al tipo di assistenza sanitaria. Dopo un'estate all'insegna del "liberi tutti" per salvare la stagione e rilanciare l'economia, a settembre si è verificata una nuova impennata dei contagi e sono state attuate nuove (blande) misure di contenimento; ora governatori di regione e imprenditori spingono per la riapertura delle attività commerciali, probabilmente mettendo in conto una terza ondata.
La motivazione principale di chi sostiene l'alleggerimento delle restrizioni è l'arrivo nei primissimi mesi del prossimo anno del vaccino, che incarna la speranza di un ritorno alla "normalità" ed alla vita di prima. Nel frattempo in Italia più della metà delle aziende ha fatto ricorso alla cassa integrazione, e dall'inizio della pandemia il governo ha adottato diverse misure di sostegno al reddito, a lavoratori, esercenti, imprenditori, ha bloccato il pagamento dei mutui, ha concesso deroghe per gli adempimenti fiscali. Questo insieme di normative ha impedito il crollo dell'economia, ma esse ora rischiano di diventare strutturali, allarmando già qualche liberista che lamenta un eccesso di statalismo. Se la capacità industriale, nonostante tutto, è rimasta intatta, essa però altro non fa che rendere oltremodo saturo un mercato già ingolfato. Lo Stato non ha scelta, deve sostenere i consumi; allo stesso tempo, così facendo, concorre alla determinazione di una situazione di transizione che rappresenta qualcos'altro rispetto all'economia di mercato.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 22 compagni, è iniziata con alcune considerazioni riguardo la pandemia, con particolare riferimento ad un articolo del Corriere della Sera, "Covid, 7 principi razionali per un cambio di passo" (2.11.20), di Alessandro Vespignani e Paolo Giordano.
Nello scritto vengono individuati sette principi per affrontare in modo razionale la pandemia in corso: 1) la centralizzazione dell'informazione e delle decisioni; 2) la granularità, ovvero l'esigenza di flessibilità del sistema sanitario; 3) la presenza di automatismi per il contrasto alla circolazione del virus, "senza lo stillicidio dei veti incrociati e delle consultazioni, che ritardano e depotenziano gli interventi"; 4) un coordinamento nazionale per la raccolta delle informazioni, "perché nei dati ci sono verità importanti da estrarre, istruzioni su come procedere"; 5) la trasparenza sui dati, sulle proiezioni e sulle decisioni, "altrimenti ogni opinione è dettata dal pregiudizio personale, i dibattiti girano a vuoto"; 6) una comunicazione lontana dai talk show, una voce unica "che sappia opporsi autorevolmente alla disinformazione"; 7) il coinvolgimento dei cittadini in un percorso di contenimento della pandemia ben definito, in modo che essi non siano considerati "soggetti passivi che mettono o no la mascherina, che si comportano bene o male o così così, e poi subiscono le conseguenze delle loro mancanze".
La teleconferenza di martedì sera, presenti 21 compagni, è iniziata dall'analisi dello stato dell'economia cinese.
Nell'articolo "L'economia della Cina esce per prima dalla crisi per la pandemia: Pil +4,9% nel terzo trimestre", pubblicato dal Corriere della Sera lo scorso 19 ottobre, vengono riportati diversi dati sull'andamento del sistema economico del paese asiatico, che nel 2019 ha registrato una crescita ufficiale dello 6,1%, per poi subire nei primi mesi del 2020, a causa del lockdown, un calo del 6,8% e successivamente, nel secondo e terzo trimestre, vedere invece un riassestamento con un +4,9%. Pechino ha risposto alla crisi internazionale puntando ad un forte sostegno dei consumi interni e su investimenti pubblici in grandi opere.
Evidentemente, il mercato lasciato a sé stesso non funziona, e lo stato è costretto ad intervenire affinché l'economia non crolli. Detto questo, il capitalismo è una rete di interessi che copre il pianeta e se il resto del mondo entra in crisi profonda e i consumi crollano, le ripercussioni sono inevitabili, anche per la "fabbrica del mondo":
"Se i consumi interni dei cinesi risalgono, ha senso tenere aperte le fabbriche italiane specializzate in export. Ma resta l'incognita grave della seconda ondata di coronavirus in Europa, che può riavviare la spirale di depressione: se si fermano di nuovo i consumi degli occidentali costretti a restare a casa, soffre anche la macchina dell'export cinese, che conta ancora per il 17% del Pil." (Corriere della Sera, 19.10.2020)
La teleconferenza di martedì sera, presenti 21 compagni, è iniziata con il commento delle notizie riguardo lo sviluppo dei vaccini per il Coronavirus 2.
La sperimentazione anglo-italiana condotta dall'azienda farmaceutica Astrazeneca si è fermata qualche settimana fa quando un volontario ha accusato gravi effetti collaterali; anche la ricerca capitanata da Johnson & Johnson ha subìto una battuta d'arresto, a causa di una reazione avversa in un paziente. Nel passato la messa a punto dei vaccini contro varicella e papilloma virus e di quello esavalente (difterite, tetano, pertosse acellulare, poliomielite, epatite B ed haemophilus influenzae di tipo B) ha richiesto diversi anni. L'obiettivo della ricerca attuale è di centrare il risultato in soli 18 mesi. Perché tutta questa fretta? Evidentemente il sistema economico non riesce a sostenere la presente situazione socio-sanitaria ed è disposto a rischiare sulla salute delle persone accorciando i tempi di indagine. Se è vero che si tenterà in tutti i modi di evitare altri lockdown nazionali puntando invece su chiusure mirate e locali, è anche vero che ad un certo punto la situazione potrebbe sfuggire di mano.
Durante la teleconferenza di martedì sera, a cui si sono collegati 18 compagni, abbiamo fatto alcune considerazioni riguardo il nuovo documento papale firmato lo scorso 3 ottobre e diffuso dal Vaticano il giorno successivo. Fratelli tutti è la terza enciclica dall'inizio del pontificato di papa Francesco e viene significativamente pubblicata nella giornata in cui la Chiesa celebra San Francesco.
"'La tradizione cristiana non ha mai riconosciuto come assoluto o intoccabile il diritto alla proprietà privata, e ha messo in risalto la funzione sociale di qualunque forma di proprietà privata'. [...] Il principio dell'uso comune dei beni creati per tutti è il 'primo principio di tutto l'ordinamento etico-sociale', è un diritto naturale, originario e prioritario. Tutti gli altri diritti sui beni necessari alla realizzazione integrale delle persone, inclusi quello della proprietà privata e qualunque altro, 'non devono quindi intralciare, bensì, al contrario, facilitarne la realizzazione', come affermava San Paolo VI. Il diritto alla proprietà privata si può considerare solo come un diritto naturale secondario e derivato dal principio della destinazione universale dei beni creati, e ciò ha conseguenze molto concrete, che devono riflettersi sul funzionamento della società."
La teleconferenza di martedì sera, a cui hanno partecipato 15 compagni, è iniziata commentando la disastrosa situazione economica.
Nella corsa contro il tempo rispetto alla valutazione di questo primo semestre dominato da crisi e virus non si capisce ancora bene come i mercati stiano correndo ai ripari, dato che le cifre reali sono tremende e di certo non mancheranno ritocchi e trucchi applicati alle cifre pur di evitare di danneggiare irreversibilmente la situazione. Mai come oggi abbiamo chiara la morte termica di questo sistema rianimato solo da scosse di "quantitative easing" o da interventi simili che prevedono iniezioni di liquidità per mantenerlo ancora apparentemente in vita ("Il cadavere ancora cammina").
Tutto il ciclo capitalistico è caratterizzato dal susseguirsi di crisi finanziarie ("Non è una crisi congiunturale"), ma ad ogni nuova crisi ne succede una più profonda che lascia sempre meno margini di azione ed intervento. L'economista americano Minsky nel suo "Potrebbe ripetersi? Instabilità e finanza dopo la crisi del '29", pubblicato tre anni prima del crollo borsistico del 1987, spiegava che non può ripetersi una dinamica simile al crack del 1929 perché esiste una freccia nel tempo e nella gestione delle crisi successive a quella data si è fatto ricorso alla stimolazione dell'economia con finanziamenti pubblici. Nel 2008, con l'esplosione della grande bolla speculativa e lo strascico che ancora permane ai giorni nostri, si è dimostrata annullata la teoria di Minsky e della scuola neokeynesiana: l'immenso capitale fittizio non ha una resa tale da poter essere gestito, pilotato o orientato. Non si può rivitalizzare un sistema che collassa ricorrendo ad esso.
La teleconferenza di martedì sera, connessi 27 compagni, è iniziata prendendo spunto dall'editoriale di Dario Di Vico, "Evitare il rancore", pubblicato sul Corriere della Sera lo scorso primo maggio.
In effetti il risentimento di una parte della popolazione comincia a farsi sentire. In Italia, piccoli commercianti, baristi e ristoratori ultimamente hanno organizzato diverse proteste per spingere alla riapertura delle attività e per richiedere adeguate misure di sostegno economico. Nell'articolo del Corriere ci si chiede quale potrebbe essere il soggetto incaricato di contenere la rabbia sociale dato che i sindacati non sono più quelli di una volta, il movimento delle sardine conta poco o nulla, i leghisti sono fuorigioco e il Movimento 5 Stelle è ormai parte del sistema. In un periodo come questo, la piccola borghesia è stritolata tra le due grandi classi e rischia di precipitare nel mondo dei senza riserve: entra quindi in fibrillazione.
La teleconferenza di martedì sera, a cui si sono collegati 29 compagni, è iniziata con il commento delle ultime notizie sul crollo del prezzo del petrolio.
L'accordo tra OPEC e Russia per tagliare la produzione di greggio e farne così risalire il prezzo non ha funzionato. Tra i primi a risentirne, i produttori americani di shale oil che vedono sempre più vicina la bancarotta. In generale, la vertiginosa caduta del costo dell'oro nero potrebbe generare una reazione a catena provocando, oltre al collasso delle economie dei paesi che vivono di rendita petrolifera, una serie di crack bancari, fino ad arrivare ad un tracollo di natura finanziaria. La crisi in corso, aggravatasi in seguito alla diffusione del virus, è sistemica e mondiale, e riguarda quasi tutti i settori, a cominciare da quello energetico, che ha visto una drastica riduzione dei consumi, fino a quello del tessile, con milioni di lavoratori che in Bangladesh, Pakistan e India sono rimasti senza lavoro. Quando alcune materie prime sono offerte a costo zero, anzi, negativo, significa che la situazione per la borghesia è davvero preoccupante.
Negli Stati Uniti la crisi peggiora, e non è da escludere il verificarsi di uno scenario di disgregazione statale simile a quello rappresentato dal film La seconda guerra civile americana. Negli ultimi giorni ci sono state in tutto il paese diverse manifestazioni anti-lockdown, organizzate da gruppi di estrema destra. In Michigan alcuni attivisti hanno partecipato alle iniziative armati.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 29 compagni, è iniziata dall'analisi della situazione economica mondiale, alquanto compromessa dalla pandemia da Coronavirus.
In seguito alle misure di quarantena adottate da sempre più paesi, diversi economisti prospettano la caduta del PIL mondiale del 5% nel 2020, e altri, più pessimisti, paragonano gli effetti sociali ed economici della pandemia a quelli di una guerra. La catastrofe rappresentata della Prima Guerra Mondiale produsse un periodo di marasma sociale, che in Russia culminò nella Rivoluzione d'Ottobre. Alla fine del secondo conflitto bellico, invece, il pesante intervento economico degli Usa con il Piano Marshall impedì qualsiasi movimento proletario significativo. Oggi non si stanno distruggendo in massa le forze produttive, come succede con una guerra, e quindi non si verificherà la ripresa economica successiva alla distruzione e la ripartenza da zero di nuovi cicli di accumulazione. Non è più possibile la ripetizione di quanto successo dopo la Seconda Guerra Mondiale, combattuta con uno sforzo generale e gigantesco della società con tanto di procedure di produzione adatte a rifornire i fronti (vedi "programmazione lineare").
La teleconferenza di martedì sera, presenti 13 compagni, ha preso le mosse da alcune notizie riguardanti la diffusione del Coronavirus.
Gli ultimi dati parlano di circa 1800 morti e decine di migliaia di infettati, ma anche di migliaia di malati guariti. Qualcuno fa notare che in Cina ogni anno muoiono 2,4 milioni di persone a causa dell'inquinamento, 600 mila per lo "stress da lavoro", e 300 mila in seguito ad incidenti stradali, senza che alcuno vi presti la dovuta attenzione. Ma mentre il virus si autopropaga, gli incidenti o i morti sul lavoro, seppur tantissimi, rimangono statisticamente stabili; nel caso di epidemie, superata una certa soglia la situazione potrebbe andare fuori controllo. A tal proposito, la società di ricerca aziendale globale Dun & Bradstreet ha lanciato preoccupati allarmi sull'infezione da Covid-19: se continuerà a diffondersi a questo ritmo, nel giro di 3 mesi il business di cinque milioni di aziende nel mondo potrebbe risentirne, con conseguenze nefaste per l'intero sistema capitalistico. Anche se si trattasse di un'esagerazione, di fatto nel mondo globalizzato tutto è interconnesso.
Il Coronavirus finora ha registrato una bassa mortalità (tra il 2 e il 3%), al contrario della Sars, che si è estinta in un tempo relativamente breve. Gli scienziati delle reti, ad esempio Mark Buchanan, trattano i fenomeni sociali al pari di quelli fisici: la diffusione di un virus, come quella di un "meme", risponde a leggi di potenza. Se il numero di infezioni secondarie è maggiore di uno, il numero di persone contagiate aumenta e scoppia l'epidemia; se è inferiore a uno, il contagio rimane circoscritto e il virus scompare. I grafici pubblicati dall'OMS sono ad andamento esponenziale: vuol dire che la trasmissione del Coronavirus è più di 1:1, vuol dire che si sarebbero dovute prendere misure che non sono state prese.
La teleconferenza di martedì sera, connessi 13 compagni, è iniziata con la segnalazione di un articolo del Corriere della Sera in cui si afferma che, sin dal dicembre del 2019, alcuni medici di Wuhan segnalarono alle autorità la presenza di un virus anomalo. Il governo cinese decise, però, di tenere nascosta la notizia e mandò la polizia ad ammonire i "propagatori di voci", oscurando la loro chat online. La guerra commerciale (e non) tra le borghesie concorrenti si combatte sempre, e passa anche attraverso il monopolio dell'informazione. Ed è una guerra, nell'epoca di Internet, che viene combattuta con la disinformazione, con le fake news, il terrorismo psicologico o la minimizzazione di fenomeni pericolosi.
La teleconferenza di martedì sera, a cui si sono collegati 12 compagni, ha preso le mosse dalla notizia secondo cui un'azienda canadese, la BlueDot, avrebbe previsto la diffusione del coronavirus con una settimana d'anticipo rispetto all'allarme lanciato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, grazie all'intelligenza artificiale.
Nel nostro articolo "Big Data a tutto spiano" abbiamo visto come le tecniche utilizzate per raccogliere e processare dati sono importanti sia per il commercio che per gli Stati. La Cina, in particolare, sta sviluppando da anni un sistema integrato composto da più di 500 milioni di telecamere sparse in tutto il paese per tenere sotto controllo la popolazione. Quando si parla di Big Data si deve tener presente che le enormi banche dati in mano a governi e aziende, oltre a trattare informazioni reperibili sul Web, tracciano profili individuali attraverso il riconoscimento facciale e vocale, utilizzando anche i dispositivi distribuiti in supermercati, banche, negozi, ecc., per mappare preferenze, orari, abitudini e via dicendo. Questi data base non sono condivisi ma privati, e le informazioni raccolte spesso vengono vendute e in alcuni casi rubate.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 11 compagni, è iniziata con la segnalazione di un articolo pubblicato sul Corriere della Sera, sulla relazione tra cambiamenti climatici e crisi finanziarie.
Proprio in questi giorni si sta svolgendo a Davos il World Economic Forum per discutere delle questioni in materia di salute e di ambiente, ma soprattutto di business. L'ecologismo nasce con le prime organizzazioni di nobili inglesi che erano costretti a respirare i veleni della Londra dei primi dell'800. Essendo un argomento interclassista per eccellenza mette d'accordo tutti, nessuno può negare che l'impronta ecologica è data; mentre si nega invece, per principio, l'incapacità del capitalismo ad affrontare questa situazione. Nell'articolo "Un modello dinamico di crisi" del 2008 avevamo visto come già nel 1961 l'umanità consumava il 50% della biocapacità media del pianeta, mentre nel 2003 ne consumava già il 125%. L'impronta ecologica offre la misura di quanto s'è allargato il divario fra l'equilibrio termodinamico e la dissipazione di energia, cioè di risorse che, perdurando il sistema capitalistico, andranno irreversibilmente perdute, come la foresta primaria o l'acqua di molti fiumi a causa del prelievo per l'agricoltura e per le metropoli. La massa biologica sulla terra è una piccola parte rispetto alla massa del pianeta intero. L'uomo intacca la prima, logorando le possibilità per la sua stessa riproduzione. Tuttavia, la Natura ha prodotto l'uomo il quale si dovrà adeguare alla condizione della biosfera: una delle conseguenze della distruzione di massa biologica innescata dall'attività umana è la perdita di biodiversità sul nostro pianeta per cui si sta andando verso la sesta estinzione di massa, peggiore di quella del Cretaceo quando il 95% delle specie esistenti è scomparso dalla faccia del Pianeta.
La teleconferenza di martedì sera, a cui hanno partecipato 16 compagni, è iniziata riprendendo il tema della parabola storica del plusvalore, nell'ottica di analizzare le profonde determinazioni che stanno alla base delle proteste e delle rivolte attualmente in corso in diversi paesi.
Prendiamo il caso di FCA (ex Fiat). L'azienda impiega circa 200mila dipendenti in tutto il mondo, produce circa 5 milioni di autovetture all'anno, e per il 2018 ha dichiarato un fatturato di 110 miliardi di dollari. Pur esistendo un unico marchio che ne identifica le merci, la maggior parte dei componenti che vengono poi assemblati negli stabilimenti è prodotta da una rete di imprese in outsourcing. Da un pezzo la fabbrica è uscita dalle mura aziendali, distribuendosi sul territorio grazie al sistema della logistica; oggi non esiste più la grossa fabbrica verticale di novecentesca memoria che produceva tutto da sé, ma le lavorazioni sono state in prevalenza esternalizzate ("Sull'uscita di Fiat da Confindustria e alcuni temi collegati"). Se in Italia agli inizi del 2000 la Fiat contava 112mila addetti, oggi Fca ne impiega 29mila, comprese Maserati e Ferrari.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 10 compagni, è iniziata con la segnalazione di un articolo del Corriere della Sera intitolato "Più posti, ma part time: così le ore lavorate sono meno di 12". Secondo il giornale, aumenta l'occupazione ma anche la precarietà poiché è in calo il numero delle ore lavorate; per quanto riguarda il numero degli occupati, il quotidiano riporta che "in Italia lavorano 23,3 milioni di persone. Il tasso di occupazione nella fascia d'età tra 20 e 64 anni è del 63% contro l'80% della Germania e il 73% della media dell'Unione europea." Lo stato cerca di dare ossigeno all'economia emanando provvedimenti del tipo "Quota 100", ma non è possibile ricreare i posti di lavoro che la tecnologia ha reso superflui. In questi giorni è finita sotto i riflettori di giornali e televisioni la questione Ilva con i relativi lamenti politici e sindacali in merito alla difesa dell'occupazione. I sacerdoti del lavoro si commuovono e lo benedicono, ma le fabbriche-galere chiudono comunque. Se i lavoratori vengono licenziati perché in esubero rispetto alle esigenze produttive, dal punto di vista della lotta immediata non resta altro da fare che pretendere una forte riduzione dell'orario di lavoro e un salario decente per i disoccupati.
La teleconferenza di martedì sera, collegati 14 compagni, è iniziata dal commento di una mappa pubblicata dalla CNN, in cui vengono evidenziati i paesi che nel 2019 sono stati interessati da proteste e rivolte.
Rispetto alla cartina che avevamo utilizzato nel 2011 per l'articolo "Marasma sociale e guerra", si sono aggiunti alle aree coinvolte dai disordini Spagna, Russia, Sudan, Libano, Hong Kong, Indonesia e quasi tutto il Sud America. Quando a scendere in strada sono milioni di atomi sociali che si sincronizzano a livello mondiale, vuol dire che stiamo vivendo una transizione di fase, la quale parte quantomeno dalla rivolta parigina nel 2005 e arriva fino ai giorni nostri. Il dialogo fra le classi sta venendo meno, e con esso la presa sulla società del modello sindacale corporativo: è morto il "tavolo delle trattative", e il pacifismo sta scomparendo dalle piazze sotto il peso dei mezzi blindati, dei candelotti lacrimogeni e dei proiettili - non sempre di gomma - della polizia.
La teleconferenza di martedì sera, a cui hanno partecipato 16 compagni, è iniziata riprendendo alcune considerazioni fatte durante la scorsa teleconferenza in merito alla formula del saggio di plusvalore.
Pv/v: il saggio di sfruttamento si stabilisce dividendo il plusvalore (Pv) per il capitale variabile (v, i salari). Ne deriva che quando il salario è pari a zero, ad esempio nel caso di stage gratuiti, volontariato mascherato, o corsi di formazione non retribuiti, la quantità di plusvalore prodotta è teoricamente infinita.
Ciò ha a che fare con la parabola storica del plusvalore. Seguendo lo schema di Marx, la legge del valore può essere dedotta da un modello elementare: 1) che vi sia all'inizio una società in cui gli uomini producono con il solo intervento delle loro mani e consumano tutto ciò che producono (le classi sono ancora inutili); 2) che vi sia alla fine una società che non produce nulla tramite uomini, dove però essi consumano lo stesso tutto ciò che producono (le classi sono diventate inutili). In entrambi i casi abbiamo zero plusvalore. La prima società non è ancora capitalistica, la seconda non lo è più.
Nell'epoca schiavistica non si realizzava sistematicamente plusvalore, ma veniva messo in atto una specie di accantonamento da parte del proprietario degli schiavi. Nel Capitale e nei Grundrisse Marx spiega che, maturando il capitalismo, viene negata la legge del valore, perché la scienza e la tecnica tendono a sovrastare il lavoro vivo mettendo in seria crisi il Sistema.
La teleconferenza di martedì sera, a cui hanno partecipato 11 compagni, è iniziata prendendo spunto dalla lettura di alcuni passi di Salario, prezzo e profitto, scritto da Karl Marx nel 1865 ma pubblicato per la prima volta dalla figlia Eleanor nel 1898. Nel testo è esposta la struttura teorica che troverà poi maggiore approfondimento ne Il Capitale.
In polemica col signor Weston, Marx sostiene:
"Il nostro amico Weston non nega che in determinate circostanze gli operai possano strappare degli aumenti di salario; ma, poiché l'importo dei salari è di sua natura fisso, all'aumento deve seguire una reazione. Egli sa però anche, d'altra parte, che i capitalisti possono imporre una diminuzione dei salari, e tentano di farlo, infatti, di continuo. Secondo il principio della immutabilità dei salari, la reazione dovrebbe verificarsi in questo caso non meno che nel caso precedente. Gli operai agirebbero dunque giustamente, insorgendo contro il tentativo di diminuire i salari o contro la loro diminuzione effettiva. Essi agirebbero dunque giustamente quando cercano di strappare un aumento di salario, perché ogni reazione contro una diminuzione dei salari è un'azione per aumentarli. Dunque, secondo la stessa teoria del cittadino Weston, secondo la teoria, cioè, dell'immutabilità dei salari, gli operai dovrebbero, in certe circostanze, unirsi e lottare per ottenere un aumento dei salari."
La teleconferenza di martedì sera, presenti 13 compagni, è iniziata accennando al recente sciopero alla General Motors negli Stati Uniti.
Il blocco della produzione, che non avveniva da una decina d'anni, ha coinvolto circa 50 mila addetti in decine di stabilimenti. I lavoratori hanno organizzato picchetti davanti agli impianti chiedendo forti aumenti salariali, soprattutto per i più giovani. Negli ultimi anni il movimento americano per l'aumento del salario (#Fightfor15) è cresciuto, soprattutto nei settori dei servizi, della ristorazione veloce e nel pubblico.
Sul versante europeo il settore ha visto la presentazione da parte di Volkswagen della nuova autovettura elettrica ID.3; il colosso automobilistico ha dichiarato di esser pronto a produrre fino al 2025 circa 16 milioni di esemplari. Il gruppo BMW, invece, ha in preparazione un piano di esuberi che riguarderà qualche migliaio di operai a causa di riconversioni e ristrutturazioni degli impianti.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 12 compagni, è iniziata con la segnalazione di alcune novità nel settore automobilistico.
All'ultimo salone dell'automobile di Francoforte è stata presentata la prima autovettura elettrica europea, progettata dalla Volkswagen. Nove i miliardi di euro che l'azienda investirà di qui ai prossimi anni solo per avviare il ciclo produttivo, mentre ID.3, questo il nome del modello, sarà in vendita a partire dai 30 mila euro. Anche in Cina hanno aperto stabilimenti destinati alla produzione di vetture elettriche e pure gli Stati Uniti stanno investendo nello stesso ambito.
Insomma, si prepara un'invasione di auto elettriche, bisogna solo vedere se le popolazioni immiserite avranno i soldi per comprarsele. I dati delle vendite parlano chiaro: "La produzione italiana di autovetture è calata del 19%, sia a luglio che nei primi 7 mesi dell'anno rispetto agli stessi mesi del 2018. Ha invece registrato un calo del 7,5% a luglio la produzione dell'industria automotive italiana nel suo insieme (non solo fabbricazione di autoveicoli, ma anche di carrozzerie autoveicoli, rimorchi e di parti e accessori per autoveicoli e loro motori)" (Ansa). Anche in Germania i problemi nell'industria si aggravano: "A trascinare verso il basso la produzione è soprattutto il settore auto che diminuisce ad aprile del 17,1% rispetto allo stesso mese del 2018" (Il Fatto Quotidiano).
I grandi gruppi automobilistici, tra cui Volkswagen che è leader nel settore con oltre 10 milioni di autoveicoli prodotti annualmente, hanno bisogno di proporre nuovi modelli per attrarre i consumatori, tentando allo stesso tempo di rimodernare la struttura completa del sistema automobile. L'auto a combustione endogena è un dinosauro dal punto di vista del rendimento, e per la sua produzione vengono messe in moto forze esagerate che alimentano un sistema ultra-dissipativo.
La teleconferenza di martedì sera, a cui si sono collegati 13 compagni, è iniziata prendendo spunto da alcune notizie provenienti da Hong Kong.
Secondo il New York Times, la vera miccia che ha innescato le proteste in corso è la questione delle abitazioni: in una città di 7,4 milioni di abitanti, diverse centinaia di migliaia di persone con bassi salari vivono in appartamenti piccolissimi. Il motore delle proteste sarebbe quindi da ricercare nella miseria crescente: da una parte l'élite finanziaria che detiene tutta la ricchezza, al polo opposto milioni di senza riserve che con il loro lavoro permettono il funzionamento della metropoli. Dello stesso avviso è Wired, secondo il quale alla narrazione di eroici giovani pro-democrazia, teleguidati dagli Usa contro il totalitarismo cinese, bisogna opporre la condizione in cui vivono milioni di precari, disoccupati e lavoratori impoveriti. Hong Kong detiene il record della metropoli dove i lavoratori hanno la settimana lavorativa più lunga del mondo.
La teleconferenza di martedì sera, a cui si sono connessi 11 compagni, è cominciata con alcune considerazioni riguardo le notizie provenienti da Hong Kong dove da diverse settimane sono in corso mobilitazioni imponenti.
L'elemento che ha dato il via al dissenso, la proposta di legge sull'estradizione verso la Cina, è ormai passata in secondo piano perché adesso l'obiettivo di chi scende in piazza è la lotta contro la repressione. Le manifestazioni nella regione a statuto speciale stanno evolvendo e il governo cinese ha dichiarato, tramite il suo portavoce ad Hong Kong, la disponibilità a muovere l'esercito qualora non venisse ristabilito l'ordine. Era dal 1997 che la Cina non si palesava così apertamente nella vita dell'ex colonia britannica.
I giovani manifestanti che hanno animato le proteste ad Hong Kong hanno dimostrato la capacità di autorganizzarsi e di adattarsi alle mosse della polizia. Dicono di utilizzare la "forma dell'acqua" per sfuggire alla repressione: di fronte allo schieramento massiccio delle forze dell'ordine, i cortei si scompongono, si disperdono e poi si ricongiungono in altri luoghi, bloccando i treni, occupando l'aeroporto o l'area finanziaria della città. Questo avviene anche perché è intenso l'utilizzo di tecnologie come smartphone, chat e messaggistica istantanea.
La teleconferenza di martedì sera, a cui si sono connessi 16 compagni, è iniziata con la segnalazione di due notizie: 1) in Cina sono nati gruppi di studenti marxisti che partecipano alle lotte operaie e molti sono stati arrestati; 2) in Russia cresce la popolarità di Stalin: secondo alcuni sondaggi, oltre il 30% della popolazione rimpiange il vecchio leader sovietico la cui notorietà ha superato quella di Putin.
Gli uomini sono sempre alla ricerca di punti di riferimento, ma finché non si verificano potenti polarizzazioni sociali che li spingano verso il futuro, rimangono orientati verso il passato. La nostalgia stalinista ne è chiaro esempio. Ciononostante, il futuro agisce sul presente. Basti pensare alla crescente disaffezione verso la "politica": in Italia le recenti elezioni europee hanno registrato un'affluenza alle urne del 56%, dato in calo rispetto al 2014, soprattutto al Sud. La metà degli aventi diritto non va a votare e la classe dominante sembra non farvi caso, impegnata com'è nei calcoli politici post-elettorali. Allo stesso tempo il carisma dei leader politici dura sempre meno: se Renzi dopo quattro anni è stato rottamato, a Di Maio è bastato un anno, e adesso vedremo quanto durerà il nuovo fenomeno Salvini.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 13 compagni, è iniziata dalla segnalazione dell'articolo pubblicato sul Corriere della Sera "L'astro Spd pensa al socialismo reale 'Nazionalizzare le aziende dell'auto'".
Secondo Kevin Kühnert, il capo dell'organizzazione dei giovani socialdemocratici tedeschi, gli Jusos, la nazionalizzazione dell'industria a partire dal settore auto, la collettivizzazione delle grandi aziende, la limitazione della proprietà immobiliare e la regolazione dei profitti rappresenterebbero "l'unica strada per il superamento del capitalismo". Storicamente proposte simili, in primis la socializzazione delle industrie, sono state avanzate sia da partiti socialdemocratici che da gruppi di estrema destra ed estrema sinistra. Peccato che tutte queste formazioni ignorino che lo Stato è più che presente nella vita economica; il fascismo ha perso militarmente, ma ha vinto politicamente ed economicamente estendendosi a tutto il mondo. Anche la Cgil è tra quelli che richiedono una maggiore presenza statale e per gli ex stabilimenti Fiat reclama l'intervento dello stato: se nei periodi di crisi Pantalone deve accollarsi le perdite e socializzarle, i profitti restano sempre privati.
Abbiamo poi parlato delle manifestazioni del Primo Maggio che sono state molto partecipate in tutto il mondo.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 11 compagni, è iniziata prendendo spunto da una mail circolata nella rete di lavoro sulla post-umanità.
Le correnti di pensiero postumane o transumane prevedono la trasformazione dell'umanità tramite lo sviluppo di biotecnologie e nano-tecnologie, e considerano la specie umana come il primo gradino di una nuova era evoluzionistica post-darwiniana (vedi il romanzo Essere una macchina di Mark O'Connell), guidata dalla specie umana stessa (anche Ray Kurzweil in La singolarità è vicina si inserisce in questo filone). Il capitalismo non ammetterà mai di essere transitorio, di conseguenza gli esponenti della borghesia proiettano se stessi nell'eternità.
Si è poi passati a commentare le ultime notizie sul reddito di cittadinanza.
In un articolo pubblicato su Il Fatto Quotidiano si descrive come sarà erogato il contributo, e cioè sotto forma di una carta acquisti che i beneficiari potranno utilizzare solo per procurarsi beni di prima necessità (alimenti e medicinali). La dotazione prevista nel Def per l'applicazione della misura dovrebbe essere di 10 miliardi di euro, di cui uno destinato ai Centri per l'impiego, e riguarderebbe circa 6,5 milioni di italiani. I 780 euro di cui si vocifera andranno a chi parte da un reddito pari a zero, mentre per gli altri ci sarà solo un'integrazione. Il viceministro dell'economia ed esponente dei 5Stelle Laura Castelli spiega nel dettaglio:
La teleconferenza di martedì sera, presenti 14 compagni, è iniziata con la segnalazione di un articolo sulla finanziarizzazione dell'economia pubblicato sul Corriere della Sera.
Oggi, rispetto al crack borsistico del 2008, sarebbe più conveniente investire nell'app-economy o in grandi gruppi come Amazon o Apple che nelle normali attività di Borsa. Il mercato del credito alla produzione pretende la creazione di più profitto, ma esistono dei limiti fisici dovuti alla marxiana caduta del saggio. A giganteggiare quindi è il capitale fittizio che cerca di valorizzarsi attraverso sé stesso (D-D') bypassando la produzione (P). Gli stessi borghesi lanciano allarmi sullo scoppio imminente di una mega bolla. Quando ciò accadrà qualcuno dovrà perderci, perché il panico innescherà la vendita generalizzata di titoli (sempre che ci sia qualcuno disposto a comprarli); e potrebbe succedere, in questa compravendita, che tutte le azioni si abbassino fortemente di prezzo così da cancellare un'immensa massa di capitale fittizio.
Il 19 ottobre del 1987, il cosiddetto "lunedì nero", fu una giornata esemplare dal punto di vista del comportamento dei mercati azionari. In un solo giorno Wall Street perse il 23% del suo valore, Tokio scese del 15% e Hong Kong dell'11%. Il lunedì successivo la serie nera si ripeté coinvolgendo le maggiori piazze borsistiche e cancellando centinaia di miliardi di dollari. In questi ultimi anni post-crisi 2008, le politiche di quantitative easing portate avanti negli Usa hanno generato oltre 10mila miliardi di dollari; a tale cifra si sommano le iniezioni di liquidità operate dalla BCE, al ritmo di 60 miliardi di euro al mese, in Europa. Misure tappabuchi che non hanno fatto altro che generare ulteriore capitale fittizio.
Durante la teleconferenza di martedì, a cui si sono connessi 11 compagni, abbiamo discusso del crollo del ponte Morandi a Genova. Il bilancio della strage è di 43 morti, decine di feriti e centinaia di famiglie sfollate dal quartiere sottostante alla struttura.
In questa società, che nella serie di articoli Drammi gialli e sinistri della moderna decadenza sociale la nostra corrente definisce "età della magagna", può accadere che gli ingegneri si sentano frustrati perché soppiantati da architetti divenuti star, e per tutta risposta progettino strutture leggere ed avveniristiche per fare, a loro volta, scalpore e meraviglia. Strutture che ad un certo punto collassano, sono da demolire o non sono comunque più utilizzabili. D'altra parte tutte le case, i ponti e i manufatti costruiti negli anni del boom economico hanno oggi bisogno di manutenzione straordinaria. Ma in epoca capitalistica le opere di conservazione rappresentano un costo passivo, mentre risulta più conveniente demolire e costruire ex novo, bandendo gare dai preventivi fasulli e dagli alti profitti:
"Esso [Il Capitale] non vuole appalti di manutenzione, ma giganteschi affari di costruzione: per renderli possibili, non bastando i cataclismi della natura, il capitale crea, per ineluttabile necessità, quelli umani, e fa della ricostruzione postbellica 'l'affare del secolo'". ("Piena e rotta della civiltà borghese", 1951).
La teleconferenza di martedì sera, presenti 13 compagni, è iniziata dalla segnalazione di alcune notizie di stampa sul ruolo non proprio umanitario svolto dalle Organizzazioni Non Governative.
Nell'epoca dell'imperialismo qualsiasi attività è sussunta al capitale e trasformata in valore. Questo vale anche per le ONG che sono presenti negli scenari di guerra e in tutte quelle situazioni al limite, dove gli Stati non ci sono o non riescono ad affermarsi.
La sigla ONG è stata stabilita a livello internazionale per definire tutte quelle organizzazioni private e "no profit" il cui statuto le identifica come enti di sussistenza e beneficenza. Tali enti dovrebbero intervenire quando le popolazioni soffrono la fame o la guerra, ma nella maggior parte dei casi raccolgono fondi per la sopravvivenza delle loro stesse strutture. Nelle situazioni in cui gli stati sono collassati, come in Siria, Yemen e Iraq, i finanziamenti internazionali passano direttamente dal Fondo Monetario alle ONG, bypassando le autorità statali. Con il diffondersi dell'attuale guerra civile globale, questo tipo di organizzazioni, che gestiscono anche gli immensi campi profughi sparsi per il pianeta, non potrà che aumentare.
La teleconferenza di martedì sera, a cui hanno partecipato 13 compagni, è iniziata con alcune osservazioni riguardo il rapporto Oxfam Ricompensare il lavoro, non la ricchezza, presentato alla vigilia del Forum Economico Mondiale di Davos, in Svizzera, che ogni anno riunisce esponenti internazionali dell'ambito economico, politico, scientifico e sociale per discutere delle questioni principali della scena mondiale.
La situazione che emerge dai dati raccolti nel rapporto, come illustra un rappresentante della sede italiana dell'organizzazione non governativa in una recente intervista, è decisamente preoccupante. Oxfam è una confederazione internazionale di organizzazioni no profit operanti in 90 diversi nazioni e dispone di una rete ampiamente estesa i cui sensori sono dislocati praticamente in tutto il mondo (10.000 operatori e 50.000 volontari). Lo studio del 2018 tratta principalmente il tema della diseguaglianza nella distribuzione della ricchezza, e il risultato a cui giunge – ma non si tratta di una novità dato che sono sempre di più le ricerche di questo tipo a rilevare tale assetto generale – è quello di una società in cui il denaro, o la prosperità in generale, confluisce in misura sempre maggiore nelle solite "poche" mani. Nel documento vengono inoltre presentate proposte e suggerimenti per arginare tale situazione di disparità. Ovviamente si tratta di soluzioni di carattere riformista, come la tassazione progressiva, l'introduzione di un tetto agli stipendi dei manager, e via dicendo.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 18 compagni, è iniziata con alcune considerazioni su quanto accaduto a Las Vegas, negli Stati Uniti, e sul dibattito che infuria nel paese in merito alla libera vendita di armi.
In un articolo di Focus vengono riportate precise statistiche sul numero dei morti dovuti a colpi di arma da fuoco:
"Negli Usa circolerebbero 357 milioni di armi da fuoco contro una popolazione di soli 318,9 milioni di persone. Secondo il report, il 20% dei possessori possiede il 65% delle armi. Gli USA ospitano il 4,4% della popolazione terrestre, ma il 42% dei civili armati del mondo."
Editoriale: I limiti dell'… inviluppo / Articoli: Il gemello digitale - L'intelligenza al tempo dei Big Data - Donald Trump e il governo del mondo / Rassegna: Il grande malato d'Europa - Il vertice di Kazan - Difendono l'economia, preparano la guerra / Recensione: Ciò che sembrava un mezzo è diventato lo scopo / Doppia direzione: Il lavoro da svolgere oggi - Modo di produzione asiatico? - Un rinnovato interesse per la storia della Sinistra Comunista - Isolazionismo americano post-elettorale?
Libertà
Viviamo in una società che scoppia. I suoi membri, divisi o raggruppati secondo criteri il più delle volte arbitrari e casuali, non riescono più a darsi un'identità plausibile. La pandemia, invece di compattare gli individui intorno a provvedimenti utili alla salvaguardia della specie, ha aggravato la situazione facendo emergere ataviche tendenze all'irrazionale.
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